La Gazzetta del Pubblicitario ha avuto negli scorsi mesi un’opportunità straordinaria: visitare l’Archivio Storico Barilla a Parma, presso lo stabilimento di Pedrignano. In uno straordinario viaggio nel tempo e nella creatività made in Italy, vi raccontiamo la genesi e la comunicazione di uno storico marchio del gruppo emiliano, Mulino Bianco.
In pubblicità e non solo, è sinonimo di campagne e slogan entrati nel cuore e nella storia di tutti noi. Nessun altro marchio italiano è riuscito ad avere la stessa penetrazione a livello commerciale e anche, se vogliamo, affettivo. La vera competizione c’è forse stata solo con il suo fratello maggiore, di cui vi abbiamo già parlato, ovvero Barilla. Salite con noi sulla macchina del tempo di Gazzetta, oggi parliamo di Mulino Bianco.
GLI INIZI
La storia di Mulino Bianco è lunga e peculiare e soprattutto si intreccia più e più volte con la geopolitica e la Storia con la S maiuscola, in Italia e in tutto il mondo. Per raccontarvi della sua nascita dobbiamo andare indietro alla fine degli anni ’60 quando l’aria in Barilla è molto tesa. I fratelli Gianni e Pietro, proprietari del mitico pastificio, sono in disaccordo nella gestione dell’azienda di famiglia. Questa disarmonia culmina con la vendita, nel 1971 all’americana Grace.
Durante la gestione a stelle e strisce, però, la situazione mondiale si complica: la Guerra Fredda, certo, ma anche la guerra del Kippur e la conseguente crisi petrolifera che alza i costi del grano, con necessità di calmierare i prezzi dei prodotti finiti come pane e pasta. Gli americani non ci stanno guadagnando. C’è bisogno di nuove idee, di diversificare, di un nuovo mercato da aggredire, perché la pasta, da sola, non rende più come prima. Siamo nel 1975: nasce il marchio Mulino Bianco.
Il nuovo mercato sono i prodotti da forno. Devono essere economici, certo, per essere alla portata di tutti, ma anche accattivanti. Ecco quindi che inizia lo storytelling che caratterizzerà il Mulino negli anni a venire: l’idea di natura, di genuinità, di rustico, di “cose buone fatte in casa” che rievocano l’infanzia e le nonne in cucina. Tutto deve essere rassicurante e parlare al cuore. I nomi dei biscotti, la forma e il colore dei sacchetti, il layout del marchio, tutto quello che ancora oggi vediamo inizia esattamente in quell’anno.
Insieme al Mulino Bianco inizia un nuovo modo di fare pubblicità, destinato a cambiare le regole del gioco e ad entrare persino nel linguaggio comune (il modo di dire “la famiglia del Mulino Bianco” vi dice qualcosa?).

IL LOGO E IL MULINO
Il primo logo Mulino Bianco esce dalle matite di Cesare Trolli su idea di Giò Rossi ed è sostanzialmente quello in uso ancora oggi. È una sorta di racconto “visivo”: le spighe e i fiori richiamano la natura, il mulino simboleggia la tradizione e il marchio sintetizza i due concetti. La costruzione di un vero e proprio sistema di comunicazione rappresentò una sorta di provocazione intellettuale verso i trend di marketing dell’epoca. Le aziende generalmente designavano uno/due prodotti di punta e si identificavano in quelli, mentre Mulino Bianco antepose il marchio ai prodotti, sottolineando i valori che si prefiggeva di rappresentare piuttosto che le qualità intrinseche dei biscotti o delle merendine.

Il mulino come luogo ideale di benessere e di tranquillità invece all’inizio doveva solo essere un simbolo di un mondo fantastico e irreale, quasi onirico. Anni dopo viene poi concretizzato in un luogo realmente esistente, a Chiusdino (nelle campagne senesi), che sarà poi protagonista di una celebre serie di spot negli anni ’90.
“QUANDO I MULINI ERANO BIANCHI”
L’incipit delle prime pubblicità MB risalenti alla fine degli anni ‘70 recitava “Quando i mulini erano bianchi….”. Tutti i valori del brand si estrinsecano in questo spot dei Tarallucci del 1977:
Ambientazione bucolica, bianco e nero, un padre che sella un cavallo e un bambino con una tazza di latte. Nasce lo storico slogan “mangia sano, torna alla natura”. Una comunicazione “emozionale”, che vuole parlare al cuore, per far associare Mulino Bianco al dolce, al buono, al rassicurante.
Una comunicazione vincente, a fronte di un investimento contenuto da parte della proprietà americana. Bisogna aspettare il ritorno di Pietro Barilla, che ricompra l’azienda nel 1979, perché Mulino Bianco diventi centrale, con la produzione portata all’interno e budget sensibilmente più alti. I test di packaging e visuals sono casalinghi, l’aspetto deve essere studiato perché sembri il più possibile artigianale. Il colore giallino delle confezioni, come sono ancora oggi, non è casuale. Fu ritenuto “coccoloso” e mai cambiato.

Con il ritorno di Pietro Barilla la comunicazione di Mulino Bianco diventa a ombrello, ossia parte da un prodotto e viene poi estesa tutti gli altri in modo uniforme. Nel frattempo (nell’ultima fase di gestione stelle e strisce), il marchio si rafforza così tanto da cooptare sotto la propria insegna altri prodotti da forno che fino ad allora erano usciti come Barilla, ovvero i grissini, i pani e le fette biscottate. L’aver iniziato dai frollini (In Italia in quel momento non c’era un marchio leader per questo tipo di prodotto) paga.
MULINO BIANCO NELL’IMMAGINARIO: I PREMI E LE RACCOLTE PUNTI
Quello che contribuisce a rendere Mulino Bianco il marchio forte che è ora, sono soprattutto le iniziative verso i consumatori. Si tratta di idee spesso pionieristiche, come Natura Viva: un opuscolo che veniva inviato per posta a cadenza regolare a tutti coloro che partecipavano a una raccolta punti, che parlava di alimentazione sana, prodotti naturali, ricette e buone abitudini di vita. Una sorta di newsletter pubbliredazionale ante litteram.
Ecco, le raccolte punti. Impossibile pensare a Mulino Bianco senza associare subito uno o più regali ottenuti raccogliendo i punti, regali che sono ancora in giro nelle case di molti di noi. Tutto inizia nel 1978 con Il Coccio, un set di tazza e piatto per la colazione che richiamava le stoviglie rustiche usate negli spot. Prima di allora il concetto di “oggetto promozionale” seguiva ancora una consuetudine risalente al Ventennio che voleva che il regalo dovesse avere un valore “modesto”.
Questo portava a tutta una serie di oggetti destinati a durare poco e a non rimanere impressi nel consumatore, né tantomeno ad essere desiderabili. Negli anni ’70 si svincola il valore del prodotto dal valore del premio e perciò si inizia a “osare” con iniziative a premi più appetibili.

Il Coccio è un oggetto strettamente legato all’immagine del prodotto che si deve consumare per ottenerlo, quindi fortemente coerente. Parla del prodotto, comunica i suoi valori e soprattutto espone il marchio a una presenza costante. Il successo di questa prima iniziativa fu travolgente, i budget totalmente sforati a causa di una richiesta mai vista prima. La strada era ormai tracciata.
IL PMB E LE SORPRESINE
Gli anni ’80 vedono la comunicazione articolarsi su due livelli. Da una parte il mondo degli adulti, dall’altra i bambini. Per i grandi, continuano le raccolte punti con premi interessanti, di valore e di marche prestigiose, da usare con soddisfazione nella vita quotidiana e che portano il marchio Mulino Bianco anche al di fuori del contesto colazione/merenda. Spazio quindi a tovaglie, piatti, cestini porta pane, fornetti, spesso declinati di anno in anno in forme e colori diversi quasi a costituire una collezione.
Il capolavoro però è la comunicazione per i bambini. Per loro nasce un personaggio dedicato, il Piccolo Mugnaio Bianco, inventato da Grazia Nidasio. Il Piccolo Mugnaio Bianco (per tutti subito PMB) è un omino minuscolo che vive nel Mulino Bianco. Sforna le sue prelibatezze per Clementina, una contadinella di cui è innamorato. Lei però non lo vede e si interroga su chi sia questo misterioso ammiratore che le regala merende e biscotti, sognando il principe azzurro. Il PMB e Clementina iniziano a comparire non solo negli spot, ma anche sui pack delle merende e in cartoni animati e merchandising a loro dedicati.

Mentre però i premi per gli adulti richiedono un’azione, ovvero la raccolta dei punti, è subito chiaro che non è possibile richiedere ai bambini che facciano lo stesso. Tuttavia è necessario pensare a un concetto di purchase reward anche per il target infantile, per non far calare l’attenzione sul marchio da parte di una fetta così larga di consumatori. Come fare? Arrivano le sorpresine. Un premio immediato, garantito, presente in ogni confezione di merende.


Le sorpresine Mulino Bianco nascono nel 1981 e all’inizio sono poche, quasi un esperimento. Il successo che le investe però è tale da far durare l’iniziativa fino al 1995. In Mulino Bianco la cosa viene presa molto seriamente: le sorprese vengono strutturate in serie tematiche, ogni anno diverse, alcune legate anche ad eventi speciali. Tutto è studiato per non creare doppioni. Il confezionamento si organizza in modo da garantire che in ogni bancale inviato a punto vendita non ci siano scatole (anche di referenze diverse) con sorpresine uguali.
Le tipologie di oggetti sono infinite: dalle gommine per cancellare (inizialmente dalla forma che riproduceva esattamente i biscotti, poi vietate perché un bambino inglese provò a mangiarle per davvero) fino ai minigiochi di società e alle costruzioni, dalla piccola cancelleria ai puzzle, non c’è gioco che non possa finire nell’iconica scatolina di cartone.
Le sorpresine venivano commissionate a celebri “firme” e venivano interamente prodotte e confezionate in Italia. Nel loro periodo di massimo splendore, la linea ne faceva uscire 4 milioni a settimana.
Le raccolte punti iniziano a mostrare segni di crisi nel 1996, quando con l’apertura delle catene discount in Italia è necessaria una politica di ripensamento dei prezzi e la sostenibilità economica delle iniziative viene meno. Negli ultimi anni la tendenza è quella di una smaterializzazione dell’oggetto promozionale, quindi sorprese “digitali”: codici gioco per aree dedicate nel sito ufficiale e iniziative simili fanno sbarcare Mulino Bianco sulla Rete.

MULINO BIANCO NEL NUOVO MILLENNIO
L’attuale storytelling Mulino Bianco non si discosta dal solco tracciato all’inizio della sua storia e mai veramente abbandonato. Si incentra però su storie raccontate attraverso serie di spot che restano saldamente popolari, come quelli del mugnaio Antonio Banderas e la gallina Rosita (un personaggio meccatronico così realistico da scatenare le ire degli animalisti), o le vicende della coppia Nicole Grimaudo – Giorgio Pasotti.
Ad esempio in questo spot del 2014, Banderas tenta di consolare la povera Rosita reduce da una delusione amorosa e la invita a non accontentarsi di un “galletto” qualunque.
Proprio quella gallina Rosita e quella poltrona di velluto verde danno oggi il benvenuto ai visitatori dell’Archivio Storico Barilla:

Che lo spot televisivo sia il mezzo preferito dall’azienda per entrare nelle case italiane è dimostrato dall’incredibile numero di produzioni nel corso degli anni. Dalle origini al 2020 sono oltre 1500, alcuni firmati da registi del calibro del premio Oscar Gabriele Salvatores. Un numero impressionante.
Una comunicazione che non sembra conoscere la crisi, consolidata e fortemente caratterizzata. Mulino Bianco è una storia (di successo) italiana, un marchio nato in un momento difficile e diventato tradizione.
La Gazzetta del Pubblicitario e in particolare l’autrice dell’articolo desiderano ringraziare Barilla e l’Archivio Storico, nelle persone del curatore dott. Giancarlo Gonizzi e del signor Roberto Pagliari, testimoni e custodi di questa incredibile ricchezza. L’Archivio è consultabile anche online e si aggiorna continuamente con nuovi tesori. Un must know per tutti gli addetti ai lavori e i semplici appassionati.