David Ogilvy è certamente un nome che dice molto non solo ai lettori di Gazzetta, ma soprattutto ai professionisti che si occupano di comunicazione pubblicitaria. Il motivo è presto detto: il nativo di West Horsley, piccolo villaggio a sud ovest di Londra, è riconosciuto come il padre della “brand image”, uno dei concetti più importanti per la pubblicità e per chi se ne occupa da un punto di vista comunicativo. Rilevanza riconosciuta anche dalla Treccani che sul suo sito definisce la brand image come “l’immagine di una azienda produttrice di beni o servizi così come viene realmente percepita dai consumatori”
Una strada irrequieta verso la pubblicità
David Ogilvy nasce nel 1911 e la traiettoria che lo porta alla pubblicità è inusuale. Bocciato da Oxford nel 1931, sintomo di una famiglia di provenienza senza particolari problemi economici, Ogilvy si sposta a Parigi e accetta un lavoro come apprendista chef all’Hotel Majestic. Un’esperienza che lascia una traccia nella sua mente e di cui ricorderà soprattutto l’atteggiamento dello Chef della cucina, come scriverà poi nel libro-manifesto Confessions of an Advertising Man pubblicato nel 1963: “Sono rimasto scioccato dalla sua spietatezza, ma ha fatto sentire a tutti gli altri Chef che stavano lavorando nella migliore cucina del mondo”.

L’esperienza nella ristorazione è però di breve durata perché già dopo un anno Ogilvy è di ritorno in Inghilterra dove accetta un lavoro come venditore di fornelli porta a porta. Talento e abilità commerciale sono così accentuati che su richiesta del suo datore di lavoro nel 1935 scrive una guida per i suoi colleghi. Proprio quel libro è il momento che permette l’incontro tra la pubblicità e David Ogilvy.
Suo fratello maggiore infatti è account manager per l’agenzia pubblicitaria di Londra, Mather & Crowther. Sottopone il libro del fratello minore ai suoi superiori che colpiti da quel che leggono decidono di assumere quel giovane dal talento così cristallino per le vendite con il ruolo di copywriter. A trent’anni di distanza, invece, la rivista Fortune definirà Confessions of an Advertising Man come il più bel manuale di vendita mai scritto.
Gli Stati Uniti e un rapporto che diventa scelta di vita
Come per altri settori anche gli Stati Uniti vengono ritenuti una frontiera ancora tutta da esplorare per il mercato europeo e le strategie pubblicitarie non fanno eccezione. Così David convince la Mather & Crowther a spedirlo oltreoceano nel 1938 per un viaggio di aggiornamento professionale. Quel viaggio diventerà una scelta di vita perchè David Ogilvy non tornerà più indietro e anzi nel 1939 si dimetterà dal suo incarico prima di lavorare, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, per l’intelligence britannica negli Stati Uniti raccogliendo informazioni sull’America Latina.

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Terminata la guerra David prova a fare l’agricoltore per tre anni una volta stabilitosi con la famiglia in Pennsylvania, ma quando capisce che la terra non fa per lui riesce in qualche modo a convincere il fratello, lo stesso che lo aveva introdotto nell’agenzia pubblicitaria a Londra parecchi anni prima, a fondare insieme ad altri due soci nel 1948 un’agenzia propria, la Hewitt, Ogilvy, Benson & Mather.
Le campagne iconiche di Ogilvy: Guinness, “la benda” e Rolls Royce
L’interpretazione di Ogilvy e della sua agenzia alla pubblicità è diversa da quello dominante del periodo: niente approccio di vendita rapida e dura, si punta più sul lungo termine e su una vendita morbida, puntando sulla costruzione del riconoscimento del marchio (il detto concetto di brand image) attraverso testi lunghi, informativi, orientati ai vantaggi e persone o simboli accattivanti. La prima campagna di successo è del 1950 con l’associazione tra la birra Guinness e una serie di affascinanti alimenti con cui potesse essere gustata, cominciando con le ostriche e proseguendo attraverso abbinamenti con selvaggina e formaggi

L’anno dopo è il momento di una della campagne più iconiche che Ogilvy abbia mai realizzato. Si tratta infatti dell’immagine di “The Man in the Hathaway Shirt”, con cui David decide di accompagnare il marchio usando come testimonial il barone George Wrangell con una benda da pirata sull’occhio destro (a quanto si dice acquistata per 1 dollaro in un negozio vicino al set dove furono realizzati gli scatti). La foto appare per la prima volta sul New Yorker del 22 settembre 1951, il marchio d’abbigliamento diventa in poco tempo simbolo di stile ed eleganza e le camicie diventano introvabili in tutta New York.

“A 60 miglia all’ora, il rumore più forte in questa nuova Rolls-Royce proviene dall’orologio elettrico”. Nel 1958 Ogilvy e la sua agenzia regalano alla casa automobilistica americana uno slogan che nell’anno successivo le permette di raddoppiare le vendite delle auto. L’annuncio è pubblicato solo su due giornali e due riviste per un costo totale di 25mila dollari ed è un successo tale che Ford nel 1959 basa la propria campagna, ben più costosa, sulla promessa che l‘automobile fosse persino più silenziosa della Rolls Royce decantata nel testo di Ogilvy dell’anno precedente. Un claim che venne in mente al pubblicitario dopo aver studiato attentamente auto per tre settimane.

Il mito di Ogilvy vive ancora oggi
David Ogilvy si è ritirato dall’attività professionale nel 1973 e si è spento nel 1999, ma la sua eredità come le sue agenzie pubblicitarie sono più forti e presenti che mai. Nei numeri, con 132 uffici disseminati in 82 paesi in tutto il mondo, e nei riconoscimenti. A marzo 2022 infatti, come si può leggere sul sito ufficiale di Ogilvy, il World Advertising Research Center (WARC) ha eletto le agenzie Ogilvy come le più creative al mondo per il secondo anno consecutivo nella sua classifica annuale Creative 100 delle agenzie, reti e campagne più creative del pianeta.

Un altro elemento, ce ne fosse mai bisogno, che colloca necessariamente David Ogilvy tra i grandissimi della storia della pubblicità mondiale, in un tavolo ristretto che comprende nomi come quello di Leo Burnett.
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