Sembrava una vicenda sepolta nei faldoni del Palazzo di Giustizia di Milano, conclusa con una condanna interamente scontata. Parte da qui e si trasforma in un autentico trattato della comunicazione e del marketing dell’Italia degli anni ’80 Wanna, la nuova serie di Netflix che torna, dopo Abercrombie & Fitch a fare un’incursione nel mondo della pubblicità. Una donna, una madre, un’imprenditrice e un’antieroina italiana. Tutto questo e molto altro, nel nome di Wanna Marchi.
Poche storie in Italia riescono a descrivere in maniera così perfetta la società e i media come la storia di Wanna Marchi. Il suo nome negli ultimi anni si è legato a una triste e dolorosa vicenda giudiziaria, ma la sua storia inizia negli anni ’60, nella provincia emiliana. La nuova miniserie di Netflix (prodotta da Fremantle Media con Gabriele Parpiglia alle interviste) dall’evocativo titolo Wanna, intende raccontare proprio questo: una donna, sola, sotto i riflettori, vittima di sé stessa e di un senso di onnipotenza che ha finito con l’annientarla. Mai pentita, mai doma, coerente fino alla fine, conscia dell’odio che un intero paese le ha riversato addosso, “Wanna Marchi potete fermarla solo se la uccidete”. Ebbene, è ancora tra noi.
Diciamolo subito: vista l’aura di polemica che il lancio di questo prodotto si è (ovviamente e inevitabilmente) trascinata dietro, in questa sede non è nostra intenzione esprimere alcun giudizio sulla persona Wanna Marchi e sulle condanne penali che ha scontato. Crediamo sia però giusto accendere uno spotlight sul personaggio Wanna e sul suo apporto, tutt’altro che marginale, al mondo della pubblicità.

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Una storia di provincia
Come dicevamo, siamo a Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, e sono gli anni ’60. Vanna Marchi è una volitiva casalinga emiliana, alle prese col mènage familiare. Appena diciottenne ha sposato Raimondo Nobile, di professione rappresentante, che trascorre la maggior parte del suo tempo lontano da casa. Ha due figli, Maurizio e Stefania, ai quali è fermamente intenzionata a non far mancare nulla. Dopo pochi anni di matrimonio il rapporto coniugale naufraga. Raimondo non porta i soldi a casa, preferisce, forse, spenderli per sé e le numerose amanti. Vanna deve rimboccarsi le maniche e riprende il suo vecchio lavoro, quello di estetista.
Finisce per dedicarsi alla tanatoestetica. Un giorno, all’obitorio di Bologna, arriva una giovane ragazza morta in un incidente stradale. Vanna la trucca per le esequie, mettendoci dentro tutta la dedizione di cui è capace. Il risultato è eccezionale, la famiglia è commossa e le elargisce una mancia di un milione e cinquecentomila lire in contanti. Quella somma è la svolta: Vanna compra una macchina nuova e inizia a girare per i centri estetici della provincia di Bologna, proponendosi come collaboratrice. Lavora bene, guadagna bene: in breve può aprire un centro tutto suo, a Ozzano, e si mette in proprio effettuando trattamenti e vendendo prodotti che lei stessa seleziona.
Flash forward agli inizi degli anni ’80. L’avvento della tv commerciale ha prodotto una galassia di canali, situazioni e personaggi che grazie alla pubblicità vivono e prosperano. Sono gli anni di Aiazzone, della Fininvest, delle pionieristiche tv locali. Alla porta del centro estetico di Vanna si presenta un ragazzino che vende pubblicità e che, a detta della stessa Marchi, sembra non passarsela tanto bene. Vende spazi in una tv privata, per un contenitore di televendite chiamato Gran Bazar dove chiunque abbia un prodotto da vendere può autogestirsi uno spazio e il pubblico da casa, telefonando, può acquistare. Vanna si lascia convincere e compra tre spazi per proporre le sue creme di bellezza. Durante i primi due non vende nulla, all’ultimo passaggio si presenta in lacrime davanti alle telecamere scusandosi con il pubblico per la propria inadeguatezza. I centralini impazziscono e le vendite esplodono.

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Da Vanna a Wanna
Vanna diventa Wanna, con la W, e nasce in questo momento il personaggio televisivo che per vent’anni catalizza il mondo delle televendite e i salotti televisivi di tutte le reti nazionali. Nasce lo stile che è la sua cifra. Wanna non vende lusingando, blandendo, con toni benevoli e sorrisi melliflui. Wanna Marchi è un tornado, si presenta in video truccata in modo improbabile e con pettinature ai limiti dell’impossibile: Wanna urla, si agita, parla con un tono di voce altissimo e soprattutto non le manda a dire. Le sue vittime preferite sono le donne in là con gli anni, che si sono lasciate andare, che non curano il proprio corpo. Le grasse, le “lardose” come le chiama lei, le sciattone. Per loro ci sono solo due alternative: comprare i suoi prodotti e dimagrire o rassegnarsi a un’esistenza di sofferenze.
Il pubblico è scioccato, ma il marchio Wanna Marchi diventa un impero. I prodotti vendono, il fatturato è imponente, lei coopta la figlia Stefania e nasce quel binomio inscindibile destinato, in seguito, a scrivere il proprio nome nelle cronache giudiziarie. Wanna e Stefania come le Thelma e Louise delle alghe dimagranti, come le Desperate Housewives dello scioglipancia (il loro prodotto bestseller, inventato da Stefania durante una sosta in Autogrill e pubblicizzato prima ancora che fosse realizzato). Wanna e Stefania che dichiarano guerra al lardo, armate di cosmetici e urla. Contemporaneamente, Wanna Marchi viene invitata in tutte le trasmissioni più seguite, rilascia interviste, incide persino un pezzo disco dance (intitolato come la sua catchphrase/tormentone ….d’accordo?), diventa un personaggio di costume. Sempre con il sorriso sprezzante, l’ironia fuori dagli schemi, la sfacciataggine inscalfibile.
L’impero, dicevamo. Un impero fatto anche di lati oscuri, come un presunto legame con la camorra (nella persona di una socia di Wanna con un passato di condanne per favoreggiamento al clan Cutolo), bancarotte, fallimenti, cadute, rinascite. Con due grandi costanti: l’ossessione per i soldi e soprattutto la convinzione di essere invincibili. È soprattutto quest’ultimo aspetto ad essere, in qualche modo, il preludio della fine. Dopo aver distribuito in tutta Italia prodotti per la cura del corpo si convincono di poter fare di più. Stringono un sodalizio con il sedicente marchese Attilio Capra de Carrè, potente piduista con amicizie molto altolocate. È in casa del marchese che conoscono il carismatico cameriere brasiliano Mario Pacheco Do Nascimiento.
Di maestri di vita e tapiri di sale
De Carrè fa avere alle Marchi nuovi spazi televisivi e Wanna e Stefania, insieme a Do Nascimiento, cambiano target: non vendono più prodotti di bellezza ma numeri fortunati del lotto, forniti, a loro dire, dal “maestro di vita” brasiliano, sensitivo e in grado di elaborare per ciascuno spettatore un piano personalizzato per attirare in maniera certa fortuna e denaro. Si tratta della truffa a base di metodi estorsivi e intimidatori che agli inizi degli anni 2000 viene smascherata da Striscia la Notizia e porta Wanna e Stefania (dopo un processo show celebrato interamente a favore di telecamera) in carcere e il Mario Do Nascimiento latitante in Brasile.

Fin qui i fatti. Wanna non è solo, come dicevamo, il racconto di quarant’anni di vita di una donna che, nel bene e nel male, ha segnato il costume italiano. Dalla viva voce dei protagonisti (oltre a Wanna e Stefania intervengono Roberto Da Crema, il mitico “baffo”, gli inquirenti dell’inchiesta sui numeri del lotto, Jimmy Ghione per Striscia e tanti altri personaggi che a vario titolo hanno condiviso pezzi di vita con il malefico duo) ricostruiamo uno spaccato perfetto della società italiana e del suo modo di rapportarsi (e fidarsi) col piccolo schermo. Una tv che affascina, che affabula, che costruisce mondi ideali, una tv in cui basta raccontare qualcosa per diventare automaticamente credibili e degni di fiducia.
La maestria di Wanna Marchi stava, e tutt’ora risiede, in questo: costruire mondi immaginifici davanti agli occhi dei suoi spettatori conquistando la credibilità ponendo sé stessa a baluardo di ciò che è vero. Guardatemi, io sono qui, non potete non ascoltarmi, non potete non vedermi. Io sono qui e vi dico che questo funziona e voi dovete credermi. L’incipit della prima puntata è iconico: Wanna, ormai ottantenne ma sempre elegante, unghie smaltate, impeccabilmente truccata e dai capelli perfetti, vende una penna citando Jordan Belfort, il truffatore la cui storia ha ispirato il blockbuster The Wolf Of Wall Street.

Wanna è un trattato di marketing e comunicazione dell’era globale. C’è dentro tutto: il naming dei prodotti, le tecniche di vendita e di approccio telefonico, il customer care, persino la creazione di un CRM personalizzato (ideato dal nuovo compagno di Wanna) e il nurturing della clientela, per non parlare dell’aggancio dei prospect. Chiunque voglia approfondire il nostro mondo non può prescindere dallo studio del metodo Wanna e Stefania, pur senza mai dimenticare gli effetti nefasti che questo metodo ha avuto quando è stato portato all’estremo.
Le tante polemiche che hanno accompagnato il debutto in piattaforma delle quattro puntate sono state, secondo noi, anche figlie di un certo pregiudizio. Wanna è una serie che gli appassionati e gli addetti ai lavori del nostro mondo semplicemente devono vedere, per entrare nel mondo di una donna che, totalmente dal nulla e completamente con le sue mani, ha di fatto inventato da zero un modo di vendere. D’accordo?
credits immagine di copertina: Netflix