A ridosso di IF (Italian Festival) è nato il profilo Instagram Gentilissima Rivolta che raccoglie alcune testimonianze di gravi situazioni di lavoro nelle agenzie. Difficoltà psicologiche, economiche e anche fisiche che devono aprire una riflessione.
“Non abbiamo nessun potere ma possiamo dare fastidio”. È questa la base di una rivoluzione digitale o, per dirla corretta, di una gentilissima rivolta. È quanto sta accadendo con l’omonimo profilo Instagram aperto a ridosso dell’Italians Festival di Milano parafrasando ironicamente il payoff dell’evento “Rivoluzione della Gentilezza”. L’idea è semplice: aprire un canale che possa posizionarsi a metà tra lo sfogatoio gentile e lo squarcio dell’omertà di quanto accade nelle agenzie. Un invito a riportare nei messaggi privati testimonianze di vita vissuta, spesso drammatica, dentro gli uffici dei maggiori player mondiali. Lacrime e pochi soldi: ne esce un quadro desolante.

L’anonimato e perchè prenderlo con le pinze
Trattandosi di messaggi anonimi e in direct il tutto va preso con la giusta considerazione e con le pinze. L’anonimato non permette riscontri oggettivi (fondamentali per un’attività giornalistica) come denunce o documenti. Lo stesso anonimato spesso lascia spazio a possibili esagerazioni. Questo il motivo per cui La Gazzetta del Pubblicitario non riporterà alcun nome delle agenzie citate (che avrebbero comunque diritto di replica). Al netto di questo, però, emerge un fenomeno di malcontento e di condizioni di lavoro difficili presumibilmente molto diffuso vista la crescita veloce del movimento. La sensazione è che sia sufficiente fornire anche solo una piccolissima valvola di sfogo per far saltare fuori un mondo che non è così bello, perfetto, artistico e creativo come nelle pubblicità.

Le lacrime in bagno e i 300€ per sei mesi
Il movimento, dunque, si sta allargando a macchia d’olio e il profilo Instagram ha raggiunto gli 8.000 follower. Il fulcro di tutto è la storia salvata in evidenza “Testimonianze”. Si inizia con il racconto di una realtà formata quasi completamente da stagisti sottoposti a giornate di lavoro di dieci ore e con l’obbligo di lavorare da casa se malati proseguendo per le proposte di stage di sei mesi a 300 euro. Si passa, poi, alle lacrime in bagno per la rabbia, la frustrazione oppure l’ansia a sottolineare una condizione psicologica di grande tensione (ma che il mondo della pubblicità e creativo sia estremamente competitivo e spesso spietato non è esattamente una novità purtroppo).
“Lo ha preso per i capelli”
Vengono riportate anche proposte di stage a getto continuo rimandando eventuali contratti il più possibile. L’episodio più grave, probabilmente, è la testimonianza (non anonima stavolta) di un account che avrebbe tirato per i capelli un art davanti al video. Un atto di violenza molto grave che, qualora sia fondato, andrebbe segnalato alle autorità (pur essendo molto difficile per un milione di implicazioni, ne siamo consci). Molto serie anche le accuse di presunti abusi psicologici che hanno portato ad un bornout e l’ampio ricorso al lavoro in nero. Fioccano pure gli striminziti part time. Lavoro in nero che dovrebbe, anch’esso, portare a segnalazioni immediate alle forze dell’ordine oltre che su Instagram (ammesso e non concesso siano avvenute).
La fama “positiva” dell’esperienza negativa
Un paio di testimonianze riportano di un certo gradimento da parte delle posizioni di vertice per la cattiva fama delle condizioni di lavoro delle agenzie attirando, così, solo lavoratori motivati. O ancora l’annuncio del mancato pagamento degli straordinari perché “in questo settore si lavora per obiettivi” (ma qui, va detto, andrebbe anche capito in che modo vengono poi retribuiti gli obiettivi perché potrebbe trattarsi di banale organizzazione interna accettata dai lavoratori con un accordo).
Pregi e difetti de La Gentilissima Rivolta
Gentilissima Rivolta, quindi, ha un enorme pregio e un grande difetto. La sua intuizione positiva è di squarciare il velo di una certa omertà portando a galla situazioni al limite e ponendo un interrogativo forte sull’accettabilità di certe dinamiche. Il limite, però, è di fermarsi lì (o quantomeno questo è quello che si intuisce). Per scardinare certe dinamiche incancrenite bisogna, invece, lavorare per dare a questi lavoratori (in larga parte giovani) strutture e soggetti che possano confrontarsi con i datori di lavoro da pari a pari. Costruire una rappresentatività forte che vada oltre la debolezza dell’individualità (come sono anche le singole denunce anonime). Chiedere, pretendere o spiegare meccanismi di denuncia che proteggano il lavoratore più esposto nelle sue legittime ambizioni di carriera. Un sindacato? Non propriamente, ma qualcosa che protegga vista la peculiarità di questo mestiere. Un lavoro molto più profondo di un semplice profilo Instagram che raccoglie messaggi (che pure è un inizio da cui partire). Dare fastidio non è un obiettivo funzionale se non è seguito da una volontà di cambiamento. Funzionerà se non sarà solo un passo utile all’engagement ma sarà il primo di qualcosa di più. Magari accadrà.
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