Fotografia d’autore e pubblicità: ecco i casi più indimenticabili

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18 Ottobre 2022
Tocca mettersi comodi

Il rapporto tra fotografia e pubblicità appare legato indissolubilmente. Quando la ricerca fotografica dei grandi maestri si è accostata alla pubblicità ha segnato dei punti di svolta, talvolta producendo delle campagne fuori dal comune.

Da quando l’uomo ne ha avuto facoltà ha sempre avvertito la necessità di raccontare. L’ha fatto in primo luogo attraverso il linguaggio e la scrittura, sviluppando contemporaneamente un’altra modalità per narrare i fatti: quella delle immagini. Ha scoperto che, a differenza della parola, l’immagine è spesso più immediata.

Talvolta può racchiudere in sé diversi tipi di messaggi: nascosti, ambigui e contraddittori. La forza dell’immagine sta di certo nella sua maggiore comprensibilità, rispetto alla lingua. L’avvento del digitale ha poi amplificato ulteriormente questo valore, attraverso la diffusione esponenziale di fotografie e illustrazioni.

Con il sorgere della società industriale si è avvertita la necessità di comunicare in maniera differente: si è cercato di arrivare a tutti in maniera efficace, semplice. Nel corso degli anni il metodo pubblicitario si è consolidato, cristallizzandosi in vere e proprie scuole.

Nella storia della pubblicità, soprattutto negli USA (mentre la pubblicità italiana seguirà un corso a sé stante), la parola venne preferita all’immagine. Potremmo citare ad esempio le incredibili campagne della compagnia Avis, capaci di emozionare con la sola forza del copy. Poche raffigurazioni, tanto testo. Possiamo dire che, nella maggioranza dei casi, l’illustrazione aveva il compito di aiutare il lettore a comprendere meglio, a costruire una relazione con il principale driver del messaggio: il copy. Pian piano, grazie all’avvento della fotografia e di tecniche grafiche sempre più avanzate, il rapporto, sbilanciato a favore del testo, verrà sovvertito.

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Credits: Business Insider

Quando le immagini diventarono predominanti nella comunicazione di marca? E quando la fotografia entrò potentemente in questo settore, lasciando alle parole e ai copywriter uno spazio sempre più esiguo per comunicare?

Due sono i motivi fondamentali: anzitutto il pubblico iniziò ad abituarsi a scorgere le fotografie riportate sui quotidiani, volte a documentare eventi talvolta lontani nello spazio e nel tempo. Inoltre risultò evidente alle agenzie che l’immagine agiva in maniera più efficace nel creare uno storytelling capace di far immedesimare il consumatore e, inoltre, combinata con un testo capace di attrarre, dava la percezione di credibilità assoluta.

Nella storia della pubblicità e del rapporto con la fotografia c’è un momento topico che fissa meglio un atteggiamento che si muoveva sottotraccia da tempo in tutto il settore.
L’occasione è stata data dal rebranding della sigaretta Marlboro – nata come sigaretta da donna –  da parte del colosso del tabacco Philip Morris. La proposta creativa venne affidata a Leo Burnett, che propose una straordinario ribaltamento per i canoni dell’epoca: prendendo ispirazione da una serie di foto apparse sul periodico Life, i creativi promossero l’idea del Marlboro man.

Credits: VIntag.es

Inutile dire che la coraggiosa scelta di affiancare la fotografia del cowboy produsse un successo inimmaginabile che portò l’azienda a diventare in pochi anni leader di mercato. L’immagine, preponderante rispetto al copy, trasmetteva l’idea dell’uomo vero, coraggioso, che vive a stretto contatto con la natura. I valori incarnati dal cowboy venivano trasmessi al prodotto, producendo nella mente del consumatore un processo di immedesimazione.

Credits: Los Angeles Times

Quando la fotografia, soprattutto quella autoriale, incontra il mondo della pubblicità, nella maggior parte dei casi, produce effetti sbalorditivi.

In particolare, nella produzione d’autore, la sensibilità artistica ed estetica dei grandi maestri sfocia in una produzione artistica senza precedenti, totalmente diversa da quella che viene definita fotografia commerciale. Il tutto però non è spiegabile semplicemente attraverso una capacità tecnica superiore. Rimane qualcosa di particolare, legato alla sensibilità e alla coscienza dell’autore che proietta nell’immagine qualità che altre foto semplicemente non hanno.

La scelta è ricaduta su alcuni artisti, che si sono avvicinati al mondo della pubblicità per vie traverse ma che hanno scavato un solco profondissimo nella percezione della comunicazione di marca.

Elliott Erwitt

Elliott Erwitt è tra i fotografi del Novecento che ha plasmato di più lo sguardo dell’uomo contemporaneo. Le sue fotografie sono diventate veri e propri simboli o icone – come si suole definirle – e sono state riusate in svariati modi, reinterpretate e imitate. Il suo sguardo ironico e smaliziato ci ha lasciato grandi capolavori, come i notissimi ritratti di Che Guevara e Marilyn Monroe, capaci di cogliere qualcosa in più del carattere di questi uomini.
Da autore di un certo tipo di fotografia Elliott si è confrontato anche con la pubblicità, scattando quella che è forse una delle sue foto più celebri.

Credits: 4live

Il fotografo fu ingaggiato per fare una campagna per il turismo francese nel 1955. Contrariamente a quello che si può pensare ad un primo sguardo, così come per moltissime altre foto scattate dal maestro, questa scena è totalmente costruita. Tradisce quindi l’idea del fotografo della realtà, capace di cogliere e documentare il momento.
La foto, coerentemente con il suo scopo, vuole rappresentare un certo modo di vivere: un bambino portato in bici dal nonno, un mondo tranquillo, la baguette che ci riporta in Francia e il basco, tipico della zona. La foto, nella sua semplicità, altro non è che la combinazione sapiente di tutti i clichè. L’immagine ebbe talmente tanto successo che venne usata molte volte, con scopi diversi. La sua genialità sta nel trasmettere esattamente quello che si propone, con una forza che non ha bisogno di parole e di aggiunte.

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Credits: Plazart

Corinne Day

Corinne Day è forse l’autrice meno conosciuta tra quelli citati, eppure fu colei che portò alla ribalta un nuovo modo di fare fotografia di moda e permise al mondo di scoprire la top model Kate Moss. Corinne iniziò come fotografa documentarista ma ad un certo punto della sua carriera venne ingaggiata dalla rivista The Face per realizzare uno shooting di moda. Siamo nel giugno del 1990 ed è molto importante ricordare cosa era stata fino ad allora la fotografia del mondo del fashion. Quello che appare nelle riviste più glamour dell’epoca descrive una struttura fotografica sempre identica: una top model perfettamente truccata, lo sguardo magnetico e accattivante che guarda il fotografo e nessuna sbavatura. Intorno a lei non accade nulla: lo sfondo è statico, pulito, perfetto.

La sensibilità da foto-documentarista porta, in questo caso, un altro risultato. Corinne Day trovò una ragazza, una giovane modella ancora sconosciuta. Kate negli scatti risulta naturale: fuma, fa delle smorfie, appare lontanissima dall’ideale che veniva rappresentato da altre riviste di settore. Il contesto invece è quotidiano, normale, sporco. Da lì in poi la fotografia legata alla moda, quindi una pubblicità legata alla marca di lusso, si trasformò e mutò per sempre. La coscienza dell’autore ha avuto anche in questo caso un ruolo decisivo.

Oliviero Toscani e Jesus Jeans

Oliviero Toscani è oggi uno dei fotografi di moda più importanti e più rivoluzionari. Sebbene abbia avuto un tipo di approccio più legato alla comunicazione di marca, il suo modo di produrre è sempre stato creativo e originale. È conosciuto fondamentalmente per le rivoluzionarie campagne Benetton, in cui l’autore sperimentò a tal punto da far scomparire il prodotto all’interno della pubblicità, rimanendo in grado di stupire, irritare e far parlare di sé. Probabilmente, in lui, un certo tipo di sguardo e di sensibilità sono dovuti all’influenza del padre – fotoreporter per il Corriere della Sera – e dai numerosi incontri con personalità artistiche di primo piano tra cui Andy Warhol, Duchamp e Itten.

Credits: Vice

In un contesto vivace come quello degli anni ‘70 l’imprenditore torinese Maurizio Vitale, proprietario di Robe di Kappa, decise di lanciare la sua linea di blue jeans e di chiamarla Jesus, traendo ispirazione dal celebre musical Jesus Christ Superstar. La campagna di lancio del prodotto venne affidata all’amico Toscani.

Il soggetto è l’ingrandimento a tutta pagina di un lato b con indosso dei jeans. Il copy, ideato da Emanuele Pirella, non poteva che essere geniale e al contempo provocatorio: “Chi mi ama mi segua! Non avrai altro Jeans all’infuori di me”. L’accostamento tra il riferimento biblico, il nome della marca e l’immagine blasfema fecero parlare molto dell’azienda e di Toscani. Basti solo pensare che uno degli intellettuali di punta del periodo, Pier Paolo Pasolini, scrisse un lungo editoriale sul Corriere dal titolo “Il folle slogan dei Jeans Jesus”.

Credits: Harper’s Bazaar

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Ferdinando Scianna e D&G

Ferdinando Scianna è uno dei fotografi italiani di maggior rilievo. Risulta particolarmente difficile rinchiudere in un’etichetta la sua ecletticità, che lo vide variare tra fotografia e scrittura. Scianna rappresenta uno dei maestri del fotogiornalismo.
Dopo aver vinto il prestigioso premio Nadar, ha lavorato come fotogiornalista per la rivista l’Europeo, incontrando mostri sacri come Oriana Fallaci. Nel 1987 quando due giovani stilisti emergenti lo chiamarono per realizzare il catalogo della propria collezione, era già membro dell’agenzia Magnum.

Credits: Minervaauctions

Proprio in un contesto come quello siciliano, Scianna propose qualcosa che va al di là della fotografia di moda, almeno di quella che era in voga fino a quel momento. Tradendo l’ideale di fotoreporter che documenta il reale e l’attimo, secondo il lascito di Cartier-Bresson, Scianna si spinse verso una realtà costruita, ricca di finzione, dove la modella sfila tra gli abitanti della cittadina siciliana. Il risultato è qualcosa di straordinario: una capacità di narrare tante storie, riuscendo a combinare in maniera efficace la comunicazione di marca con il racconto di un certo tipo di Sicilia. Inoltre riuscì a stravolgere il concetto di shooting fotografico per il brand di lusso. La collezione di moda e la sua comunicazione per immagini è pur sempre qualcosa di solenne, che non prescinde da precisi rituali. Nelle riprese di Scianna tutto appare avvolto da un alone di quotidianità e semplicità.

Credits: Milanofashionlibrary.it

McCurry e Lavazza

È il 2015 quando il fotoreporter americano Steve McCurry partecipa alla creazione del calendario per Lavazza dedicata agli Earth Defenders. McCurry è già uno dei fotoreporter più conosciuti al mondo, reso particolarmente celebre dalla foto della ragazza afgana dagli occhi verdi che finì come copertina di National Geographic del 1985. Quando venne chiamato dall’azienda torinese sotto la regia artistica dell’agenzia Armando Testa era praticamente una celebrità. Il racconto in questo caso vede in un calendario il prodotto finale. Si tratta di dodici scatti, che hanno come scopo l’esaltazione dei difensori della terra, uomini e donne che svolgono il duro lavoro della coltivazione del caffè in Africa. Il progetto sposa una singolare richiesta di Lavazza, che vuole unire la rinnovata spinta sostenibile in maniera emozionante e sensazionale. Questo sarà solo il primo dei numerosi progetti che l’azienda porterà avanti negli anni successivi con fotografi di fama internazionale.

Credits: Arte Svelata

McCurry porta nella sua ricerca tanti dei suoi tratti caratteristici. I colori particolarmente accesi, la scelta della scena, i paesaggi in cui sono immersi raccontano in certo modo i valori che l’autore vuole fare emergere dai personaggi immortalati. Rimane però in questo tipo di produzione l’ambivalenza che la rende totalmente diversa da quelle viste in precedenza: le scene rimangono un po’ impostate, con poca naturalezza. Questo è probabilmente uno degli obiettivi dell’autore, confermato dal fatto che in alcune foto compare la tazzina Lavazza, a ricordarci, forse, chi è il vero protagonista della comunicazione.

Credits: 2luxury2

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Sebastião Salgado e Illycaffè

Il fotografo brasiliano Sebastião Salgado ha sempre avuto un rapporto molto particolare con l’industria di caffè. Suo padre perse il lavoro e dovette rimettersi all’opera proprio nell’industria che produce la bevanda più bevuta al mondo.
Salgado riuscì ad allontanarsi dalla sua terra natia e dopo una laurea conseguita in Europa, entrò per vie traverse nel mondo del caffè, lavorando per la International Coffee Organization. Proprio il suo lavoro lo porterà a visitare i luoghi del mondo dove la produzione è più consistente. A partire da questo episodio Salgado lasciò il lavoro e si dedicò finalmente alla fotografia, diventando l’artista conosciuto oggi. Un incontro successivo con la famiglia Illy gli permetterà di affrontare un lavoro fotografico che porterà a una lunga e fruttuosa collaborazione.

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Credits: Adnkronos

Attraverso la sua ricerca Salgado cercherà sempre di conciliare l’estetica con l’impegno documentaristico: l’obiettivo è rivelare e quindi far prendere coscienza.
Nel suo lavoro il fotografo vuole mettere al centro l’uomo, i lavoratori ,attraverso il linguaggio estetico che ha sviluppato. Il risultato è un progetto dove risalta la bellezza e la dignità di quella gente, che riesce a comunicare perfettamente al grande pubblico. Il progetto permette all’artista di ritornare ai luoghi della sua infanzia, ad esplorare la sua ricerca antropologica e naturalistica al contempo permette a Illycaffè di comunicare non solo il proprio brand, ma anche ciò che gli sta a cuore.

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Credits: Illycaffè

La fotografia d’autore come sguardo privilegiato

I brand hanno compreso nel tempo che la forza di questi grandi artisti sta nel comunicare attraverso immagini non convenzionali i messaggi che più hanno a cuore. I tentativi possono essere più o meno riusciti, possono piacere o meno: quello che importa è che questo tipo di fotografia generi un rumore particolare. Gli artisti da parte loro hanno intuito le infinite potenzialità per riuscire a comunicare la propria estetica grazie alla forza del brand.

L’obiettivo degli artisti e delle aziende sta nel cercare, oltre ad una certa tecnica ed estetica, qualcosa che affascini, che muova. Nella ricerca artistica il fotografo non appare come qualcuno che scatta una foto esteticamente perfetta, ma come qualcuno che ha la coscienza di ciò che vuole raccontare.

Da parte del consumatore possiamo dire che la grande fotografia autoriale cambia il modo in cui esso guarda la pubblicità. Serge Daney diceva che siamo diventati ciechi davanti alla ipervisibilità del mondo. Immagini su immagini ci scorrono davanti agli occhi in un continuo loop senza fine. L’eccesso di visione ci ha condotto per paradosso alla cecità. Per l’uomo contemporaneo, immerso nella società delle immagini, è sempre più difficile riconoscere qualcosa.

I tentativi di comunicare la pubblicità, il marchio e i valori del brand, oltre a legare il nome a un artista più o meno riconosciuto e ad un tipo di fotografia più o meno impegnata fanno si che almeno queste immagini non passino inosservate ai nostri occhi.

Ci leggiamo presto!

Image credits cover: artuu.it

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