Partiti oggi i Prime Day di Amazon ma quanti soldi portano questi ribassi al colosso mondiale? Ecco come un calo fisiologico dei prezzi è stato trasformato in una macchina di marketing da soldi
E’ ancora quel periodo dell’anno che Amazon ha saputo inventarsi da zero. Qualcosa di sconosciuto alla nostra cultura ma che, ricalcando il macro-concetto dei saldi, è ormai un appuntamento atteso: i Prime Day. Oggi è stato levato il velo e per 48 ore la compagna di forti ribassi sulla piattaforma sarà attiva su un’ampia gamma di beni di consumo (più o meno basilari). Conviene, però, tutto questo al colosso dell’e-commerce? La prima risposta è drammaticamente banale ma va data: sì, altrimenti non lo riproporrebbe con cadenza annuale. Il nodo, semmai, è capire quali siano le dimensioni di questa convenienza.
Una mostruosa crescita del +700%
Iniziamo con lo specificare che Amazon non rilascia bilanci ufficiali (solo nel 2020 Jeff Bezos aveva santificato 3,5 miliardi di dollari di incasso) o dati di vendita ma, ovviamente, ci sono istituti che si occupano di fare la radiografia ai movimenti di mercato. Una di queste, Digital Commerce 360, mostra una crescita vertiginosa dei ricavi di Amazon durante i Prime Day anche in un contesto zavorrato dall’inflazione galoppante post pandemia e durante il conflitto in Ucraina. La progressione negli anni è evidente con le entrate stimate che sono passate da 900 milioni di dollari nel 2015 (un solo giorno di offerte) a 7,2 miliardi nel 2019 (esplosivo +700%). Dal 2019 al 2022 ecco un altro aumento di 5 miliardi di dollari per arrivare ad un totale di 12 miliardi che significano una crescita del +68% (comunque impressionante). Poca roba solo se consideriamo che i Prime Days pesano circa l’1 o il 2% del bilancio annuale di Amazon.

Da 34,4 milioni a 300 milioni di prodotti
La pandemia, chiaramente, ha giocato un ruolo importante nell’abituare i consumatori all’acquisto elettronico ma il +700% dimostra che il fenomeno era già decisamente avviato quando ancora nemmeno sapevamo cosa fosse un coronavirus. La guerra in Ucraina, inoltre, controbilancia questa spinta suggerendo approcci più conservativi alla spesa. Possiamo, quindi, considerare i successi di business del Prime Day come organici. Un altro dato interessante è collegato al numero di prodotti acquistati durante i giorni di promozione: nella prima edizione del 2015 (riservata solo a clienti Prime di Usa, Uk, Spagna, Giappone, Italia, Germania, Francia e Canada) furono 34,4 milioni. Nel 2022 questo numero è salito a 300 milioni (con esplosione anche delle spedizioni). Ovviamente non è casuale nemmeno il mese di luglio. Da una parte si cerca di dare ossigeno a mesi storicamente più fermi commercialmente ma non va dimenticato che secondo alcuni studi (non ultimo quello dell’Adobe Price Index) giugno è un mese dove si registra sempre un calo di circa il 2,6% dei prezzi globali. Ergo abbassare i prezzi subito dopo, a luglio, non è come abbassare ad ottobre: è, in una certa misura, già fisiologico. La differenza, quindi, la fa anche (e soprattutto) il marketing.
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