Puntuale, il secondo episodio dello Speciale Elezioni. Oggi analizzeremo la comunicazione politica di Forza Italia: il bisogno di rinnovamento sembra il grande driver di questa campagna elettorale azzurra, ma i risultati saranno all’altezza dei buoni propositi?
Il partito politico: Forza Italia e l’incubo dell’irrilevanza
Se Forza Italia non è il decano dell’arco parlamentare italiano, molto poco ci manca. Il partito di Silvio Berlusconi si presenta alle consultazioni dal 1994; primato, questo, superato solo dalla Lega (all’epoca Lega Nord), che insedia i seggi di Montecitorio da due anni prima. La forza politica guidata da Silvio Berlusconi ha attraversato tutte le quattro stagioni della Seconda Repubblica, conosciuto apici di successo trasversale e rivestito il ruolo di capocordata di ben tre governi (1994, 2001 e 2008). Eppure, almeno dalle politiche del 2012, gli azzurri si trovano a fare i conti con tutta una serie di magagne che hanno relegato il partito a percentuali al lumicino rispetto al record storico del 37,4% delle politiche del 2008. Secondo gli ultimi sondaggi diramati prima della moratoria pre-voto, il partito di Silvio Berlusconi si attesta attorno a un ben poco lusinghiero 8% che, per quanto risibile rispetto ai fasti del passato, eccede e non di poco le stime più pessimistiche: voci di corridoio, qualche giorno prima, narravano di un possibile piazzamento alle spalle del neonato Terzo Polo. La Premiata Ditta Renzi–Calenda, portabandiera della causa liberale da sempre rivendicata dall’area berlusconiana, è un grattacapo mica da ridere per gli strateghi che affiancano Silvio Berlusconi. Già ridotta a socio di minoranza in una coalizione in cui Giorgia Meloni e Matteo Salvini giocano da assoluti protagonisti, Forza Italia si vede infatti tallonare nel suo spazio politico da un soggetto che i sondaggi danno al 6,8%, a qualche centinaia di migliaia di voti da uno storico sorpasso.
Come risolvere questa sequela di grane? Con una miscela di grandi classici e apertura alla novità che – ed è la tesi di fondo della nostra analisi – cambia tutto per non cambiare nulla. Gli storici cavalli di battaglia del berlusconismo 1.0 hanno semplicemente trovato nuovi canali e registri, ma la campagna elettorale del Cav rimane nei contenuti non troppo dissimile da quella che portò alla nascita del Berlusconi I, Anno del Signore 1994. Vediamo ora nel concreto per quali ragioni.
Il leader: Silvio Berlusconi e non serve aggiungere molto altro (o quasi)
Ci asteniamo dal voler fotografare l’uomo politico Berlusconi in qualche migliaio di battute; sarebbe sfiducia nei confronti dei nostri lettori che, come del resto qualunque cittadino italiano di un età superiore ai dieci anni, lo conosceranno molto bene. Rispetto all’età dell’oro del Discorso del predellino e del Contratto con gli italiani, il leader di Forza Italia ha un problema in più: un documento d’identità che alla voce “Data di nascita” recita, irremovibile “29 settembre 1936”. La voce cavernosa e talvolta tremula e la ragnatela di rughe in viso sono uno spietato segno del passare del tempo, ma Berlusconi sembra risentirne solo in parte.
Il Cavaliere è quello a cui, piaccia o non piaccia, siamo stati abituati dalla Discesa in campo ad oggi: lo showman che intrattiene a suon di barzellette (per l’occasione, diffuse tramite TikTok, ma ci arriveremo più avanti), ma al contempo l’inguaribile specialista in promesse elettorali. Le ottantasei primavere, più che smorzarne il vigore, hanno semmai reso l’incendiario pompiere. Dimenticatevi il pasadaran del liberalismo che polarizzava fino alla combustione il dibattito politico a suon di provocazioni, il capopopolo che invitava gli italiani a non essere così “coglioni” da votare contro i propri interessi. Il Berlusconi di oggi ha riposto l’uniforme da demagogo in favore dei ben più consoni panni dell’eminenza grigia, del padre moderato spesso chiamato a stemperare le bizze e gli afflati di radicalismo dei figli putativi Salvini e Meloni, minacciati a chiare lettere del ritiro dell’appoggio in caso di posizioni troppo sfacciatamente euro-critiche. Il Caimano avrà anche le zanne spuntate, ma senza Forza Italia il centrodestra non ha i numeri per governare, almeno stando ai sondaggi. La matura (e tutt’altro che disinteressata) supervisione di Berlusconi farà ancora la differenza e il suo porsi come ago della bilancia può posizionare con grande forza il leader nella futura probabile coalizione di governo e nella mente degli elettori.
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La comunicazione offline – Un “Potrei ma non voglio” che è un “Vorrei ma non posso”
Appena ritirato il sostegno al Governo Draghi, le intenzioni del Cav sembravano tambureggianti: “Inizio una campagna elettorale che vorrei fare in prima persona, una campagna molto forte diretta a far capire ai cittadini tutte le cose che adesso sembra che ancora non siano chiare”. Era il 29 di luglio e quasi due mesi dopo possiamo affermare che questi intenti si siano concretizzati per metà. A differenza del Partito Democratico di Enrico Letta, Silvio Berlusconi ha effettivamente presidiato da solista la causa elettorale di Forza Italia, lasciando poco (o addirittura alcuno) spazio a figure di secondo piano, esponenti di partito o semplici portatori d’acqua. D’altro canto, come in parte avviene per tutte le forze politiche di centrodestra, Silvio Berlusconi è Forza Italia e Forza Italia è Silvio Berlusconi: siamo così sicuri che, agli occhi dell’indeciso, una governance tanto solistica sia un punto di forza?
Per il resto, la ricetta azzurra in preparazione alle elezioni è tutt’altro che sperimentale. Da un lato, gli OOH e i manifesti, su cui vale la pena soffermarsi con non poca attenzione. Lode agli spin doctor di Berlusconi nell’aver saputo rivalorizzare un formato che ancora oggi può fare la differenza e nell’averlo fatto in grande stile, come nell’occasione del presidio della stazione di Milano Cadorna all’indomani del controesodo agostano. Se scelta del formato e pianificazione sono un piccolo capolavoro di disruption, resta però l’anacronismo di slogan che oseremmo definire vintage (“Vota chi vale”) o redatti in politichese stretto (“Una scelta di campo”).
L’iconografia con cui viene ritratto il Cavaliere, poi, è così posticcia da metter quella tristezza che si prova nell’avere a che fare con l’attempato signore che fa di tutto per camuffare la terza età a suon di tinte e chirurgia estetica: l’abuso di post-produzione e fotoritocco ci restituisce un Berlusconi che sembra dimostrare venticinque anni meno, in contrasto con l’ottuagenario sempre più stanco che vediamo negli studi televisivi e sui canali social.
Resta infine il niet ai comizi, che sa della rinuncia di chi ha rifiutato l’agone per non vederlo trasformare in certo macello. Già in tempi non sospetti, Berlusconi aveva dichiarato di voler evitare dispendiose tournée: “Credo non ci saranno comizi, almeno io considero inutili le presenze territoriali. I comizi devono essere fatti sul territorio dagli appartenenti ai singoli partiti. Non dovranno essere i vertici ad andare in 20 città capoluogo delle oltre 20 regioni italiane”. Nonostante lo sfoggio di buone intenzioni e le velleità di pluralismo, abbiamo buone ragioni di sospettare che evitare il bagno di folla sia la migliore delle idee, soprattutto quando non si ha la certezza del presentarsi di folla alcuna.
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La comunicazione online – il berlusconismo si fa 4.0 (?)
Ne abbiamo discusso, abbiamo riso, sofferto, ci siamo accesi, divisi, confrontati; il momentum, per Berlusconi e Forza Italia, in questa campagna elettorale è coinciso con un istante che è ormai istoriato nella mente di milioni di italiani: l’attivazione di un account di TikTok a nome Silvio Berlusconi.
In realtà la questione è un po’ più complessa e risente di una ratio precisa: la senescenza dell’elettorato di Forza Italia, che alle scorse consultazioni elettorali vedeva più del 59% dei suoi elettori compresi in una fascia anagrafica tra i 55 e i 75+.
Andarsi a prendere i giovani nel loro habitat naturale, in tempi di disaffezione alla politica come sono questi, è un mestiere usurante e qualche promessa (recente, è quella di un salario minimo a 1.000 € per gli under 35) rischia di non essere abbastanza.
Quindi largo ai social, dove Berlusconi è attivo da ormai qualche lustro: la pagina personale del Cav conta seguiti astronomici su tutti i prodotti del gruppo Meta (473.000 seguaci su Instagram, 1.100.000 su Facebook), mentre quella di Forza Italia è staccata di diverse lunghezze (70.000 su Instagram, 235.000 su Facebook). Le parole di Berlusconi hanno, in un certo momento, creato grande attesa: sempre a fine luglio l’ex premier dichiarava: “Farò la campagna elettorale anche sui social network. Un recente studio ha indicato nel 63% degli italiani quelli che si formano la loro opinione politica su Internet, sui social network. Quindi, io per esempio ho deciso di spiegare tutti i punti del nostro programma con delle presenze due volte alla settimana su Internet. Queste mie dichiarazioni sui social dovrebbero essere non superiori a 3 minuti, quindi molto concentrate”.
Spulciare i piani editoriali delle pagine social di Forza Italia, al di là dei proclami, è un’esperienza tutt’altro che entusiasmante. Identità visuale canonica, contenuti che sono un prevedibile mix di dichiarazioni, quotes e promesse e una totale latitanza di buoni concept creativi mostrano come Silvio Berlusconi, online, sia ancor oggi un intruso.
Diverso è il discorso riguardante l’affaire TikTok: sbertucciato da analisti e creator nativi e non, si tratta comunque di un atto di coraggio che fa bene a una politica troppo spesso vittima di un’arretratezza insanabile quando si tratta di digitale. Berlusconi, sulla piattaforma del momento, rimane però un anziano signore in un territorio alieno, di cui ignora modi e tempi. Gli 8,5 milioni di views, reclamati a tambur battente come record planteario, sono in realtà un risultato discreto in termini assoluti, mentre se vogliamo vagliare i contenuti della pagina, scopriamo un’amara verità. Ovvero che il Berlusconi formato TikTok non è altri che Berlusconi di sempre, tra una presentazione che fa quasi il verso al discorso della Discesa in campo o una barzelletta molto berlusconiana in cui si tirano di mezzo Papa Francesco e Joe Biden.
Insomma, in spagnolo diremmo “aunque la mona se vista de seda, mona se queda”, ovvero, traducendo a braccio: “sebbene la scimmia di seta si vesta, scimmia è e scimmia resta”. Che poi, a conti fatti, è il precipitato migliore di una campagna elettorale che, nonostante una gran voglia di rinnovamento, propone pur sempre un’offerta politica nota all’elettorato italiano da decenni. Possiamo dirlo di Berlusconi e Forza Italia e temiamo di potere dire altrettanto dei concorrenti nell’agone politico.
Ci leggiamo presto!