La settantunesima edizione del Festival si è tinta di chiaroscuro, tra cambiamenti strutturali, clamore social e prevedibili polemiche. In questo approfondimento cerchiamo di isolare le tendenze in fatto di comunicazione e advertising emerse e di determinare quali di queste potrebbero scrivere il futuro della manifestazione.
Giù il sipario, spegnete le luci e smobilitate un Ariston parzialmente svuotato dalla rigidissima policy di sicurezza imposta da RAI: il settantunesimo Festival di Sanremo è volto al termine.
La vittoria dei Måneskin, sorprendente solo in parte, fa da epilogo a un’edizione anomala, polarizzata e chiacchieratissima. La Gazzetta del Pubblicitario ha dato il suo contributo al coro di discorsi sul Festival raccontandovi dal vivo ognuno degli spot andati in onda durante gli intermezzi. Ora che la kermesse è alle spalle, è opportuno osservare il quadro d’insieme che è emerso per cercare di trarre un bilancio. L’eredità di questo Sanremo 2021, sotto al profilo della comunicazione e dell’advertising, è e sarà pesante e poggerà le fondamenta del Festival che verrà. Le tendenze che rimbombano ancora nel silenzio dell’Ariston appena svuotatosi sono molteplici: con questo approfondimento proveremo a menzionarle e a fornirvi un parere critico in merito.
L’XFACTORIZZAZIONE DI UN SANREMO SEMPRE PIÙ A MISURA DI GIOVANI
Come abbiamo evidenziato analizzando i dati delle scorse edizioni, il Festival cerca lo svecchiamento a ogni costo almeno da un decennio. L’edizione appena conclusa non si discosta da questa tendenza e anzi la esacerba in una transizione generazionale che è ormai cosa fatta. Il prodotto televisivo Sanremo è oggi cucito su misura per un pubblico di giovani e giovanissimi. I dati sull’audience, quest’anno meno entusiasmanti che nell’edizione precedente per volumi assoluti, raccontano di un una media anagrafica per spettatore di 51 anni, di dieci almeno più bassa di quella della trasmissione televisiva idealtipica. I numeri più rilevanti in tal senso riguardano la prima serata: al via, il 71% degli spettatori sintonizzati aveva tra i 15 e i 24 anni, con un incremento del 123% sull’edizione del 2020.
Il riverbero sulla linea artistica del format è sotto gli occhi di tutti. Sanremo è ormai sempre meno distinguibile da quegli stessi concorrenti che rischiavano di divorarlo: i talent show musicali. RAI, per non lasciare il Festival inerme al fuoco dell’entertainment canoro di Mediaset e Sky, ha scelto una strategia competitiva degna de L’Arte della Guerra di Sun Tzu: camuffarsi da nemico e competere nella sua stessa nicchia. Se le incursioni di ex concorrenti di Amici e X Factor sono prassi ormai da un decennio, quest’edizione è stata la quintessenza dell’xfactorizzazione di Sanremo. Sul palco competevano per i gradini più alti del podio due ex volti noti del talent di Sky (i Måneskin e Francesca Michielin) e un suo storico giudice (Fedez). Se, come rumoreggia la stampa, Alessandro Cattelan raccogliesse davvero lo scettro del duo Amadeus-Fiorello, diverrà sostanzialmente impossibile distinguere a occhio nudo il Festival dal programma di Sky Italia.
A riecheggiare XFactor non ci sono solo cinque ex concorrenti in gara (oltre ai finalisti, Noemi, Davide Shorty e Gaia) ma l’ossatura dell’entertainment tutta. Il palco che pare provenire da un film di fantascienza distopica e la presenza di un corpo di ballo fisso stupiscono e galvanizzano lo spettatore. Le tante innovazioni introdotte stravolgono i confini simbolici del Festival a cui siamo stati per decenni abituati: l’evento rassicurante e capace suscitare consenso trasversale è ormai un ricordo.

Al suo posto sorge un Sanremo pienamente calato nell’era dell’entertainment seriale. Ci sono voluti vent’anni, ma il prodotto mediatico che commentiamo oggi è concorrenziale con il resto dell’offerta sul mercato televisivo. Un format che magari sacrifica i big della musica italiana che fu, divide il pubblico e confonde il telespettatore attempato, ma che in cambio solca la modernità come non aveva mai fatto prima d’ora.
LO SPETTACOLO PUBBLICITARIO (A METÀ)
Va premesso da subito: per Gazzetta il vero show è quello andato in onda negli intermezzi pubblicitari tra un’esibizione canora e l’altra. Una competizione forse meno appariscente ma altrettanto serrata, che abbiamo monitorato campagna per campagna. Il risultato finale restituisce un quadro che, a guardarlo con ottimismo, potremmo definire in evoluzione. I big players coinvolti, soprattutto i colossi mondiali del digitale, hanno giocato con le regole del Super Bowl. Amazon, Netflix, Spotify e Disney si sono presentate davanti alla platea più numerosa d’Italia con uno smagliante abito nuovo di pacca. I commercial proposti erano produzioni ad hoc, spesso realizzate senza badare a spese, impreziosite da cast di celebrità e post-prodotte su standard di qualità hollywoodiani.
A questo zoccolo duro di grandi marchi americani autori di una prova creativa di primissimo piano, si unisce un gruppo di brand meno virtuosi. Se si scorporano dal computo Caffè Borbone e Costa, i marchi italiani in gioco non hanno compreso l’opportunità strategica di pensare a un inedito scritto per l’occasione. Abbiamo documentato la messa in onda di spot in campagna dal 2011, il che tradisce ancora enormi passi in avanti da compiere. Lo spettacolo pubblicitario all’americana, l’advertainment che eleva la pubblicità a forma d’arte pop, giace al di là di una mutazione che l’industria della comunicazione italiana deve ancora compiere. Negare i passi in avanti sarebbe ingeneroso, negare il gap che divide lo scenario nostrano da quello americano sarebbe intellettualmente disonesto.
Alle performance creative altalenanti dei brand in gioco si deve sommare anche un’altra nota dolente. Gli spazi pubblicitari hanno fruttato agli investitori il 18% in meno dell’anno precedente e la forbice di audience tra le due annate della kermesse ha fatto scattare le clausole di rimborso che RAI dovrà coprire. Resta aperto il dibattito: gli ascolti sono calati davvero o modalità di accesso sempre più diversificate e liquide ci chiamano a dover ridisegnare il sistema di tracciamento dell’audience?
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SANREMO 2021 E IL PROTAGONISMO ASSOLUTO DEI SOCIAL MEDIA
Di un Festival sempre più ideato, trasmesso, commentato e misurato in funzione dei social media se ne parla praticamente ovunque. Vorremmo proporre una chiave di lettura differente, attraverso l’analisi di due momenti topici che mostrano come Sanremo, evento televisivo per antonomasia, sia ormai un protagonista abituale della socialsfera italiana.
Il primo ha a che vedere con Prima Festival, striscia serale che ha preceduto ognuna delle cinque puntate della kermesse. Chiunque abbia un minimo di familiarità con la vita d’agenzia sarà balzato sulla sedia nel notare quanto l’evento somigliasse più a certi dettagliati report di campagna che a un momento di televisione generalista trasmesso alla fine del TG1. Le due conduttrici Giovanna Civitillo e Valeria Graci hanno dato il La a ogni episodio con un minuzioso punto sulle performance digitali del Festival. Una scelta curiosa, che ha portato i tecnicismi dell’online nel salotto di casa di milioni di italiani, dimostrando una sensibilità alla complessa macchina dei social media fuori da ogni aspettativa.
Il secondo momento è un’autentica radiografia dello spirito dei tempi e coincide con l’endorsement di Chiara Ferragni al duo Michielin-Fedez. La call to action rivolta ai milioni di follower dall’influencer ha avuto la portata di un affare di stato, arrivando a scomodare il Codacons.
Sulla liceità o meno dell’azione della Ferragni non ci esprimiamo: ci limiteremo a dire che tutti gli interessati (Måneskin compresi) hanno stemperato il dibattito, sostenendo quanto qualunque moglie farebbe altrettanto per il marito. Il vero dato di rilievo è la centralità del ruolo dei social network in un evento che vive sempre più un’esistenza duplice e parallela: alla diretta sul piccolo schermo segue una seconda vita del contenuto nell’etere digitale. Il secondo influenza il primo in una maniera imprevedibile, arrivando talvolta a modificare gli accadimenti trasmessi in diretta televisiva.
SPECCHIO D’ITALIA
La settantunesima edizione del Festival di Sanremo è stata eccellente specchio per un paese coinvolto in una mutazione epocale. L’emergenza sanitaria in corso, la digitalizzazione a tappe forzate e l’affermarsi dei valori di due generazioni – Millennials e Gen-Z – approdate finalmente alla maturità, sono leggibili in filigrana anche per uno sguardo superficiale. Sicuramente, l’attività di monitoraggio e analisi che La Gazzetta del Pubblicitario ha compiuto va ben oltre i nostri cari ambiti di competenza. Aver puntato lo sguardo sul Festival di Sanremo significa averlo puntato, in ultima analisi, su noi stessi. E tutto ciò si è dimostrato semplicemente entusiasmante!
Ci leggiamo presto!
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