Deepfake: cos’è e come ripulirlo per usarlo in pubblicità

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2 Dicembre 2020
Tocca mettersi comodi

Da tempo massmediologi, studiosi di intelligenze artificiali ed esperti di fake news dibattono di una nuova, sbalorditiva tecnologia. Viene chiamata deepfake e indica quell’insieme di procedure che permettono una sintesi dell’immagine umana in grado di animare un volto a partire anche solo da un fotogramma statico. In poche parole, consumare un perfetto furto d’identità generando un video fake indistinguibile da uno originale.  Parliamo, in questo pezzo, del suo sviluppo, delle sue controverse applicazioni e dell’enorme potenziale che può costituire per il settore della pubblicità e del marketing.

DEEPFAKE: PROFONDO FALSO

6 Gennaio 2020. La società americana si prepara con largo anticipo a una tornata elettorale che si preannuncia ancor più fiammeggiante della precedente, contraddistinta da polemiche interminabili, timori di ingerenze esterne e inquinata da un flusso inestinguibile di fake news.
Facebook emana tramite il proprio blog ufficiale aboutfb.com un comunicato che sa di irremovibile presa di posizione: verranno eliminati tutti i media frutto di un editing passato per l’AI che risulti dall’unione, sostituzione o sovrapposizione dei contenuti di un video, così da sembrare autentico. L’azione intrapresa da Menlo Park è solo la prima tessera del domino. Poco meno di un mese dopo anche Google compie una mossa simile, facendo sapere che la stretta è indispensabile per rendere il suo ecosistema di piattaforme una fonte più affidabile di informazione dove sviluppare un discorso politico sano. A cosa alludono esattamente questi comunicati ufficiali e cosa spaventa tanto i Big Tech da redigere una policy così interventista contro la produzione e diffusione di disinformazione?

deepfake
La dichiarazione di guerra firmata da Facebook all’indomani delle presidenziali americane del 2020


Muoviamo un passo indietro.
Siamo nel 2017 e sulla stampa nazionale e internazionale si riverbera un numero sempre crescente di voci riguardo a un insieme di tecnologie che, con l’ausilio dell’intelligenza artificiale, può riprodurre una simulazione in movimento di un qualunque volto umano. Il risultato finale è così accurato, verosimile e naturale da camuffarsi potenzialmente tra una serie di video reali ritraenti lo stesso soggetto. Il nome con cui viene indicato il fenomeno, deepfake, trae origine dallo username di un utente Reddit, social board anonima molto in uso nel mondo anglosassone. Il profondo falso, come l’ha definito Massimo Gramellini dalle colonne del Corriere, esce dal sottobosco amatoriale di smanettoni che l’aveva concepito e si impone come un problema di pubblica rilevanza per multinazionali miliardarie e governi di tutto il globo.

IL SOLO LIMITE È L’IMMAGINAZIONE

Nel corso dell’anno 2016 sono stati visualizzati online 91.980.225.000 video porno: grossomodo dodici per ogni essere umano vivente. L’accesso sempre più agile a contenuti pornografici è stato un driver eccezionale per la diffusione di internet come realtà di massa. Non stupisce che un sistema tecnologico nato per consumare il delitto perfetto di un perfetto furto d’identità sia stato adoperato per il peggiore degli scopi vi possa venire in mente. Il deepfake viene infatti in principio utilizzato per inverare le fantasie di chi non poteva resistere alla tentazione di sovrapporre il volto dell’attrice più ammirata a quello di una diva dell’hard in azione. Se eravate del parere che il revenge porn fosse il peggior attentato alla privacy digitale di un soggetto, evidentemente era perché non conoscevate il deepfake porn. Bisognerebbe parlarne con Scarlett Joahnsson, protagonista suo malgrado di tutta una sequela di contenuti per adulti su PornHub. L’attrice statunitense ha combattuto una sanguinosa battaglia legale contro l’appropriazione indebita dei suoi diritti d’immagine.
Il deepfake è uno di quei frutti della tecnica per cui non pare fuori luogo affermare che il solo limite di applicazione è la fantasia umana. Il bersaglio privilegiato sono non solo le stelle del jet set hollywoodiano, ma anche e soprattutto gli uomini politici, per finalità che spaziano dallo spassosissimo video satirico alla diabolica fake news creata ad arte per infangarne la reputazione digitale.

Barak Obama deepfake
Entrambe queste foto di Barack Obama sono due fake generati con l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Paura, vero?

Il regista e sceneggiatore Jordan Peele ha dimostrato come si possa, con un buon doppiatore al seguito e la giusta dose di tecnologia, creare la quintessenza del fake, realizzando questo video di un Obama che rilascia dichiarazioni mai emesse. Un incubo a occhi aperti, in un dibattito pubblico mondiale reso già logoro dai milioni di notizie false circolanti ogni giorno sui social. Ecco spiegato il giro di vite di Facebook e Google.

A queste due allarmanti applicazioni, si somma quello che si potrebbe definire un utilizzo memetico, che senza dubbio regala i migliori (e più innocui) spunti creativi. La community di appassionati sul web ha intuito nel deepfake il potenziale per dare corpo ed espressione a una nuova generazione di meme. Si veda, ad esempio, questa irriverente clip in cui Adolf Hitler e Iosif Stalin interpretano il tormentone Video killed the radio star, tra esilaranti falsetti e ammiccamenti in camera.

La tecnologia permette anche atti di pirateria tecnologica di pura avanguardia. Quante volte avete trovato il tal attore fuori parte o auspicato una sostituzione nel cast di un certo film? Il deepfake permette di attuare uno stravolgente ritocco alla realtà. Si veda questa perfetta sovrapposizione del volto di Jim Carrey a quello di Jack Nicholson in una scena di The Shining: uno sbalorditivo what if cinematografico che prende corpo grazie al trattamento dell’intelligenza artificiale.

L’ULTIMA FRONTIERA DEL VIDEO ADVERTISING

Ricapitolando, disponiamo di una tecnologia relativamente economica, alla portata di chiunque goda di certa familiarità con il video editing avanzato e con un potenziale abnorme. Possibile che un settore ad alta competenza tecnica e sempre sulle tracce della next big thing – quello di pubblicità e marketing – non abbia pensato alle sconfinate potenzialità di qualcosa del genere? Si potrebbe pensare, sempre per rimanere nel novero delle idee non perseguibili penalmente, di ridare vita a un volto iconico del passato e di farne il testimonial perfetto per la propria campagna. Del resto, basta solo un fotogramma statico, anche una vecchia fotografia in bianco e nero. Se ci è riuscito un manipolo di nerd armati dei giusti software e di parecchio senso dell’umorismo coi volti di Hitler e Stalin, perché non dovrebbe poter fare altrettanto un’agenzia di comunicazione? Immaginate, se avete lavorato anche solo un giorno nel settore, di rispondere a una gara per uno spot presentando come testimone d’eccezione per il prodotto Elvis Presley o Salvador Dalí. Che vantaggio competitivo avrebbe la vostra creazione su tutte le altre concorrenti?
Bene: qualcuno che deve già averne un’idea esiste. Nel 2014, ben prima dell’invenzione retorica del termine deepfake, l’agenzia inglese AMV BBDO ha resuscitato in un nitido 4k Audrey Hepburn a vent’anni esatti dalla morte. Il risultato finale, impreziosito dalla cornice di una riconoscibilissima costiera amalfitana, è da far rizzare i capelli in testa.

Ma perché non pensare anche di sfruttare il deepfake per rendere possibile a un testimonial fisico consenziente quello che altrimenti risulterebbe impossibile? In questa campagna benefica contro la malaria, David Beckham parla nove lingue col favore di una perfetta sincronizzazione labiale. A doppiarlo, le voci di pazienti sopravvissuti e medici in prima linea contro la malattia. Il video è stato realizzato con Synthesia, un software funzionante tramite un combinato di intelligenza artificiale e tecnologie di sintesi dell’immagine umana.

A rendere il legame tra advertising e deepfake ancora più saldo ci ha pensato il covid e le conseguenti necessità di una società a misura di distanziamento sociale. Più di una testata di settore ha infatti riportato come molte agenzie abbiano esplorato la possibilità di un uso di tecnologie sintetiche per ovviare a una produzione interrotta dall’emergenza sanitaria. Insomma, non ci stupiremmo se il deepfake rientrasse nella routine creativa dell’industria pubblicitaria del futuro prossimo!

DEEPFAKE: UN MUTUO SCAMBIO

Il rapporto tra comunicazione pubblicitaria e deepfake concede a entrambi i termini dell’equazione qualcosa: l’advertising ne esce con uno strumento in più nel proprio arsenale espressivo, il deepfake ripulito dalla losca reputazione di tecnologia spintasi troppo oltre. Come abbiamo visto, lo stesso deepfake è una creazione retorica: il termine, più che descrivere una specifica tecnica, allude al suo utilizzo amatoriale e solo finalizzato al mondo del fake e dell’anonimato. Riprova ne è il fatto che tecnologie simili esistano e siano utilizzate in pubblicità da anni. La sinergia tra i due mondi ha infatti il potenziale di rendere il deepfake uno strumento straordinario, di cui le applicazioni possibili non sono ancora neppure state immaginate. Non possiamo che aspettarci nuovi sviluppi, sui quali ovviamente vi terremo aggiornati.

Ci leggiamo presto!

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