Negli ultimi mesi il numero delle persone licenziate da Google, Amazon & co. è diventato impressionante. Eppure è difficile credere che questi tagli siano imputabili a mere questioni economiche, soprattutto se si considerano gli ingenti investimenti sul fronte dell’AI. Qual è la verità?
Diversi mesi fa Roger Lee, un imprenditore digitale statunitense, ha lanciato un progetto per tenere traccia di tutti i licenziamenti nel settore tech post Covid-19, Layoffs.fyi: per il 2022 la piattaforma ha registrato 161.061 casi e dall’inizio del 2023 circa duemila al giorno, per un totale di oltre 270.000 dipendenti lasciati a casa in tutto il mondo – ma principalmente negli Stati Uniti.
Alcuni nomi, ovviamente, fanno più numeri di altri: Google ha licenziato 12mila persone da un giorno all’altro, Amazon 18mila, Meta 11mila e forse non è finita lì, Microsoft 10mila, Salesforce 8mila e Twitter 4mila – e tra questi c’è anche Esther Crawford, l’amministratrice delegata di Twitter Blue che qualche mese fa era diventata “famosa” in quanto persona orgogliosa di dormire sul pavimento del proprio ufficio, se e quando necessario. Una foto e un tweet che hanno reso che hanno reso Esther Crawford uno dei simboli dell’era Musk di Twitter,
When your team is pushing round the clock to make deadlines sometimes you #SleepWhereYouWork https://t.co/UBGKYPilbD
— Esther Crawford ✨ (@esthercrawford) November 2, 2022
Va detto che in questi numeri notevoli non sono inclusi tutti i fornitori “a valle” – come le agenzie pubblicitarie che licenziano il personale a causa della riduzione della spesa in ADV da parte delle aziende clienti o il ridimensionamento dei produttori man mano che gli ordini di prodotti tecnologici diminuiscono – né tutte quelle persone che lasciano il lavoro volontariamente secondo il fenomeno della great resignation, altrimenti sarebbero ancora più alti.
Insomma, quelle aziende che fino a ieri erano dipinte come paradisi della flessibilità, della creatività e dell’attenzione alla felicità della propria forza lavoro stanno compiendo una vera strage di innocenti (e per altro, in alcuni casi, anche mostrando una certa disumanità: Google, da tempo in cima alle classifiche delle migliori realtà in cui lavorare, ha informato le migliaia di persone di cui non aveva più bisogno con una semplice email, mentre Microsoft ha organizzato un concerto privato di Sting per una cinquantina di suoi dipendenti e massimi dirigenti esattamente la sera prima di far partire la comunicazione dei diecimila tagli).
Viene spontaneo chiedersi, un po’ alla Marzullo: cosa c’è davvero dietro questi tagli indiscriminati e massivi? E soprattutto, c’è una correlazione tra questi eventi e l’esplosione di ChatGPT e delle altre soluzioni che sfruttano l’intelligenza artificiale?

Crisi vera o chiagne e fotte?
Partiamo da una dichiarazione incontrovertibile: questi licenziamenti di massa stanno arrivando in un periodo di reale rallentamento della crescita, di tassi di interesse elevati per combattere l’inflazione e di timori di una possibile recessione. Per altro, chi ha preso queste spiacevoli decisioni all’interno delle aziende si è già giustificato ricordando le tante – e, a questo punto, potremmo dire eccessive – assunzioni avvenute durante la pandemia, quando il settore tech faceva i suoi affari migliori grazie alla grande accelerazione nell’uso di servizi tecnologici: come riportato nel DataRoom del Corriere della Sera del 2 febbraio scorso, infatti, l’utile di Google nel 2021 era stato di 76 miliardi (contro i 40 del 2020), per Meta era stato di 39,3 miliardi (29 nel 2020), Amazon aveva avuto un profitto netto di 33 miliardi (21 nel 2020) e Microsoft aveva portato a casa un utile netto di 61,2 miliardi (contro i 44 del 2020).
Sì, è vero: in passato le banche d’affari hanno fatto delle valutazioni ipertrofiche delle grandi Big Tech e ora gli investitori stanno letteralmente scappando facendo crollare i valori di borsa. Ma, anche se le borse vanno effettivamente male, è vero anche che i bilanci di queste aziende continuano a crescere: ad esempio Google e Amazon, per i quali sono già disponibili i dati del terzo quadrimestre 2022, hanno registrato un +6% il primo e +15% il secondo.

Insomma, sembra piuttosto improbabile che questi tagli di massa siano dovuti a effettive difficoltà economiche. E d’altra parte, sempre per fare qualche esempio, Microsoft ha dichiarato la propria volontà di investire 10 miliardi di dollari in OpenAI – la società creatrice dell’ormai celebre ChatGPT – quasi contemporaneamente all’annuncio del taglio dei circa 10.000 dipendenti di cui sopra. Una cifra equivalente a 1 milione di dollari per dipendente licenziato.
Allora davvero questi tagli dipendono dall’intelligenza artificiale? Possiamo davvero concludere che sono le macchine a rubarci il lavoro?
Oltre l’intelligenza artificiale, qualche considerazione da intelligenza umana
Alcuni ricercatori – o meglio, data analyst – di 365 Data Science hanno cercato di trovare delle risposte che non fossero dettate dall’emotività o contaminate dal sensazionalismo, e Forbes le ha riportate in un interessante articolo di approfondimento.
In primis: quella che qualche riga fa poteva sembrare una scusa mal costruita (“Stiamo licenziando tanto perché abbiamo assunto troppo!”) ha un fondo di verità. Dati alla mano, il periodo medio in cui un dipendente recentemente licenziato è stato nel proprio ruolo è di circa due anni. Ciò potrebbe suggerire che, in qualche modo, questi tagli rappresentino realmente una contromisura alle troppo ottimistiche politiche di assunzione applicate durante la pandemia.
Se andiamo ad analizzare meglio i profili di chi è stato licenziato, poi, si scopre qualcosa di ancora più interessante: il livello medio di esperienza di queste persone è di 11,5 anni. Decisamente, non si può dire che le teste saltate siano tutte di profili junior che, in quanto tali, possono essere facilmente sostituiti o addirittura automatizzati (AI, sei tu?). Una possibile spiegazione di questo dato, piuttosto, è da ricercarsi nel fatto che generalmente i (e le) dipendenti con più anzianità tendono a ricevere stipendi più alti e, quindi, tagliare quelle specifiche teste consentirebbe una più incisiva riduzione dei costi.
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Ma quali tipologie di ruoli e funzioni sono state più colpite? Secondo 365 Data Science, la maggior quantità di teste è saltata nei reparti HR, corrispondenti a circa il 28% di tutti i licenziamenti. Usando la logica possiamo dedurre che, se le aziende stanno operando tagli del personale massivi, difficilmente assumeranno nuove risorse, e meno assunzioni significano minor necessità di personale nelle aree risorse umane. Ma va anche detto che quella delle risorse umane è un’area in cui ad oggi alcune funzioni sono già state sostituite dall’automazione: ad esempio, esistono già piattaforme che automatizzano le attività di routine relative ai colloqui e all’inserimento di nuovi assunti, come il controllo delle referenze, la verifica delle identità e l’esecuzione di valutazioni di salute e sicurezza. Il taglio dei reparti HR, comunque, è stato particolarmente significativo in Microsoft e Meta, mentre in Google e Twitter risultano più colpite le aree di ingegneria del software.
E che dire del sesso del personale licenziato? I dati raccolti da 365 Data Science dicono che una ristretta maggioranza del personale licenziato (56%) era di sesso femminile. E se a un’occhiata distratta questo può sembrare una quasi-vittoria della parità di genere (sigh!), in realtà il fatto è preoccupante perché il settore tech ha passato gran parte dell’ultimo decennio a cercare di ridurre il gender gap radicato nel comparto (e in particolare nei ruoli tecnici e ingegneristici). Non esattamente un bel messaggio, per le potenziali nuove risorse femminili: oltre a un divario retributivo e una minore probabilità di progredire in ruoli senior, infatti, dovranno fare i conti anche con una maggiore possibilità di essere licenziate.

Infine, l’analisi di 365 Data Science ha sottolineato un altro dato: al momento dell’indagine, solo il 10% delle teste saltate aveva aggiornato il proprio profilo LinkedIn inserendo una nuova posizione lavorativa dopo il proprio licenziamento. Non ci sono dati sufficienti per ipotizzare se questa situazione potrebbe trasformarsi in una disoccupazione di lunga durata – anche perché molte persone potrebbero semplicemente aver deciso di prendersi una pausa prima di lanciarsi nella ricerca di una nuova occupazione, oppure potrebbero avere dimenticato di aggiornare il proprio profilo (o scelto deliberatamente di non farlo per diversi motivi). Il monitoraggio di come questa statistica si svilupperà nei prossimi mesi, però, potrebbe fornire spunti di riflessione interessanti su quanto – e se – sia ancora facile per i profili qualificati del settore tech spostarsi da un lavoro all’altro (e tra l’altro, è assolutamente possibile che un certo numero di questi scelga di dedicarsi al lavoro autonomo o alla gig economy freelance).
Quindi: è vero che i giganti della tecnologia si sono semplicemente espansi troppo e troppo velocemente? O è vero che le innovazioni nei campi dell’AI e dell’automazione stanno creando un mondo in cui il modo più veloce per risparmiare denaro è sostituire le persone con le macchine? In effetti, è altamente probabile che la realtà dei fatti sia il risultato della commistione di entrambi. Nessuna delle aziende ha indicato esplicitamente l’AI come motivazione dei tagli, ma dati i ruoli lavorativi interessati e la capacità di lettura tra le righe, è plausibile supporre che l’intelligenza artificiale… non sia proprio così innocente.
Ci leggiamo presto!