Il linguaggio è un elemento vivo. Muta, si evolve e si adatta alla realtà circostante. Nel variegato contesto dei social network una nuova lingua sta prendendo forma.
Do you speak the Algo language?
La comunicazione tramite social network, o il semplice utilizzo quotidiano che ne facciamo, ha sicuramente introdotto nel parlato comune una serie di termini fino a pochi anni fa sconosciuti. Oggi sono rimasti in pochi a non sapere cosa vuol dire taggare qualcuno in una foto, postare un contenuto, o condividere un tweet.
Tuttavia, se nel vostro linguaggio comune non è poi così insolito usare il termine “melanzane piccanti” per riferirsi a un vibratore, allora siete un passo avanti, parlate l’Algospeak.
Crasi dei termini inglesi algorithm e speak, l’Algospeak nasce per aggirare i filtri di moderazione dei contenuti su piattaforme di social media, in particolar modo su TikTok, YouTube, Instagram e Twitch. Lo scopo è quello di creare un lessico che eluda la censura dei social, ma che allo stesso tempo sia comprensibile dalla community cui è diretta la comunicazione.
1337
Il concetto di parola in codice non è nuovo nella storia del linguaggio e anche negli ambienti digitali è una pratica piuttosto diffusa. Già negli anni ‘80 i possessori di PC più smanettoni si dilettavano con il Leetspeak, usato nelle bacheche pubbliche e nelle chat per parlare di argomenti proibiti che andavano contro le regole delle community. Era una sorta di cifrario in cui le lettere venivano sostituite con numeri e simboli graficamente simili, il termine stesso leet ad esempio veniva scritto 1337.
Ora è quasi un oggetto di culto della sottocultura nerd, tanto che c’è chi si è divertito a creare una versione Google in Leetspeaking.

Un codice lessicale può essere usato non solo per aggirare forme di censura, ma anche per individuarsi e riconoscersi senza dare nell’occhio, soprattutto quando il motivo di tale riconoscimento è socialmente mal visto o nasconde atteggiamenti illeciti.
Nel 2016 uno studio condotto dalla School of Interactive Computing, Georgia Institute of Technology ha analizzato gli espedienti lessicali utilizzati dalle comunità pro-anoressia per comunicare sul web, scoprendo non solo che il fenomeno esisteva da tempo, ma anche che la complessità e la varietà di questi artifici aumenta di anno in anno, allo scopo di continuare a propagandare indisturbati l’adozione e il mantenimento di un regime alimentare sbilanciato.
Sempre lei, la pandemia
L’enorme spartiacque degli ultimi anni, la pandemia, ha costretto la popolazione a comunicare principalmente online, con un ovvio conseguente incremento del fenomeno Algospeak.
Gli algo-espedienti si sono susseguiti numerosi.
Su TikTok e altre app le persone, soprattutto i ragazzi della generazione Z, hanno iniziato a chiamare la quarantena il “Backstreet Boys reunion tour” o “panda express” perché le piattaforme tendevano a controllare e bannare i video che menzionavano la pandemia per combattere la disinformazione e non alimentare allarmismi.

Un altro evento riguarda le frange della popolazione contrarie al vaccino, alcuni gruppi dichiaratamente no-vax su Facebook hanno cambiato i loro nomi in eufemismi come “Dance Party” o “Dinner Party” al fine di evitare i divieti della piattaforma. Altri comunicatori anti-vaccino su Instagram usano scambi linguistici simili, riferendosi alle persone vaccinate come “nuotatori” e l’atto della vaccinazione come all’entrare in un “club di nuoto”.
La lista delle parole in codice potrebbe continuare: “ballato” o “bevuto birra” significano “ho ricevuto il vaccino”, in riferimento a Pfizer si utilizzano i termini “pizza” o “Pizza King” e Moderna viene chiamata “Moana”.
Chi rimane fuori?
Dietro all’intento di moderazione però, si nascondono molti pericoli legati alla discriminazione di alcuni gruppi.
I creatori LGBTQ+ hanno parlato di demonetizzazione dei video sulla piattaforma di Youtube per aver pronunciato la parola “gay”.

In un’intervista rilasciata a Mashable un portavoce di Youtube ha affermato: “Siamo orgogliosi delle incredibili voci LGBTQ+ sulla nostra piattaforma. Non disponiamo di un elenco di parole correlate a LGBTQ+ che attivano la demonetizzazione e monitoriamo costantemente i nostri sistemi per garantire che riflettano le nostre politiche senza pregiudizi ingiusti.”
Nonostante tali smentite diversi utenti hanno iniziato a usare meno le parole ritenute penalizzate o a sostituirle per mantenere alta la monetizzazione del contenuto. Anche su TikTok gli utenti hanno iniziato a usare “cornucopia” piuttosto che “omofobia” e dire di essere membri della comunità “leg booty” per indicare l’appartenenza alla LGBTQ e usare la frase “le dollar bean” invece di “lesbica” perché è il modo in cui la funzione di sintesi vocale di TikTok pronuncia “Le$bian”.
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Le contabili
Le lavoratrici del sesso, che sono state a lungo censurate dai sistemi di moderazione, si riferiscono a se stesse su TikTok come “contabili” e usano l’emoji della pannochia come sostitutiva della parola “porno”.
Tra i più colpiti dalla censura dell’algoritmo infatti ci sono sicuramente attivisti, educatori e divulgatori di temi legati alla sessualità, che vedono i loro contenuti bannati, anche quando non sono legati al porno, espliciti o volgari.

Il problema per questi gruppi nasce già nel 2018, con due leggi approvate negli Stati Uniti per combattere il traffico sessuale, ma si intensifica nel 2021 con i nuovi termini d’uso di Instagram. Le nuove linee guida sottolineano che gli utenti non possono pubblicare contenuti a sfondo sessuale, sia esplicito che implicito.
Instagram si propone di limitare “i contenuti che facilitino, incoraggino e coordinino gli incontri sessuali tra adulti” espressioni gergali a sfondo sessuale e menzioni o illustrazioni di attività sessuale, incluse le opere d’arte, digitali o reali.
Kathryn Cross, creator e fondatrice di Anja Health, una start-up che offre servizi bancari del sangue del cordone ombelicale, ha affermato che anche le conversazioni che vertono sulla salute delle donne, sulla gravidanza e sui cicli mestruali sono costantemente penalizzate su TikTok. È necessario sostituire le parole come “sesso”, “periodo” e “vagina” con altre parole o scriverle con simboli nelle didascalie.
“Mi fa sembrare poco professionale, soprattutto perché parliamo di contenuti seri in ambito medico”, afferma Cross.
Revisione aggressiva
Difficoltà simili sono affrontate anche da utenti di colore che vorrebbero parlare di discriminazione razziale in ottica costruttiva, per condividere episodi sgradevoli e discutere dell’oppressione che ancora oggi si trovano ad affrontare.
La censura di alcune piattaforme si è stretta dopo episodi spiacevoli a sfondo razziale, come la valanga di commenti negativi sotto alla foto delle quattro deputate americane appartenenti a minoranze etniche dello scorso anno. I ricercatori hanno esortato i dirigenti ad adottare una revisione aggressiva del suo sistema software che rimuoverebbe principalmente i post di incitamento all’odio prima che gli utenti di Facebook possano vederli.

Il risultato di questo protocollo però, è che i sistemi di verifica sottopongono a censura e penalizzazione anche di quei post che, al contrario, discutono di odio razziale a scopo divulgativo e informativo.
Ne parla accuratamente il Washington Post in un articolo di qualche mese fa.
Il sistema della revisione aggressiva è per sua natura approssimativo. È veramente vietando queste conversazioni che si scoraggia il problema?Costringendo i ragazzi a scrivere “non animati” piuttosto che “morti” per non riferirsi al suicidio in maniera diretta che tipo di supporto stiamo dando?

Evan Greer, direttore di Fight for the Future, un gruppo di difesa dei diritti digitali senza scopo di lucro, ha affermato che cercare di scoraggiare certe tematiche tramite il controllo di parole specifiche sulle piattaforme è una missione inutile.Basandosi su un mero elenco di parole l’algoritmo non può tenere conto della complessità della comunicazione umana che, oltre a esprimersi in oltre cento lingue diverse, ha sviluppato aspetti che viaggiano paralleli al lessico, come il sarcasmo, l’ironia e il gergo. Il tutto va poi declinato nel contesto sociale di provenienza.
Aggirare il sistema
Ci sono molti baluardi di resistenza che combattono, da fuori e da dentro, la rigidità dell’algoritmo.
“Zuck Got Me For” è un sito messo in piedi da un utente proprietaria di una famosa pagina di meme dopo essere stata bloccata diverse volte dalle piattaforme social che fanno capo a Meta.
Il sito è una sorta di cimitero dei meme bannati dai social e un luogo in cui i creator possono trovare consigli su come aggirare l’algoritmo.

Nel manifesto del progetto ha scritto: “La cultura dei meme è fiorita come un modo per portare luce, criticare, deridere e trovare conforto in questo luogo cacofonico e senza senso.
Mentre gli algoritmi si restringono, sono i creatori indipendenti a soffrire. Queste misure più severe creano gravi minacce alla libertà di parola e sono dannose per i creatori, molti dei quali pagano le bollette monetizzando tramite le app.”
Anche l‘Online Creators’ Association, ha emesso un documento chiedendo a TikTok maggiore trasparenza sulla moderazione dei contenuti e più attenzione nelle pratiche di verifica, per evitare la rimozione indiscriminata dei post.
Vince Lynch, amministratore delegato di IV.AI, una piattaforma di intelligenza artificiale per la comprensione del linguaggio, ha affermato che in alcuni paesi in cui la moderazione è più pesante, le persone finiscono per costruire nuovi dialetti per comunicare, dando vita a veri e propri sottolinguaggi che si evolvono rapidamente. L’algoritmo e le misure di controllo si aggiornano in continuazione e il tutto si trasforma in una partita a guardie e ladri.
Afferma Lynch: “Ma man mano che l’algospeak diventa più popolare e le parole sostitutive si trasformano in uno slang comune, gli utenti scoprono che devono diventare sempre più creativi per eludere i filtri”
Ci leggiamo presto!
Image credits cover: Hashdork