Il “corsivo parlato” di TikTok: l’ultimo di una serie di fenomeni linguistici nati sui social media

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28 Giugno 2022
Silenzia il telefono

Da pochi giorni sulla piattaforma preferita dalla Gen Z, il “parlato corsivo” è diventato una vera e propria moda: questo è in realtà solo l’ultimo tra i molti fenomeni simili a cui una lingua è andata incontro. 

Amïo, ma come non conosci il corsïvîœ?!

Rimanere indifferenti di fronte ad uno dei tanti video della TikToker Elisa Esposito (qui il suo profilo) è davvero impossibile: la ragazza, nelle vesti di professoressa, tiene delle brevi lezioni di corsïvîœ, una “lingua” derivata da una deformazione della parlata milanese, la cui pronuncia stravagante che segue delle precise regole – almeno stando a quanto declama la TikToker – ha generato un enorme ed irrefrenabile hype: al momento in cui l’articolo viene redatto infatti, la prima lezione di corsïvîœ conta ben 2,2 milioni di visualizzazioni e il profilo della “prof” vanta oltre 800 mila followers e più di 27 milioni di Mi Piace.

Ma qual è la particolarità di questa nuova lingua? Non ci troviamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione della lingua italiana, semplicemente Elisa allunga in modo smisurato la parte finale di alcune parole pronunciandole in modo nasale con un effetto comico. 

La trovata della ragazza ha diviso il pubblico dei social in due fazioni, quella di chi ha sostenuto – ironicamente – questa nuova lingua (non si segnala presenza di utilizzatori di corsïvîœ parlato nemmeno tra i più giovani) e chi ha urlato allo scandalo, denunciando Elisa di voler rovinare ulteriormente una lingua già “intaccata” nei più giovani da un gergo preso in prestito dall’inglese.

Il corsïvîœ è in realtà soltanto l’ultima di una lunga fila di slang nati in internet come evoluzione delle lingue ufficiali (soprattutto della lingua inglese) per diversi motivi. 

Riportiamo di seguito alcuni dei fenomeni linguistici più celebri.

N0M3 1N C0D1C3: L33T SPEAK

Image credits: billericayarttrail.org

Il l33T speak è la prima deformazione di una lingua che si registri a livello digitale. Questa tipologia di scrittura nasce negli anni ‘80, prima dell’avvento di internet come lo conosciamo oggi, quando la rete era costituita da dei proto-forum denominati Bulletin Billboard Systems in cui era possibile consultare, scaricare e caricare materiale. Il controllo della legalità del materiale a disposizione in ognuno di questi sistemi era demandato a degli amministratori, denominati SysOp i quali, anziché scaricare il materiale per verificarne il contenuto – all’epoca la velocità di download era estremamente ridotta – si limitavano ad effettuare delle ricerche testuali sui database di propria competenza.

Al fine di aggirare questo tipo di controlli e poter inserire e scaricare materiale illegale, i pirati informatici dell’epoca iniziarono a sostituire lettere dell’alfabeto con numeri e simboli, così da rendere più complessa la ricerca di parole chiave che dovevano rimanere “invisibili”.

La stessa parola L33T (leggi LEET) deriva da ELEET, a sua volta alterazione della parola ELITE, ad indicare l’esclusività dell’accesso a certi tipi di informazione per i pochi che fossero in grado di decifrare e quindi consultare tutto il materiale “criptato”.

Curiosità: anche Google offre una versione L33T del proprio motore di ricerca. Volete sentirvi pirati? Allora che aspettate, cliccate qui!

ALGOSPEAK: LET’S TALK ABOUT SEGGS, LET’S TALK ABOUT YOU AND ME

Image credits: theguardian.com

La nascita della lingua “Algospeak” è riconducibile all’esplosione della pandemia del 2020: a causa della condizione di lockdown a livello globale, le persone hanno iniziato a riversarsi in massa sui social network, i quali si sono ritrovati letteralmente sommersi da nuovi contenuti provenienti da ogni parte del mondo. 

Le politiche di moderazione dei contenuti, volte a impedire il dilagare di contenuti illegali od offensivi, si sono improvvisamente trovate in diretto scontro con un’aumentata necessità delle persone di avere e divulgare informazioni sulle tematiche più disparate.

Se da un lato la censura di contenuti espliciti su piattaforme utilizzate anche da utenti di minore età è comprensibile, numerose sono state le difficoltà riscontrate da moltissime persone nel veder eliminati testi e documenti contenenti informazioni utili e tutt’altro che illecite.

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Proprio per questo, allo stesso modo di quanto è accaduto con il linguaggio L33T, in molti hanno iniziato a utilizzare parole alternative per far riferimento a tematiche specifiche: ad esempio, per aggirare l’oscuramento di contenuti legati alla sfera LGBT si è iniziato ad utilizzare l’assonante ma non censurabile “leg booty”, o la parola “sex” è stata sostituita da “seggs”, mentre in altri casi si è ricorso all’utilizzo di immagini evocative: la parola “vibratore” è stata sostituita da “spicy eggplant” ovvero “melanzana piccante” per il riferimento sessuale generalmente associato dalla comunità online all’emoji del vegetale. La Gazzetta Del Pubblicitario ha dedicato un articolo al linguaggio AlgoSpeak, che trovate qui per approfondire l’argomento.

EMOJI, STEVE JOBS E SHAKESPEARE

Image credits: 2morrow.it

Le famosissime immagini che comunemente utilizziamo non solo nei servizi di messaggistica ma anche per rendere più accattivanti e leggibili post nei social network sono nate nel 1997. L’idea iniziale di inserire dei simboli pittografici all’interno di testi scritti è dell’operatore telefonico giapponese SoftBank, la stessa società che nel 2008 suggerì ad Apple di dare la possibilità ai propri utenti di utilizzare i piccoli disegni nel suo ultimo prodotto, l’iPhone, aprendo così la strada delle emoji ad un impiego su scala mondiale.

Oggi le emoji vengono utilizzate da più di 3,5 miliardi di persone ogni giorno per gli scopi più diversi: sintetizzare interi concetti, stabilire il tone of voice o più semplicemente per scherzare. Con oltre tremilacinquecento emoji a disposizione, c’è solo l’imbarazzo della scelta!

Chat, social, certo, ma c’è anche chi ha provato a impiegare le emoji per riscrivere alcuni grandi classici della letteratura nel tentativo di invogliare le generazioni più giovani al piacere della lettura: è il caso della casa editrice Penguin Random House che nel 2015 ha lanciato OMG Shakespeare Series, una serie di classici di William Shakespeare in versione textspeak, cioè nel linguaggio dei messaggi. I titoli? YOLO Juliet, srsly Hamlet, Macbeth #killingit e A Midsummer Night #nofilter. 

Insomma, come tutti i fenomeni che aggregano esseri umani il web è una fucina linguistica da cui fuoriescono fenomeni talvolta di costume, talaltra che arrivano a suscitare l’interesse di sociologi e accademie.

Ci leggiamo presto!

Cover image credits: Day Italia News

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