Facebook si è bloccato per sei ore assieme ad Instagram e Whats App. Oltre agli inconvenienti tecnici, tuttavia, quello che può davvero cambiare il mondo dei social (e i loro ricavi) è la fiducia dei media buyer. E si stanno spazientendo…
Il Facebook social down è stato il must have nelle conversazioni al bar e su tutto il mainstream mediatico degli ultimi giorni. “Quante ore è durato, ci è piaciuto o meno e chissà quanti soldi sono stati bruciati”. Tutti argomenti di conversazione (quindi anche giornalistici) che si sono presi la ribalta.
C’è, tuttavia, un aspetto psicologico più sottile ma infinitamente più determinante di ogni stima economico-matematica: la psicologia e la fiducia.
La domanda, dirimente seppur banale, è semplicemente questa: e se i pubblicitari perdessero la fiducia in Facebook e nei suoi social?
Un quesito che in Italia è passato leggermente sotto traccia ma che negli Stati Uniti si sono fatti praticamente immediatamente andando a chiedere direttamente ai media buyer se, in effetti, ci fosse questa prospettiva. D’altronde quando Facebook o Instagram perdono introiti per un down significa sostanzialmente che perdono incassi da pubblicità. Dentro queste transizioni, è chiaro, si trova spesso l’ambiente naturale di chi guadagna facendo campagne pubblicitarie. Ergo perdono anche loro e di certo non sono contenti.
I DATI PIÙ NOTI
Partiamo da un quadro di quelli che sono ormai i dati più noti. Il social down di Facebook, Instagram e Whatsapp di lunedì è durato 6 ore e ha bruciato 68,3 milioni di euro (79 milioni di dollari) di introiti pubblicitari secondo le stime Usa e oltre 100 milioni di euro secondo quelle europee. Generalmente si calcola che Facebook sia in grado di introitare 14,7 milioni di euro l’ora (17 milioni di dollari). Per capire, invece, cosa sia successo tecnicamente praticamente tutti i media generalisti ne hanno dato ampia spiegazione.
Attenzione a non confondere queste cifre con i 6 miliardi di dollari di perdita calcolata a livello finanziario (che dipendono dalle fluttuazioni del titolo in borsa ma non attingono direttamente al capitolo della raccolta pubblicitaria). Il tutto a poche ore dalle bordate lanciate dalla ex dipendente di Facebook Frances Haugen davanti al Senato americano sulla preferenza data nei social ai profitti rispetto alla sicurezza del sistema. Qui trovate l’estratto del discorso.
FACEBOOK È IN ESPANSIONE O CONTRAZIONE?
Iniziamo questo viaggio nelle considerazioni dei pubblicitari sfatando due falsi miti come la percezione immorale di Facebook e il suo cedere il passo verso nuovi social network (come Snapchat o Tik Tok). Può essere vero, in parte, se guardato entro confini limitati (per esempio all’interno degli Stati Uniti o in Italia) ma non è per nulla corrispondente al vero se analizzato su scala globale.
“Nel mondo – spiega Markus Giesler, professore di marketing all’università di New York – Facebook è in assoluta crescita in molti Paesi dove non c’è nessun sentimento di avversione o sospetto verso questo social. C’è espansione e non contrazione”.
Detto questo il problema della reputazione rimane ed è enorme. “Se fossi un brand mi chiederei se la mia reputation risulti valorizzata o meno da algoritmi che premiano anche la conflittualità e la polarizzazione negativa. E lo fanno” le parole di Kasha Cacy, chief executive officer di Engine.
IL SORRISO DELL’ “OMNICHANNEL”
Se c’è qualcuno che ha sorriso durante il down (ad eccezione dei genitori degli adolescenti) questi sono i teorici radicali dell’omnichannel. Un po’ di pubblicità ovunque come strategia guida. Buon alfiere della corrente è Aaron Goldman di Mediacean: “Bisogna sempre mantenere un atteggiamento bilanciato senza esagerare con l’indicizzazione in un singolo social. Investire un poco su tutti i canali permette di non dipendere da eventuali eventi negativi come un improvviso down valutando, contestualmente, ogni singola performance e implementando quelle che funzionano di più”.
Prudenza ragionata ma anche certezza di investire del denaro dove funziona di meno come logica conseguenza dell’evidenziare empiricamente le aree di maggior potenziale.
A ben vedere, tuttavia, più del down in sé a causare qualche danno è stata l’inevitabile curiosità di buttare l’occhio sugli altri social manifestata da molti utenti (e clienti). Un riflesso nato anche solo per capire se i problemi tecnici fossero mondiali o racchiusi nel proprio alloggio. Ecco, quando un vuoto si riempie con un competitor (come Twitter o Tik Tok) si corrono sempre dei rischi.
IL SOCIAL È SOCIO
La lettura più cinica è forse quella che arriva da Brian Wieser, presidente del business intelligence di Group M. “Ogni marketer deve rassegnarsi all’idea che qualsiasi proprietario di un media diventa un socio con cui lavorare. Ce ne sono alcuni che sono particolarmente attenti al settore delle ads e altri che sono principalmente orientati sull’audience. Al di là di questo è bene capire che impatto abbia il singolo media sul mondo a cui si rivolge. Una cornice di emozioni e informazioni che rappresenta pure il contesto entro il quale si vanno ad inserire i propri clienti. Senza mai dimenticare di tenersi in tasca una seconda scelta se la prima combina qualcosa di poco bello”. L’ultimo è un campanello di allarme, nemmeno troppo velato, che suona a casa Zuckerberg.
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QUANDO APPLE SI È MESSA DI TRAVERSO
Che tra Facebook e Apple non ci sia in corso un amore shakesperiano è abbastanza evidente da tempo. Questo, naturalmente, ha dei riflessi anche per il mondo della pubblicità a partire dall’aggiornamento di Ios 14.6 che permette agli utenti di cancellare il proprio tracciamento. Sabbia negli ingranaggi di Zuckerberg.
In questa approfondita intervista di Luca Acelti con il docente di Marketers e Ads school Francesco Agostinis si va dritti al punto di questa battaglia dove, in realtà, la privacy è solo una delle pedine sulla scacchiera mondiale. Forse nemmeno la principale.
FACEBOOK DRAMA, COSA RIMANE NEL FUTURO?
Al di là dell’inconveniente tecnico (sei ore offline sono, tutto sommato, ben poca cosa se paragonate al flusso continuo cui siamo abituati) la crepa più grave che il social down ha creato nel monolite Facebook concerne proprio l’affidabilità. Tutti sappiamo che niente è infallibile eppure tendiamo per natura a considerare alcune cose stabili e imperiture. Inconsciamente Facebook per molti è un qualcosa che scorre continuamente e c’è sempre. Abbiamo scoperto, invece, che è molto più vulnerabile di quanto si possa sembrare. Un po’ come la nostra società durante la pandemia.
Un velo che va a posarsi su una frenesia costante che pervade la creatura di Zuckerberg condannata a rinnovarsi continuamente pur essendo costantemente in espansione. Facebook e Instagram devono crescere in tutte le direzioni per sopravvivere e questo comporta forzatamente una concentrazione sempre più massiccia di voci e forze contrarie (dai governi ai competitor). Un fronte in costante allargamento. Quale muro avanzerà, dunque, più velocemente?
Rispetto a qualche anno fa non siamo più disposti a mettere la mano sul fuoco rispondendo con certezza che vincerà il social network travolgendo tutto. Anche se gli utenti non lo stanno lasciando in massa e i dipendenti sono tutto sommato fedeli. Tra l’altro rimane sempre sul tavolo uno dei nodi irrisolti di Facebook: come si può puntare molto della propria reputazione sulla sicurezza della privacy quando la principale fonte di reddito sono i dati?
NON È LA FINE, PERÒ…
Provando a tirare delle somme conclusive, dunque, possiamo dire che la fine di Facebook è lontana (ammesso che arrivi) ma il social down ha messo a nudo delle sfide che andranno affrontate. Così come la tangibile possibilità che in futuro siano i grandi marchi a imporre una direzione di maggiore trasparenza a Facebook anche alla luce delle scelte più cristalline prese da alcuni competitor come Google con YouTube.
D’altro canto è anche vero che, al momento, Facebook garantisce una crescita di valore a tutti i soggetti interessati (dall’utente ai brand passando per i media buyer) e questa è la pietra angolare che ne garantisce la solidità. Per continuare a essere uno strumento con questa caratteristica, però, dovrà mutare con un percorso di crescita che sia più chiaro di quanto non siano solitamente le comunicazioni dell’impero di Zuckerberg.
La pubblicità, quindi, continuerà a dipendere dal social network più noto del pianeta ma da lunedì scorso, forse, ha coscienza di poterne dettare alcune regole.
Ci leggiamo presto!