|

Proteste in Iran: internet bloccato e il ruolo dei social media

Avatar photo
13 Ottobre 2022
Tocca mettersi comodi

Auto incendiate, scontri in strada, donne che si bruciano il velo: l’Iran è stato attanagliato da diffuse proteste anti-governative dalla morte in detenzione della 22enne curda Mahsa Jina Amini. I video sono subito circolati sulle piattaforme social, ma in un paese sotto censura diffondere l’informazione è una sfida costante.

Il 13 settembre, Mahsa Jina Amini, viene arrestata nella capitale iraniana Teheran dalla cosiddetta Polizia della Morale per aver indossato il velo in maniera “impropria”. Rimane  sotto custodia della polizia in circostanze che rimangono poco chiare e viene dichiarata morta tre giorni dopo in un ospedale iraniano.

La morte di Amini ha acceso il malcontento generale che covava da tempo tra la popolazione. In almeno 50 città sono scoppiate violente proteste, guidate spesso da gruppi di donne che si sono tagliate i capelli in pubblico e hanno dato fuoco ai propri hijab per manifestare il dissenso contro le politiche sempre più repressive della repubblica islamica.

La polizia fa largo uso di violenza per soffocare i cittadini insorti e sa subito video e immagini della brutalità della repressione diventano virali sui social media, soprattutto su Instagram, social molto utilizzato in Iran.
La risposta del regime, come già avvenuto in passato, è l’isolamento digitale dei suoi cittadini.

Coprifuoco digitale

Secondo Netblocks, un’organizzazione globale di monitoraggio di Internet con sede a Londra, “I tre principali provider di telefonia mobile iraniani Irancell, Rightel e MCI bloccano il traffico Internet dal mondo esterno dalle 16:00 alle 24:00 circa ogni giorno”, Netblocks ha definito questa modalità di oscuramento un “modello di interruzione in stile coprifuoco”: questa è la fascia oraria in cui si verificano la maggior parte delle proteste e l’azione di blocco rende difficile tutta la copertura in diretta.

Image credit: Twitter

La repressione di Instagram e WhatsApp è iniziata il 21 settembre, interrompendo due dei pochissimi servizi di social media rimasti in Iran dal momento che Facebook, Twitter e YouTube sono già stati banditi da anni. Sembra che il governo stia addirittura impedendo l’accesso a molti videogiochi, a causa delle loro funzioni di messaggistica.

Ministri e portavoce del governo hanno dato risposte vaghe circa la durata di questo oscuramento, quel che è certo è che è stato imposto per motivi di “sicurezza nazionale”.

“Stanno prendendo di mira queste piattaforme che sono l’ancora di salvezza per l’informazione e la comunicazione che tiene in vita le proteste”, afferma Mahsa Alimardani, accademica dell’Oxford Internet Institute e ricercatrice senior presso il gruppo per i diritti digitali Article 19 che ha studiato a fondo la questione dell’Internet iraniano.

La repressione digitale di questa ondata di proteste è più violenta del solito. Sembra che i blocchi contro WhatsApp abbiano avuto un impatto anche su soggetti al di fuori dell’Iran. Le persone che utilizzano i numeri di telefono iraniani +98 si sono lamentate del fatto che WhatsApp nelle scorse settimane ha funzionato a rilento o non ha funzionato affatto. La società di proprietà di Meta ha smentito l’intenzionalità dell’accaduto, ma si è rifiutata di fornire ulteriori informazioni sul motivo per cui tali numeri hanno riscontrato problemi.

Image credit: Twitter

“Per chiudere l’accesso di un paese a Internet, ci vogliono molti preparativi. Stiamo parlando di livelli software e hardware, e anche di quadri normativi”, afferma Lukasz Olejnik, consulente indipendente per la sicurezza e la privacy e ricercatore associato presso il Center for Technology e Affari globali all’Università di Oxford. “Più reti e connessioni ha un paese, più è difficile tagliare l’accesso.”
Sempre più nell’ultimo decennio, il regime iraniano si è concentrato sulla costruzione di una rete nazionale centralizzata, conosciuta come Rete Informativa Nazionale o SHOMA. La rete è fortemente spinta dallo stato attraverso la pubblicità, è più economica e veloce, ma è anche sotto sorveglianza da parte del governo. Questo consente di fornire ai cittadini servizi web mantenendo il controllo di tutti i contenuti che circolano e limitando le informazioni da fonti esterne in nome della sicurezza nazionale.

Quanto ci segui da 1 a Instagram?

Ogni giorno sui nostri social media pubblichiamo notizie esclusive che non puoi trovare sul sito. News, pills, stories e sondaggi per aiutarti a comprendere sempre meglio il mondo del marketing e della pubblicità! Ti basta scegliere a quale canale sei più affezionato e cliccare qui sotto.

Precedenti

L’Iran ha visto crescere il livello di repressione del governo da quarant’anni a questa parte. L’hijab è diventato obbligatorio in pubblico per la prima volta per le donne e le ragazze iraniane di età superiore ai 9 anni dopo la rivoluzione islamica del 1979 e negli anni la durezza della legge e degli organi di sicurezza nazionale si è inasprita. Dalla ratifica della nuova legge punitiva islamica nel 1993, le forze di polizia sono state legalmente obbligate a far rispettare l’uso dell’hijab. Le pattuglie della polizia morale, entrate in vigore nel 2005, hanno annullato i diritti delle donne negli spazi pubblici e possono portare all’arresto di chiunque sia ritenuto non vestito in modo appropriato.

L’ultima ordinanza in merito, del 5 Luglio 2019, ha portato un nuovo elenco di restrizioni sull’abbigliamento femminile. Le famigerate pattuglie di guida, o polizia morale, sono diventate sempre più attive e violente nell’applicazione della legge, con video che emergono sui social media mostrando agenti che trattengono le donne, le costringono a salire su furgoni e le portano via.

Dalla scorsa estate inoltre, alle donne non è più consentito comparire negli annunci pubblicitari.

Il Ministero della Cultura, dell’Iran e della Guida islamica ha emanato la nuova direttiva in base ai rigidi precetti di castità dello stato dopo che uno spot “sexy” mostrava una donna con un ampio hijab che mordeva un gelato Magnum.

Image credit: Siasat

Lo spot ha fatto infuriare i religiosi iraniani che hanno esortato i funzionari a citare in giudizio il produttore locale di gelati Domino. I funzionari hanno stabilito che l’annuncio è andato contro la pubblica decenza ed è stato un insulto ai valori delle donne.
Il Ministero della Cultura e della Guida islamica iraniano ha scritto una lettera alle scuole d’arte e di cinema del paese, affermando che secondo le regole dell’hijab e della castità, le donne non sono più autorizzate a comparire nelle pubblicità.

Voci dall’esterno

La protesta questa volta ha valicato i confini nazionali.

Nonostante l’accesso a Internet limitato in Iran, Twitter e altri social network stanno svolgendo un ruolo fondamentale nell’informare il mondo, e gli iraniani stessi, della repressione in atto.

L’hashtag #مهسا_امینی, #MahsaAmini in persiano, è stato utilizzato in circa 160 milioni di tweet e il movimento #hairforfreedom sta prendendo piede rapidamente, soprattutto in Francia, grazie ad alcuni dei nomi più noti del cinema francese; Juliette Binoche, Marion Cotillard, Isabelle Adjani e Isabelle Huppert che hanno messo online dei filmati mentre tagliavano ciocche dei loro capelli in segno di solidarietà alle donne iraniane. Anche la cantante britannica Jane Birkin, la figlia Charlotte Gainsbourg, l’attore Charlotte Rampling e Julie Gayet, moglie dell’ex presidente francese François Hollande, hanno filmato il loro taglio di capelli “per la libertà ”.

Image credit: The Guardian

Tuttavia, nonostante l’ampia movimentazione globale, alcuni affermano che anche le stesse piattaforme di social media sono coinvolte nella censura. Attivisti, gruppi e media dell’opposizione accusano Instagram di avere rimosso alcuni hashtag, video e post.

In un tweet, l’attrice e attivista britannica di origine iraniana Nazanin Boniadi ha chiesto perché la società madre di Facebook Meta, che gestisce anche Instagram, avesse cancellato così tanti post relativi alle proteste. Il giornalista statunitense-iraniano Saman Arbabi ha accusato anche Meta di aver recentemente rimosso un video che mostrava manifestanti che auguravano la morte al leader iraniano. Su Twitter, ha suggerito che l’azienda ha più rispetto per i dittatori che per gli striscioni e gli slogan di protesta.

Di fronte alle accuse un portavoce di Meta ha rilasciato una dichiarazione a DW: “Crediamo fermamente nel diritto delle persone all’accesso online, anche in Iran. Gli iraniani usano app come Instagram per stare vicino ai loro cari, trovare informazioni e fare luce su eventi importanti. Speriamo che le autorità iraniane ripristino presto l’accesso, nel frattempo, i nostri team stanno seguendo da vicino la situazione e si concentrano solo sulla rimozione di contenuti che infrangono le regole della piattaforma, affrontando al contempo eventuali errori di applicazione il più rapidamente possibile”.

Segnali di fumo

Per il popolo iraniano comunicare con l’esterno è diventata una sfida crescente e numerosi strumenti di elusione della censura come Lantern, Mullvad e Psiphon sono in piena espansione, con milioni di utenti dall’Iran che li utilizzano. “Gli iraniani hanno affrontato la censura di Internet per quasi 20 anni, sono incredibilmente pieni di risorse nel trovare soluzioni alternative, come della VPN”, ha affermato Marcus Michaelsen, ricercatore di media e comunicazioni alla Vrije Universiteit Brussel in Belgio. Una VPN, o rete privata virtuale, consente agli utenti di navigare in Internet in modo anonimo.
Il 22 settembre, un giorno dopo il divieto di WhatsApp e Instagram, la domanda di servizi VPN è salita alle stelle del 2,164% rispetto ai 28 giorni precedenti, secondo i dati di Top10VPN, un sito di recensioni e ricerche VPN, per raggiungere il picco del 3.082% il 26 Settembre.

Image credit: Statista

La domanda è molto più alta rispetto alle ultime rivolte del 2019, che sono state innescate dall’aumento dei prezzi del carburante e hanno portato a un blackout quasi totale di Internet per 12 giorni. All’epoca, il picco della domanda era solo del 164% circa superiore alla norma.

Un’altra tecnologia in diffusione per contrastare la censura sono i cosiddetti server proxy, che consentirebbero agli iraniani l’accesso a servizi come Tor, un software che instrada il traffico attraverso una rete di “relay” in tutto il mondo per offuscare la loro attività.

Anche l’app di messaggistica crittografata Signal ha compilato una guida su come gli iraniani possono utilizzare i proxy per aggirare la censura e accedere all’app, che è stata bloccata in Iran l’anno scorso. Lo scopo è simile a quello di Tor, incanalare il traffico attraverso una rete di server per aiutare gli utenti nei paesi in cui l’accesso online è limitato a preservare l’anonimato.

Arriva in soccorso anche il CEO di SpaceX, Elon Musk, che ha dichiarato di voler utilizzare i satelliti Starlink per fornire Internet agli iraniani. Gli esperti, tuttavia, affermano che all’Iran mancano le antenne per renderlo realtà. Uno smartphone o un router da soli non sarebbero sufficienti per connettersi a Starlink.

Ti sta piacendo il nostro articolo?

Iscriviti alla nostra newsletter per non perdere i nostri speciali riservati in arrivo ogni domenica!

Cliccando su Iscriviti acconsenti al trattamento dei dati personali ai sensi del Reg. UE 2016/679 (GDPR)

Collaborazione

In un articolo al New York Times, la già citata Mahsa Alimardani insieme ad altri due autori, affermano che il miglioramento della situazione in Iran non dipende dall’uso di “reti satellitari non testate”. Hanno invece invitato Meta alla collaborazione, “aiutando i team di moderazione ad applicare più sfumature contestuali, creando canali di dialogo diretti con gli attivisti e fornendo strumenti di comunicazione che funzionino”.

Alimardani e i suoi coautori affermano, perentoriamente, che bloccare o rimuovere i post in questi contesti potrebbe diventare veramente una questione di vita o di morte.

Ci leggiamo presto!

Entra a far parte del nostro canale Telegram!

Ogni giorno news, riflessioni, approfondimenti e tanto altro in esclusiva per la nostra community.

Immagine di copertina: The Indu

A cura di
Avatar photo
Gazzetta PRO