Intervista a Paola Sorge: quando i creativi erano poeti di professione

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2 Marzo 2023
Silenzia il telefono

Paola Sorge, studiosa di advertising, ha ripubblicato “Pubblicità d’autore”, saggio in cui si ripercorrono i trascorsi pubblicitari di titani della cultura italiana come D’Annunzio, Matilde Serao, Bontempelli, Trilussa, Pascoli, Dino Buzzati, Fellini e molti altri ancora. L’abbiamo incontrata per approfondire insieme l’argomento. Ecco il frutto della nostra chiacchierata.

Se parliamo di pubblicità d’autore – e ci scusino i creativi e i copywriter di ieri e oggi – i testimonial e, volendo, anche le intelligenze artificiali che si affacciano minacciosamente al mondo dell’advertising, non si può che fare archeopubblicità. Ne è convinta Paola Sorge, una studiosa della pubblicità con alle spalle una lunga carriera come programmista regista, collaboratrice di giornali e riviste e autrice di diversi saggi e romanzi. Il suo podio personale vede tre intellettuali, che tra le due Guerre mondiali diedero lustro alla réclame.

In ordine di grandezza – spiega girando tra le mani la recente ristampa del suo saggio Pubblicità d’autore per Castelvecchivanno citati l’immenso Gabriele D’Annunzio, seguito da Matilde Serao e da Massimo Bontempelli.

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Foto concessa dall’autrice

Tre intellettuali con inclinazioni diverse . Del “Vate” si sanno molte cose a cominciare dalla sua attività di creativo puro come ideatore del marchio “La Rinascente”. D’Annunzio inventò però un sacco di altre cose come slogan e grafica per l’amaro Montenegro, l’acquavite Aurum di Pescara e il liquore di marasca ‘Sangue morlacco” della Luxardo”.

Ma D’Annunzio non si fermò ai liquori e al naming. Un recente convegno promosso dalla Fondazione del Vittoriale degli italiani lo ha dichiarato il primo influencer italiano.

Il più importante intellettuale italiano di quel periodo, e D’Annunzio lo fu davvero, è stato una vera fucina di creatività. Tra le tante attività pubblicitarie coniò per la società Saiwa il nome dei biscotti Oro, ma soprattutto riuscì in un’impresa semantica unica, convincendo tutti che l’automobile era un sostantivo femminile e quindi andasse indicata con l’apostrofo e non senza come si era fatto fino a quel momento. L’idea di D’Annunzio era quella che l’automobile, come avevano già del resto fatto i futuristi, andasse collegata alla velocità e quindi al genere femminile. In questo passaggio non fu casuale il regalo, oggi si direbbe “promozionale”, di una Fiat 509 da parte del senatore Giovanni Agnelli.

Ma torniamo al suo podio. Perché cita Matilde Serao e Massimo Bontempelli?

Matilde Serao è un caso unico e molto interessante. Prima donna a fondare tre quotidiani, il Corriere di Roma, il Mattino di Napoli e il Giorno, Serao si conquistò la fama di donna libera e indipendente, troncando addirittura il matrimonio con Edoardo Scarfoglio. Candidata al Nobel per la letteratura – il suo nome venne però osteggiato dal Fascismo che le preferì Grazia Deledda   Serao scrisse un catalogo in cui celebrava ciprie, pomate e creme per il viso della Venus Bertelli dal titolo “Fascino muliebre” crema che appare ancora oggi negli spot televisivi. Massimo Bontempelli, un intellettuale che attraversò tutte le epoche e le ideologie da superfascista a deputato del PCI, scrisse nel 1930 un intero romanzo su commissione per la Fiat 522, in cui l’auto parlava in prima persona

522 di Bontempelli, antesignano di tutti i branded content. Image credits: Studio bibliografico l’Arengario.

Possiamo dire che le divisioni all’epoca tra arte e pubblicità erano più sottili?

Certamente sono stati tanti gli scrittori e i poeti che dagli anni Venti produssero opere per marchi famosi. Tra le mie scoperte un sonetto del grande Trilussa per le Pasticche del Re Sole, ma anche Pascoli che scrisse un Inno all’ulivo per l’olio Sasso. Nel secondo Dopoguerra invece la produzione si rarefece, anche se furono numerosi gli intellettuali che scrissero testi per la pubblicità. L’Olivetti del visionario Adriano Olivetti ingaggiò come curatori delle proprie pubblicazioni scrittori e intellettuali come Dino Buzzati, Giovanni Giudici, Franco Fortini e Vittorio Sereni. Luigi Malerba fu un infaticabile ideatore di spot e perfino producer per Carosello: nel suo carnet di creativo figurano campagne per AGIP, le caramelle Dufour e la birra Beck. A prestarsi alla pubblicità anche Mario Soldati (degustava una fetta di Bel Paese Galbani in favore di telecamera), Dacia Maraini, Aldo Busi e gli insuperabili Fruttero&Lucentini che, nel 1998, scrissero brevi storie per un brand del lusso come Bulgari.

L’inno all’ulivo scritto dal Pascoli per Olio Sasso. Image credits: Dagospia

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E poi va ricordato che anche l’ultimo Nobel italiano per la Letteratura, Dario Fo, fu protagonista di diversi spot per Carosello dalla Barilla alla benzina AGIP Supercortemaggiore

Ecco ma Dario Fo viene ricordato più come attore-testimonial, un ruolo che ancora oggi viene utilizzato. È venuto meno l’apporto creativo. La pubblicità si è molto specializzata nel senso che conta molto il marketing, il posizionamento, l’utilizzo di diversi linguaggi e piattaforme. La stessa brevità degli spot, da 15 ai 30 secondi impediscono, spesso, lo sviluppo di un’idea.

Quindi addio pubblicità d’autore? Spot firmati da un regista come Fellini non ne vedremo più?

Sicuramente ancora oggi molti registi importanti, anche del calibro di Fellini, firmano la regia di alcuni spot e non è difficile trovare pubblicità originali, ben scritte. Ma ci si espone meno. Si ha quasi il timore di venire giudicati. Per molti la pubblicità è ancora un’attività diciamo non nobile se non vogliamo usare la parola degradante. E invece dovrebbero avere più coraggio.

Ci leggiamo presto!

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Gazzetta PRO