In occasione del lancio della collezione Fall/Winter del 2019, il marchio di Renzo Rosso ideò, in sinergia con Publicis Italy, una campagna che invitava i suoi consumatori a divertirsi, prima di restituire il capo d’abbigliamento usato.
In pubblicità ci sono delle regole fisse da cui non si può prescindere. Le campagne più creative però, rompono tali regole e, ogni tanto, si spingono nel campo dell’ironia e dell’irriverenza, creando talvolta sgomento, altre volte supporto da parte dei fan. In ogni caso accade spesso che queste creatività siano anche quelle di cui ci si ricorda di più e, che nel bene o nel male, fanno parecchio parlare di sé.
In alcuni casi, brand di successo sono riusciti a trattare di aspetti negativi relativi alla propria azienda o del settore di riferimento e, invece che demonizzarli, li hanno messi in mostra, rovesciandoli e ottenendo un effetto paradossalmente contrario.
Nell’ambito della moda e dell’abbigliamento c’è un fenomeno che negli ultimi anni è cresciuto a dismisura, preoccupando non poco tutti gli attori della filiera. Si parla del wardrobing, ovvero quella pratica fraudolenta che consiste nel restituire un capo d’abbigliamento nonostante sia stato indossato in precedenza. Per capire fino in fondo e entrare nel merito di una delle campagne più creative degli ultimi anni, bisogna partire dall’inizio: dalle politiche di reso.
Vuoi ascoltare la storia di questa campagna? Ascolta l’episodio di Brandy!
Un po’ di chiarezza: le politiche di reso
Il famoso adagio “Il cliente ha sempre ragione” ci viene in aiuto. Non sempre è così, e sebbene la possibilità di restituire un capo d’abbigliamento o un prodotto siano ormai insiti nella nostra natura di consumatori, a livello legale non esistono norme che ne stabiliscano il diritto. Semplificando molto si può dire che, nel caso di acquisti fisici nei negozi, il diritto di recesso non esiste, quindi il consumatore che ha acquistato un capo, è impossibilitato alla restituzione, al rimborso o al cambio merce.
Ci sono ovviamente dei casi limite: se il prodotto presentava un malfunzionamento di cui era impossibile accorgersi oppure era in un certo qual modo difettoso, allora sì, è possibile chiedere al commerciante il cambio. Rimane comunque difficile stabilire se le cause dei malfunzionamenti non siano da attribuire ad un uso non idoneo del prodotto, o alla negligenza dell’individuo.
La storia cambia se si parla dell’online: quando si acquista un prodotto sul web è possibile restituirlo entro 14 giorni, attenendosi ovviamente a tutte le politiche della società da cui lo si è acquistato. In questo caso il rimborso, compreso anche delle spese di spedizione, è completo e obbligatorio.
In negozio però i cambi e le restituzioni avvengono: sono regolate dalle politiche di reso, a discrezione del commerciante, per lo più in voga ovunque per un motivo molto semplice: fidelizzare il consumatore, e riportarlo in negozio, possibilmente a effettuare nuovi acquisti. Ma ci sono delle regole per la restituzione dei capi. Le famose politiche di reso che nella mente dei più si cristallizzano in due concetti chiave: etichetta attaccata e nessun segno che dimostri di averlo utilizzato.
Il wardrobing: un problema per l’industria del fashion
Per capire quanto la pratica del wardrobing sia dannosa per il settore basta citare alcuni dati: secondo alcune stime oltre il 10% degli acquirenti ha effettuato almeno un cambio, dopo aver usato il prodotto. Una ricerca condotta nel Regno Unito da Checkpoint System ha stabilito che uno su cinque acquista dei capi con il chiaro intento di usarli e poi restituirli, ottenendo il rimborso. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani tra i 16 e i 35 anni. Le stime sui costi, al momento del lancio della campagna, sono di circa 1,5 miliardi di sterline.
Il discorso non cambia negli USA, dove però aumenta il mercato di riferimento e quindi, anche il numero riguardante le perdite si aggiorna: in questo caso la cifra è decuplicata, si parla di qualcosa come 12,6 miliardi di dollari.
Cosa spinge i più giovani ad acquistare un capo con il chiaro intento di usarlo prima di restituirlo? È difficile dare una risposta certa a questo quesito. La società delle immagini che abbiamo costruito è sicuramente uno degli stimoli più importanti al fenomeno del fast fashion e dell’apparire. I social come Instagram prima e l’influencer marketing hanno di fatto amplificato questa pratica. E se è normale farsi una foto, restituire il vestito e ottenere indietro i propri soldi, è normale anche usarlo per un evento o un party prima di riportarlo in negozio.
Enjoy before returning
In occasione della Fashion Week Autunno/Inverno del 2019 Diesel, coinvolta nel problema in quanto attore protagonista del settore e in profonda crisi economica nella sua filiale americana, decise di abbracciare il tema del wardrobing e costruirci sopra una delle campagne più ironiche e divertenti che abbia mai fatto.
Il racconto disegnato in collaborazione con l’agenzia Publicis Italy | Le Pub inizia dalla fine della storia, con un giovane intento nello stirare un capo d’abbigliamento. Le scene cambiano continuamente e con loro i protagonisti coinvolti, ognuno impegnato in una particolare operazione: c’è chi si assicura che il capo non presenti sbavature, chi invece lo impacchetta come se lo avesse appena acquistato.

La narrazione va veloce, ora gli eventi notturni entrano decisamente nel vivo e i ragazzi sembrano proprio divertirsi. Un particolare spicca lungo tutto il corso dello spot: il cartellino appare nei primi frame dello spot così come nella scena finale e per tutto il corso delle immagini. Ai party, l’etichetta viene addirittura sfoggiata, come se si trattasse di un vero e proprio accessorio.
In sottofondo, oltre alla musica, una voce risuona fuoricampo: è facile capire che colui che pronuncia le parole stia riprendendo punto per punto le politiche di restituzione di gran parte delle aziende. Colpisce un altro particolare: lo speaker pronuncia un’aggiunta finale che suona così «so in case of buying, wearing and returning clothes, remember to enjoy before returning».
Una mossa controproducente?
Nonostante la campagna invitasse chiaramente i consumatori a divertirsi prima di riportare indietro il prodotto utilizzato, ottenne dei risultati strabilianti proprio perché la comunicazione sul problema non aveva un tono d’accusa nei confronti dei consumatori, né metteva in luce gli aspetti negativi.
In accordo a quanto dichiarato dall’agenzia le vendite salirono del +24% e allo stesso tempo le restituzioni seguirono l’andamento opposto, segnando un -9%. Sul fronte dell’online andò anche meglio: la percentuale in questo caso si attestò intorno al -14%.
La campagna generò oltre 96 milioni di media impressions e si aggiudicò un Grand Prix nella categoria Brand Experience & Activation agli Eurobest 2020.
Ai Cannes Lions del 2021 l’agenzia fece incetta di premi: anzitutto vinse il prestigioso Titanium Lion, massimo premio del Festival e assegnato a quelle campagne in grado di segnare una svolta nell’ambito della comunicazione e della creatività. Inoltre ottenne due ori nelle categorie Direct e PR, un Argento in Creative Ecommerce e due Bronzi in Social & Influencer e Print & Publishing;

Il grande merito dell’azienda (e dell’agenzia), in questo caso è stato fornire un altro punto di vista a questo problema: e mentre tutti i competitor e l’intero settore lamentava l’atteggiamento fraudolento e scorretto dei consumatori, Diesel è riuscita ad affrontarlo in un modo tutto nuovo e particolare.
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