La storia di brand che ha saputo sfidare i giganti del settore e vincere in un mercato già affollato e difficile da scalare, grazie alla comunicazione del suo carismatico fondatore.
Puoi approfondire questa campagna anche ascoltando l’episodio di Brandy qui sotto!
Gli unicorni sono degli esseri leggendari e mitologici a cui l’uomo ha attribuito diversi significati nel corso della storia. Sono entrati nell’immaginario collettivo grazie all’arte, alla letteratura e alla musica. Oggi, quando si parla di questa creatura molto spesso si guarda al significato che ha assunto in ambito economico. Per semplificare, le start-up o le aziende che raggiungono nel giro di pochi anni una valutazione di mercato pari a 1 miliardo entrano di diritto nel club di quelle che possiamo definire delle mosche bianche, in grado di scardinare le barriere del mercato in cui operano e scalarlo molto più velocemente di un’azienda con un business lineare.
Siamo ormai abituati a parlare di questo termine in questa accezione. In Italia stiamo assistendo ad una crescita in questo senso: Satispay e Scalapay sono due ottimi esempi di aziende che ce l’hanno fatta ad entrare in mercati competitivi attraverso idee semplici e tecnologie d’avanguardia. Nel lontano 2011 queste realtà si contavano nel palmo di una mano. La storia di Dollar Shave Club è la storia di un’idea innovativa rispetto al mercato di riferimento e di un fondatore, che è anche il principale attore della comunicazione dell’azienda, irriverente, schietta e sincera, che ha avuto il coraggio di osare e ha capito i bisogni del suo pubblico.
Il contesto
Prima di entrare nel merito della primissima campagna, che di fatto lanciò la società, per comprendere meglio cosa è successo bisogna ricordare cosa fosse il mercato dei rasoi e della cura personale nel lontano 2011. In America il settore era diviso tra il gigante Gillette e il marchio Schick, in Europa venduto dal brand Wilkinson. La comunicazione di queste due aziende rispecchiava un certo modello. Soprattutto Gillette, che era il brand numero uno per vendite globali nel campo della cura del corpo, voleva che le sue campagne rispecchiassero questa grandezza. Così sportivi come Federer, Tiger Woods, Tyson Gay, Lionel Messi e tanti altri venivano ingaggiati per apparire negli spot.
Lo scopo era duplice: aumentare il prestigio del brand attraverso uomini che erano i migliori nel loro ambito sportivo, così da legittimare l’aura di sacralità che Gillette voleva diffondere e dall’altro esaltare un modello di bellezza e perfezione molto alto ma desiderabile per l’ambizione degli uomini. Quasi a voler dire: «I successi sportivi che questi atleti hanno raggiunto sono anche merito nostro, usa le nostre lamette per ottenere il massimo».
Il capovolgimento dei valori
In questa storia si inserisce il nostro protagonista. La società DSC fu fondata nel 2011 da Mark Levine e Michael Dubin, attraverso un investimento iniziale di 20.000$. Il CEO partì da un suo problema per rivoluzionare il mercato. Si rese conto quanto fosse frustrante per un cliente comprare una semplice lametta di ricambio. Prezzi alti, prodotto esposti in teche trasparenti e inaccessibili, il cui contenuto è protetto da contenitori anti–taccheggio e la cui visione deve passare dalla richiesta al servizio clienti, che di solito sottopone il consumatore a una serie di domande prima di fargli visionare il prodotto. L’alternativa a cui ci si doveva accontentare era fornita da prodotti di qualità molto inferiore.
L’idea di Dubin invece prevedeva un servizio in abbonamento mensile, che permettesse al consumatore di ricevere la sua scorta di lamette direttamente a casa e a un prezzo molto inferiore. Ma come sfidare i giganti del mercato? Semplice: capovolgendo i valori su cui i grandi brand si basavano e creando una community. Questo, unito, al rivoluzionario programma di ricorrente invio del prodotto finì per scardinare il mercato. Serviva solo una comunicazione adeguata.
La prima campagna di Dollar Shave Club
Il 6 marzo del 2012, alle 6.30 del mattino Dollar Shave Club rilasciò un video sul suo canale YouTube, un vero e proprio manifesto dell’azienda. Lo spot si apre con Michael, CEO dell’azienda nonché testimonial della sua creatura. Bastano pochi secondi per capire i fondamentali: Il founder si presenta, cita l’azienda e spiega il purpose: un dollaro al mese per avere delle lamette di alta qualità. Rivolgendosi alla telecamera fa la domanda che tutti stavamo pensando: che qualità avranno delle lamette vendute per un solo dollaro? Ed è qui che scatta qualcosa, si intuisce il tipo di tone of voice che l’azienda vuole assumere.
Michael risponde, afferma che le lamette sono “fu**ing great” e continua a parlarci in un crescendo di schiettezza, ironia e accuse ai concorrenti. «Sei felice di spendere 20 dollari per comprare delle lamette brandizzate, sapendo che 19 dollari finiscono nelle tasche di Roger Federer?» O ancora, invita a non comprare rasoi sofisticati forniti delle più tecnologiche innovazioni perché si tratta solo di azioni di marketing, di cui il consumatore non ha un reale bisogno. Poi si concentra sui vantaggi, come poter sottoscrivere un abbonamento, che permette di avere il prodotto direttamente a casa senza doversi ricordare di acquistarlo. Non manca la chiusura sulla responsabilità sociale dell’azienda, impegnata a creare nuovi posti di lavoro.
Il tutto attraverso un video in piano sequenza, che ci racconta la realtà di un’azienda agli inizi, in cui tutti i settori dagli uffici alla logistica si trovano nello stesso ambiente. Il modo di parlare di Michael ci avvicina, risolve il problema che molti consumatori avevano e crea coinvolgimento. Non è scontato che ci sia la parola Club nel naming: uno degli obiettivi era creare una community attiva e molto legata al brand. In questo si può dire che Michael ha avuto un’intuizione geniale: ha rovesciato i valori di perfezione di Gillette e ha capito i valori che contraddistinguevano il suo target.
Il video diventò virale nel giro di poco tempo e 30 minuti dopo l’uscita il sito dell’azienda andò in crash.
Un po’ di dati
Bastarono 24 ore affinché l’azienda raccogliesse 12.000 sottoscrizioni al suo servizio in abbonamento. La campagna aveva funzionato, allora perché non basare tutte le successive comunicazioni su un modello simile? Nel corso degli anni la comunicazione di DSC ha portato alla costruzione di una community fedele al brand che ha continuato via via la sua ascesa, fino ad arrivare a circa 3,2 milioni di utenti che si riconoscevano perfettamente nei valori del brand. La crescita impetuosa di Dollar Shave Club contribuì a scardinare il dominio di Gillette: passò dal possedere il 71% della quota di mercato al 59%.
Nel 2015, a tre anni dallo spot che di fatto né scandì il successo, arrivò a fatturare 150 milioni di dollari. L’anno successivo le entrate si attestarono intorno ai 200 milioni. Niente male se si pensa che tutto è iniziato con un investimento pubblicitario di 4.500 $, spesi per realizzare il primo video. La campagna ha prodotto 20 milioni di visualizzazioni, 200.000 condivisioni su Facebook e oltre un milione tra interazioni e like. Se si ripensa che Instagram non era che un neonato e che TikTok sarebbe arrivato un era geologica dopo, si capisce l’eccezionalità di questa campagna. Si era agli inizi della rivoluzione digitale che stava investendo il mondo dell’adv, e Dollar Shave Club insieme a Michael sono stati dei precursori.
Nel 2016 Unilever intuì le potenzialità e acquistò DSC per la modica cifra di un miliardo di dollari, il valore degli unicorni.
Storie come queste diventano case study perché sono eccezionali: sono avvenimenti che sfruttano un tempismo perfetto e delle condizioni ottimali che combinate con idee chiare e scelte strategiche precise portano al successo in pochissimo tempo. I meriti di Dubin stanno nell’aver saputo intercettare il proprio target e nell’aver anticipato i tempi grazie al servizio in abbonamento. Oggi la pratica è talmente comune che quasi non ci si fa caso: Netflix, Amazon, Apple e tantissimi altri marchi vendono i propri servizi e prodotti in abbonamento, legando così il consumatore al proprio brand e garantendosi un’entrata fissa costante. Quando DSC immaginò il suo modello di business tutto non era che solo un azzardo.
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Image credits covers: Inc.Magazine