Domino’s Pizza e l’Italia: qualche chiarimento necessario

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16 Agosto 2022
Silenzia il telefono

La notizia si è diffusa un po’ in sordina in questa caldissima estate italiana, avara di tormentoni musicali ma molto frizzante sul piano dell’attualità. Ci è però voluto poco perché deflagrasse tra siti specializzati e meno e sollevasse le opinioni di un popolo che è sempre molto incline a parlare di questo e quello, a patto che non si tocchino i “mostri sacri”. Cosa c’è dietro il fallimento di Domino’s Pizza in Italia? La nostra analisi.

Cos’è Domino’s Pizza è perché ora ne parlano tutti (anche chi non ne avrebbe titolo)

Domino’s Pizza nasce nel 1960 in America, per la precisione nel Michigan. Negli anni del boom della ristorazione fast food, non poteva mancare un marchio che si occupasse del prodotto alimentare più famoso e consumato del mondo. Il concetto d’impresa alla base di Domino’s, che a partire dagli anni ‘80 diventa un colosso quotato in Borsa, presente in 70 paesi del mondo, è molto semplice: offrire una pizza preparata al momento a basso costo, fatta di ingredienti di qualità, estremamente personalizzabile e soprattutto consegnata a domicilio. Vi facciamo spiegare il resto della storia da Mochohf, YouTuber italiano specializzato in cibo USA:

Forte di un successo universale, sbarca in Italia nel 2015, inizialmente a Milano (il primo punto vendita si trova vicino al Castello Sforzesco, in location ultra centrale) e lentamente si espande aprendo altri locali in Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna. Perché solo in queste regioni? Perché l’impasto viene prodotto a Buccinasco (Milano) ed è necessario che non faccia troppa strada perché possa rimanere fresco.

Il marchio Domino’s in Italia viene acquisito da ePizza spa, con a capo l’ex Mc Donald’s Alessandro Lazzaroni, come unico franchisee con il marchio detenuto in esclusiva per 20 anni. La società si costituisce nel gennaio 2015 con quasi 900 mila euro di capitale sociale apposta per intraprendere questa avventura che sembra, all’inizio, esprimere numeri incoraggianti.

I paesi nel mondo in cui è presente Domino’s Pizza (image credit Wikipedia)

Come riportato in questo articolo di Wired del 2019, ePizza puntava a introiettare altri imprenditori per espandere la propria rete di business e diventare capillari sul territorio. I numeri fino ad allora in perdita erano giustificati dalla necessità di investire sulle ristrutturazioni e sugli adeguamenti strutturali dei locali che dovevano rispettare precisi requisiti ai fini di ottenere l’insegna. 


Nell’estate del 2022 arriva la doccia fredda: ePizza porta i libri al Tribunale di Milano che accorda le misure protettive del patrimonio, con un passivo di 7 milioni di euro sull’ultimo bilancio presentato (quello del 2020). I punti vendita iniziano a chiudere uno dopo l’altro, l’app si spegne e 124 dipendenti (conteggiati a giugno 2022) rimangono a casa. Ecco che iniziano a fiorire gli articoli a riguardo, dai più oggettivi ai più folkloristici (e naturalmente più cliccati e condivisi) come l’opinione del Foglio. Siamo veramente sicuri che tutti quelli che in queste ore stanno facendo scorrere fiumi di inchiostro sulla questione abbiano veramente titolo per farlo? Ovvero, avrà tutta questa gente assaggiato almeno una volta nella sua vita la pizza di Domino’s? Considerando la limitata diffusione territoriale del marchio e il risaputo snobismo degli italiani sulla pizza, abbiamo ragione di dubitare.

Una recente campagna di Domino’s in Italia (image credit engage.it)

Domino’s Pizza non è fallita!

Il titolo più strillato in questi giorni è “fallimento di Domino’s in Italia”. Al di là degli artifici per conquistare posizioni in SERP, si tratta di una madornale inesattezza e vi abbiamo già accennato ai motivi. Repetita iuvant: non è Domino’s a essere presente in Italia, ma il marchio è stato acquisito in franchising da un’altra società che lo ha distribuito in esclusiva.

È quest’ultima ad avere presentato domanda di misure protettive del patrimonio. Cosa vuol dire? Che i bilanci sono in grave difficoltà e stante questo stato di indebitamento si richiede che i creditori non possano avanzare richieste di fallimento o di pignoramento per recuperare i pagamenti non onorati. Si tratta di una procedura introdotta nel 2021 volta a permettere alle aziende di cercare di recuperare in extremis uno stato di difficoltà. Se vogliamo, quindi, neanche ePizza è legalmente fallita.

Ai puristi dell’italianità è però bastato questo per issare il vessillo tricolore in segno di vittoria sul colosso statunitense, ribadendo la superiorità di un cibo patrimonio dell’Unesco che nessuno, in verità, aveva mai messo in dubbio.

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I motivi della chiusura

I motivi di questa serrata sono da ricercarsi, stando alle notizie diffuse, alla difficoltà di stare al passo con l’esplosione del food delivery. In Italia questa pratica è rimasta appannaggio delle grandi metropoli fino allo scoppiare della pandemia del 2020. Prima, farsi portare il cibo a casa era un “lusso” concesso solo agli abitanti dei maggiori centri urbani dove le società di delivery avevano trovato la convenienza nell’essere presenti, mentre nei centri minori era decisamente meno frequente trovare la disponibilità di questi servizi.

Su questo se la giocava bene Domino’s con i suoi fattorini sui motorini azzurri, pronti ad arrivare nelle zone che altri snobbavano. La pandemia e i sucessivi lockdown hanno però fatto esplodere la richiesta di consegne a domicilio che hanno portato i giganti del settore, ma non solo, a riconsiderare la propria strategia: maggiore capillarità da parte di Glovo, JustEat e soci e nuova organizzazione delle pizzerie di quartiere hanno fatto sì che l’interesse verso Domino’s scemasse.

A questo va per forza aggiunta una nota sulla qualità della pizza Domino’s che, va detto, non era paragonabile a quella a cui il palato italiano è abituato. Nè più buona nè più cattiva, semplicemente diversa: una pizza che richiamava la sua natura a stelle e strisce ben prima della possibilità di metterci su l’ananas, che già dal cartone in cui veniva consegnata ti faceva capire che la chiamavano pizza, ma forse era un’altra cosa. Forse anche questo “equivoco comunicativo” ha contribuito alla disaffezione dell’utenza.

La storia di Domino’s richiama quella di Spizzico, fast food di pizza totalmente italiano inventato negli anni ‘90 da Autogrill (potete leggerne la storia qui) che visse un decennio di grossi fasti accompagnato a una forse inaspettata involuzione. Presente oggi quasi esclusivamente lungo le autostrade con un concept molto diverso da quello originario, sopravvive in pochissimi punti vendita stand alone che si vanno riducendo sempre di più. Qui nessuna critica al prodotto, semplicemente una mutata volontà del pubblico sempre meno incline a considerare la pizza un prodotto fast food.

Un corner Spizzico in Autogrill (image credits autogrill.it)

Forse è questa anche la chiave della sfortuna di Domino’s in Italia (a parte l’ovvio e spesso inopportuno integralismo di alcuni): il non aver compreso la voglia di tanti di considerare la pizza un momento conviviale, un rito da concedersi con famiglia e amici uscendo da casa, tutte cose che la business strategy americana concedeva ma fino a un certo punto. La pizza come momento “slow”, in contrapposizione all’urgenza e ai numeri del “fast”.

Restiamo in attesa di capire i risvolti giudiziari della faccenda, nel frattempo speriamo, soprattutto per i dipendenti, che le saracinesche possano rialzarsi in qualche modo presto.

…ci leggiamo presto!

cover image credits fanpage.it

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