Una nostra lettrice chiede come mai negli spot, quando il gioco si fa spiacevole, scendano – o meglio: vengano fatte scendere – in campo sempre e solo le donne. È davvero così o è solo un’impressione?
“A me dovreste spiegare perché, nelle pubblicità relative a diarrea, stipsi, gonfiore addominale ed emorroidi sono sempre usate le donne. Gli uomini non soffrono di tali disturbi?”.
È da questo prezioso commento, apparso su Facebook sotto una condivisione del nostro approfondimento sul test di Bechdel, che abbiamo tratto ispirazione per un nuovo pezzo sugli stereotipi di genere in pubblicità.
Iniziamo col rispondere subito alla domanda della nostra lettrice: davvero negli spot di farmaci, integratori o comunque prodotti in grado di contrastare problematiche spiacevoli (e per alcune persone imbarazzanti) compaiono solo donne? La risposta è no, ma c’è comunque un problema di rappresentazione piuttosto diffuso. Andiamo a scoprirne di più.
La genderizzazione negli spot
È innegabile che spesso gli spot soffrano di genderizzazione. Genderizzare significa caratterizzare qualcosa affinché sia immediatamente chiaro il genere “di riferimento”, quello a cui si intende rivolgersi, di fatto, escludendo l’altro – anzi, gli altri. Non sempre questo approccio è sbagliato. Ad esempio, chi produce assorbenti per mestruazioni avrà per ovvie ragioni come target principale le donne: in questo caso sarà più che comprensibile una comunicazione completamente declinata al femminile, sia nelle immagini sia nelle parole. Ma tanti altri prodotti, alcuni dei quali sono proprio quelli citati dalla nostra lettrice, sono utilizzati da tutte le persone, a prescindere dal genere a cui sentono di appartenere. In questo senso, campagne pubblicitarie inutilmente genderizzate rischiano di far percepire il prodotto come destinato solo a un pubblico circoscritto, tagliando via un segmento di mercato non indifferente. Sembra impossibile e controintuitivo, eppure c’è chi ha scelto questa strada.
Pink is better?
È opinione diffusa che scegliere una donna per parlare al pubblico di argomenti imbarazzanti – e, ammettiamolo, anche un po’ disgustosi – serva a ingentilire l’argomento. Una bella donna che sorride mentre parla di intestino irregolare (che, vale la pena ricordarlo, vuol dire stipsi o diarrea, spesso in alternanza tra loro) è sicuramente rassicurante, e fa quasi dimenticare che, in fondo, non stiamo certamente parlando di fiorellini. In questo senso, ad esempio, da anni Activia ha compiuto una scelta comunicativa che va a trasmettere l’idea che il proprio prodotto sia destinato e desiderabile solo da persone appartenenti al sesso femminile, scegliendo di mostrare sempre e solo donne (comuni o famose che siano), come se queste ultime fossero attente quasi “per natura” alla salute del proprio apparato digerente.
Anche i disturbi gengivali – che solitamente iniziano con ipersensibilità e sanguinamenti e, se non curati, finiscono con parodontiti e perdita dei denti – per alcuni brand sembrano riguardare solo una specifica metà del cielo: è il caso di Parodontax che perfino sul proprio sito web mostra solo ed esclusivamente bocche muliebri.
Discorso simile per Epitact, linea di prodotti destinata al trattamento di problemi quali dolori plantari, vesciche, calli, duroni, alluci valghi e disturbi articolari e posturali: le donne (di diverse età) sono le uniche titolate a rappresentare queste problematiche e a comunicare l’utilità e i benefici degli articoli pubblicizzati (sul sito web gli uomini appaiono solo nella sezione “sport”).
Un discorso a parte, invece, meriterebbero quegli spot che insinuano che il motivo per cui si dovrebbe intervenire per porre rimedio al disturbo rappresentato, guarda caso da donne, si riduce a un discorso di aspetto esteriore, di accettazione sociale, di piacere per lo sguardo altrui: è il caso del già citato Onilaq, che consente alla donna colpita da onicomicosi di rimettere i sandali senza vergogna, e di Enterogermina, che fa sparire il gonfiore addominale e permette di indossare nuovamente abiti aderenti e fascianti.
Oltre il gender, restano gli stereotipi
Quanto presentato finora, però, non è legge universale. Per rispondere alla nostra lettrice e a chiunque avesse la sua stessa percezione, sì, esistono prodotti “scomodi” rappresentati sia da uomini sia da donne: si tratta probabilmente di brand che presentano una maggiore sensibilità sul tema, oppure che semplicemente non trovano saggio escludere dalla propria narrazione un’intera fetta di mercato.
Anche in questo caso, però, ci sono dei però.
È il caso, ad esempio, di Dermovitamina Proctocare, un prodotto utile per il trattamento di emorroidi e ragadi anali. Lo spot presenta effettivamente un uomo e una donna, quindi la genderizzazione è scongiurata. Tuttavia, l’uomo e la donna sono rappresentati sulla base di caratterizzazioni di genere piuttosto consolidate: l’uomo è inserito in un contesto professionale ─ insomma, probabilmente è in ufficio ─ e anche il suo abbigliamento lo conferma; la donna è all’aperto, vestita in maniera informale, e spinge un passeggino. In più, vale la pena di notare che l’uomo si volta e si rivolge al pubblico ponendosi frontalmente, mentre la donna ruota solo la testa, lasciandoci la visuale della schiena (e del sedere, ça va sans dire). Siamo nuovamente di fronte a quella narrazione stereotipata purtroppo ancora troppo diffusa, che rappresenta l’uomo come “quello che lavora” e la donna come “quella che si occupa della famiglia e/o della casa”.
Lo stesso identico discorso vale per Buscopan e Buscopan Compositum, entrambi medicinali indicati nel trattamento dei dolori spastici del tratto gastro-intestinale o genito-urinario. Lo spot (del 2018) si apre mostrandoci un uomo all’interno di un ufficio, o comunque in un contesto piuttosto formale: ha una cartellina in mano e l’abbigliamento non è esattamente casual. Subito dopo vediamo una donna, inequivocabilmente in un contesto non professionale: è in un centro commerciale e sta inseguendo un bambino, presumibilmente suo. Per altro, si potrebbe notare che in entrambi gli spot gli uomini stanno metaforicamente salendo verso un livello superiore, mentre le donne si muovono solo in orizzontale: potrebbe essere forse un modo molto fine di alludere a una peculiare tendenza a puntare sempre in alto del genere maschile, contrapposto a una auspicata tranquillità e tendenza alla conservazione degli equilibri del genere femminile.
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Bonus (malus)
Chiudiamo questa piccola rassegna con uno spot (e la sua versione aggiornata) che non riguarda esattamente i problemi citati dalla nostra lettrice, ma che secondo noi, a questo punto della trattazione, merita una menzione: si tratta di Prostamol, integratore alimentare che contribuisce alla funzionalità della prostata. Appare evidente come, in questo caso, una comunicazione completamente genderizzata troverebbe facilmente giustificazione, con un uomo che si rivolge agli uomini proponendo una soluzione per un problema indubbiamente maschile. E sembra così, almeno nella versione più recente dello spot. Grazie a una sua versione più datata, invece, scopriamo che quella mano che mette sul comodino la confezione del prodotto appartiene in realtà alla donna, che si è recata in farmacia per acquistare la soluzione al problema del suo uomo ─ il quale, evidentemente, non sa (o rifiuta di) prendersi cura di se stesso in autonomia. Ma d’altra parte, non abbiamo forse detto prima che il prendersi cura di cose e/o persone è un’attività prettamente femminile, in certe narrazioni? Per altro, in una versione alternativa dello spot (e non reperibile sui canali ufficiali di Menarini, ma disponibile sul blog Occhio allo spot) la voce narrante era addirittura femminile, e recitava: “Per prendersi cura di lui c’è Prostamol”. Insomma: gli stereotipi si annidano nei contesti più impensabili.
Anche per questa volta è tutto. Speriamo di aver risposto al quesito della nostra lettrice, e anzi vi invitiamo a sottoporre alla nostra attenzione, anche attraverso i commenti sui nostri profili social, dubbi, curiosità e argomenti di cui vorreste sapere di più sul fantastico mondo della pubblicità.