Prodotti flop: 5 esempi di marketing fallimentare

Avatar photo
3 Settembre 2021
Tocca mettersi comodi

Il lancio di un nuovo prodotto sul mercato è un processo complesso e gli errori sono dietro l’angolo, anche per i marchi più famosi. In questo articolo, ve ne parliamo attraverso le storie di cinque prodotti che ci hanno provato, ma hanno miseramente fallito.

LANCIARE NUOVI PRODOTTI: SOLO UNO SU QUATTRO CE LA FA

Il lancio di un nuovo prodotto è una fase molto delicata che può determinarne facilmente il ritiro precoce. Evitarlo è l’obiettivo della collaborazione tra le due principali forze coinvolte nei lanci: da una parte c’è il reparto Marketing, che deve individuare adeguatamente i bisogni del mercato, dall’altra c’è il dipartimento di Ricerca e Sviluppo, che ha il compito di implementare caratteristiche di prodotto che rispondano a tali bisogni.

Le statistiche indicano chiaramente che la maggior parte delle novità introdotte sul mercato non soddisfano gli obiettivi commerciali del produttore. Ciò è vero soprattutto in ambito alimentare: secondo uno studio Nielsen, tre lanci di nuovi prodotti su quattro falliscono, e nel 76% dei casi,- il prodotto viene ritirato entro l’anno senza raggiungere i 10.000 pezzi venduti.

Qual è la ragione di questi insuccessi? La realtà è che il lancio di un prodotto nuovo è un processo delicato, e gli errori sono dietro l’angolo, anche per le aziende e i marchi più rinomati. Vediamo quali sono i più fatali analizzando alcuni esempi fallimentari di marketing di prodotto.

1 – PHILADELPHIA – MILKA: IL SAPORE CULTURALMENTE MEDIATO

Nel 2011, la multinazionale Kraft attiva la collaborazione tra due dei suoi maggiori marchi, Philadelphia e Milka, per realizzare quella che voleva essere una alternativa light alla Nutella: il formaggio spalmabile Philadelphia al gusto di cioccolato Milka.

philadelphia milka
Philadelphia Milka 2011

Il prodotto, che in Francia e Germania ha ottenuto un discreto successo, in Italia è stato un completo flop. Lo spot del Philadelphia Milka si concludeva chiedendo “Esiste davvero?”, una domanda che ancora oggi in molti si pongono.

L’abbinamento di alimenti all’apparenza incompatibili non è cosa nuova per il palato italiano: probabilmente anche il vitello tonnato ai suoi albori, avrà causato più di un’alzata di sopracciglio. Eppure, a parere di tanti, il destino del Philadelphia Milka era inevitabilmente segnato. Perché?

Alcune indagini di mercato hanno rivelato la presenza di un sapore di latte troppo marcato, un retrogusto “aspro” o “acidulo” secondo i consumatori. Tuttavia, date le enormi risorse investite dal gruppo Kraft nei test di gradimento dei suoi prodotti, probabilmente il sapore non è il principale responsabile di questo fallimento.

Qual è dunque il problema? Nella testa dei consumatori il marchio Philadelphia è associato al formaggio, e Milka al cioccolato: per il consumatore, dunque, l’unione di questi brand equivale alla combinazione di questi due alimenti. Ora, se quest’ultima risulta gradevole per il consumatore, ad esempio, tedesco (si pensi alle popolarità di dolci come la cheesecake in questo mercato), non risponde però al gusto del consumatore italiano.

Il problema, dunque, è legato al gusto, più che al sapore: il giudizio sul sapore da parte del consumatore viene condizionato dalla percezione dei due brand, la cui combinazione, nel contesto culturale del mercato italiano, non risulta gradevole.

2 – NEW COKE: I BRAND DEL CUORE NON SI TOCCANO

Nel 1985, Coca Cola ha deciso di testare una nuova formula, lanciando sul mercato americano la cosiddetta “New Coke”, un vero e proprio disastro.

new coke e coke 2
Coke II e New Coke 1985

Ancora una volta, la colpa non è del sapore. Diversi focus group avevano infatti giudicato la nuova bevanda più buona rispetto alla versione originale. Tuttavia, i consumatori non l’hanno apprezzata perché intendeva rimpiazzare un prodotto, la Coca Cola originale, che occupava un posto prominente nella cultura nordamericana, e che nella mente e nel cuore dei consumatori risultava assolutamente insostituibile.

Come testimoniano diverse fonti, dopo il lancio, il quartier generale della Coca Cola ad Atlanta riceveva circa 1.500 telefonate al giorno da parte di consumatori furiosi che reclamavano il ritorno della formula originale. Secondo lo psicologo che Coca Cola aveva assunto per gestire le telefonate, alcuni dei consumatori erano così sconvolti che sembrava avessero perso una persona cara. Nacque anche un’organizzazione, chiamata “Old Cola Drinkers of America” per richiedere il ritorno alla versione classica della bevanda. Persino Fidel Castro si schierò contro la New Coke, giudicandola un simbolo della decadenza del capitalismo americano.

A soli 79 giorni dal lancio, Coke 2 venne ritirata dal mercato, ripristinando la versione originale. Coca Cola ha provato a proporre il nuovo prodotto sui mercati esteri con il nome di “Coca Cola II”, ma l’iniziativa non ebbe successo e la bevanda scomparve definitivamente nel 2002.

La Pepsi ne ha approfittato, convertendo diversi consumatori, attraverso spot simpatici ed efficaci come questo:

Spot Pepsi “They changed my coke” 1985

3 – LA PIZZA DI MCDONALD’S – NON RINNEGARE I CAPISALDI DEL BRAND

Alla fine degli anni 80, nel tentativo di posizionarsi come alternativa per la cena, oltre che per il pranzo, McDonald’s ha introdotto la pizza nei propri ristoranti statunitensi. L’idea non ha avuto successo.

mcdonalds_pizza
Pizza di McDonald’s 1989

Come riportano alcuni articoli sul tema, rispetto agli altri piatti tipici del fast food, la pizza richiedeva più tempo per essere preparata e costava di più, scontrandosi quindi con due dei principali capisaldi del brand, ovvero velocità e basso costo, che i consumatori di McDonalds si aspettavano di trovare.

Nel giro di alcuni anni, quasi tutti i McDonald’s che servivano pizza ne cessarono la produzione, e il prodotto scomparve del tutto nel 2000. Anche se non ce n’era bisogno, dato l’insuccesso della McPizza per le ragioni descritte, la concorrenza, e in particolare Pizza Hut rispose all’iniziativa di McDonald in modo piuttosto aggressivo, raccomandando ai consumatori di non fare un “McStake” acquistandone il prodotto, e schernendo la McPizza con la definizione di “McFrozen”.

4 – GRAN SOLEIL – L’IMPORTANZA DEL QUANDO, COME, DOVE E PER CHI

Nell’estate del 2006 la Ferrero lancia sul mercato italiano quello che voleva essere un dolce innovativo, il Gran Soleil, che poi era una sorta di sorbetto al limone liofilizzato. Gli spot, il primo e poi quelli successivi, tutti realizzati dall’agenzia italiana Italian Brand Group, sono discretamente famosi e coinvolgono volti noti. Il Gran Soleil doveva essere un grande successo, ma si è rivelato un grande disastro: è stato ritirato nel 2014, dopo sei anni di test, bassi volumi di vendita, e troppa pubblicità.

Gran Soleil Ferrero 2006

Secondo alcune ricerche in merito, l’insuccesso del Gran Soleil è dovuto a diversi fattori, tutti piuttosto importanti nel contesto del lancio di un nuovo prodotto. Vediamo meglio quali:

DOVE

Il Gran Soleil si differenziava rispetto ai competitor perché non aveva bisogno di essere conservato in frigorifero. Dunque, all’interno dei supermercati, non venne posizionato nel banco frigo, come sarebbe stato naturale per un sorbetto, ma vicino alle casse, tra gli acquisti di impulso. Tuttavia, rispetto ai prodotti in quest’area, il Gran Soleil non poteva essere consumato subito, poiché c’era bisogno di metterlo nel congelatore una notte prima: un problema non indifferente.

QUANDO

Un altro problema è il momento storico in cui è stato lanciato il Gran Soleil, ovvero il 2008, l’anno della recessione. In questo periodo, il senso di ottimismo e allegria fittizia promosso dal linguaggio televisivo, di cui gli spot del Gran Soleil facevano parte, cominciava a venire meno.

PER CHI

Gli snack e altri prodotti Ferrero come quelli Kinder, si rivolgevano ai consumatori giovani e giovanissimi. Tuttavia, la presenza di alcool nel Gran Soleil precludeva questo target.

COME

Uno dei problemi più grossi per il Gran Soleil sembra il fatto che fosse pubblicizzato in modo massivo, oltre a una presenza massiccia di promoter del prodotto nei supermercati. Questa strategia dava l’impressione di voler vendere il prodotto per forza. La cosa, naturalmente, non piaceva ai consumatori: tutti i tentativi di riposizionamento del prodotto (gusti nuovi, senza lattosio, testimonial famosi, pacchi convenienza, cucchiai omaggio) fallirono miseramente.

5 – I SURGELATI DI COLGATE. SÌ, AVETE CAPITO BENE.

La storia dei prodotti surgelati Colgate è piuttosto oscura. A raccontarla, nel 2017, in Svezia, è stato il Museum of Failure, che includeva la ricostruzione della di una confezione di lasagne surgelate firmate Colgate nel suo repertorio di prodotti falliti. A quanto pare, Colgate ne ha negato l’esistenza, ma sembra che in realtà una linea di antipasti surgelati, i cosiddetti Colgate Entrees, fossero stati in effetti lanciati sul mercato dal noto marchio di dentifrici negli anni 80. Tralasciando le indagini più approfondite sulla questione, ciò che il fallimento di questo prodotto insegna è un aspetto molto importante nel lancio di prodotti nuovi.

colgate entrees
Colgate Entrees 1982

Con l’obiettivo sfruttare il ricco mercato dei cibi surgelati, particolarmente forte negli anni 80, Colgate aveva messo in atto una strategia di brand extension, cercando di penetrare con il suo marchio i confini di un settore diverso rispetto al proprio. Il problema però è che il settore di partenza, l’igiene orale, risultava troppo distante, e quasi antitetico, rispetto a quello che cercava di raggiungere, l’alimentare, causando una percezione di profonda dissonanza nel consumatore. Chi comprerebbe una crema per la pelle di marca Agip o un paio di scarpe Nivea? Esatto: nessuno.

Le ragioni dell’insuccesso nel lancio di un nuovo prodotto sono tante: la scelta errata di placement o target, il mancato rispetto dei valori o del settore di riferimento del brand, ma anche il luogo e il tempo di lancio. I flop di questi prodotti, tuttavia, hanno tutti qualcosa in comune: in pochi, davvero, ne sentiranno la mancanza!

Ci leggiamo presto!

A cura di
Avatar photo
Gazzetta PRO