In occasione della “Giornata mondiale senza tabacco” che sarà il 31 maggio 2021, ricordiamo alcune tra più creative campagne pubblicitarie contro il fumo. Da paura e disgusto, a humor e ironia, fino all’arte, scopriamo quali strategie hanno adottato i pubblicitari di tutto il mondo per dirci che fumare fa male.
Fumare fa male?
La “Giornata mondiale senza tabacco” si avvicina: quest’anno è il 31 maggio. Apparentemente, nel 2021 è ancora necessario creare consapevolezza rispetto ai danni del fumo. Eppure, tutti sanno che fumare fa male. Lo sa chi fuma, lo sa chi non fuma, lo sanno anche le piastrelle.
Ci sono teorie cospirazioniste sulla piattezza del globo terrestre, sulla relazione tra autismo e 5G, sul fatto che Paul McCartney sia segretamente morto ed Elvis Presley segretamente vivo, ma sul fumo no, nessuno dubita che fumare faccia male. E non è come quel mezzo bicchiere di vino a pasto, la carne rossa qualche volta, o un fritto misto ogni tanto. No, fumare fa sempre, in ogni circostanza, universalmente ed inequivocabilmente male.
L’obiettivo delle pubblicità contro il fumo, dunque, non è diffondere questo messaggio, dato che è già ampiamente diffuso. Tali pubblicità lavorano, piuttosto, sull’interiorizzazione del messaggio in questione da parte delle persone, e sui suoi effetti. Vediamo ora come queste pubblicità operano, e come, almeno in teoria, funzionano.
La sfida delle pubblicità anti-fumo
Le pubblicità contro il fumo non sono dirette solo verso i fumatori. Spesso si rivolgono invece a familiari, colleghi o amici di fumatori. Oppure, sono indirizzate ai giovani, che ancora non hanno cominciato a fumare, ma potrebbero farlo presto. Se il messaggio del contenuto anti-fumo cambia a seconda del destinatario, il tono, invece, e le emozioni che mira a suscitare, sono spesso gli stessi.
È ampiamente dimostrato che sono proprio i messaggi emozionali quelli ad essere ricordati più facilmente. Questi messaggi, infatti, sono in grado di attivare i maggiori processi cognitivi, influendo sull’attenzione, le intenzioni e le motivazioni degli individui. Le pubblicità antifumo hanno dunque cercato di suscitare emozioni di vario tipo per far sì che il loro messaggio fosse adeguatamente recepito. Vediamo quali.
Pubblicità che fanno paura (e anche un po’ ribrezzo)
La maggior parte dei messaggi pubblicitari contro il fumo ha puntato su emozioni forti come la paura o il disgusto per comunicare in modo diretto quali siano i rischi del fumo e convincere le persone ad evitarli. Ecco un paio di esempi.
Fumare fa marcire
Nel 2014 Public Health England ha lanciato questa potente campagna per mostrare, in modo molto grafico, l’impatto sull’organismo delle sostanze tossiche contenute nelle sigarette, anche in quelle rollate a mano.
“Every cigarette rots you from the inside out”, Public Health England – 2014
Consigli di ex fumatori
“Tips from former smokers” è il nome di una campagna statunitense che raccoglie le testimonianze di persone affette da malattie gravi causate dal fumo. Questa è una delle loro drammatiche storie.
Questo genere di contenuti anti-fumo mette in evidenza la relazione causale tra il fumo e la morte, le malattie gravi, e la dipendenza. Ma queste pubblicità shock funzionano davvero? Prima di rispondere a questa domanda, vediamo quali sono le altre strategie utilizzate da pubblicità anti-fumo che hanno deciso di puntare su emozioni differenti, utilizzando un linguaggio diverso.
Fumare fa morire, ma non solo
Ci sono pubblicità che hanno cercato di differenziarsi dalle altre mettendo l’accento sulle conseguenze del fumo che, pur non essendo gravi come la morte e la malattia, sono comunque degne di nota. Eccone alcune.
L’alito del fumatore
L’odore dell’alito e l’igiene orale in generale sono tasti dolenti per i fumatori. Ecco alcune pubblicità anti-fumo che hanno messo l’accento proprio su questi problemi.
Tra queste, c’è la campagna chiamata “Kiss my ash”, realizzata dall’agenzia finlandese Bob Helsinki (oggi Bob the Robot) nel 2007.

Sullo stesso tema, un’altra curiosa pubblicità, dell’agenzia TBWA, commissionata da un ente nazionale francese contro il tabagismo, potrebbe non essere particolarmente gradita agli amanti degli animali.
La casa del fumatore
Un altro problema per i fumatori è la puzza di sigarette in casa. Questa pubblicità, realizzata dall’agenzia israeliana Gitam BBDO, ha illustrato il concetto in modo piuttosto creativo.

L’aspetto del fumatore
L’invecchiamento della pelle e gli effetti del fumo sull’aspetto fisico sono anch’essi temi che le pubblicità anti-fumo hanno sfruttato per veicolare il loro messaggio. Ecco come.
La campagna realizzata dall’agenzia BBDO russa si rivolge alle giovani fumatrici, preoccupate dal loro aspetto fisico con la tagline: “Think it makes you pretty?”
Uno spot cinematografico realizzato dall’agenzia Iris in UK, affronta lo stesso tema, mostrando una ragazza, Sophie, che fuma seduta su una sedia. Dopo ogni tiro, la pelle del suo viso si riempie di rughe, finché il suo volto non diventa quello di una donna molto più vecchia. Per ottenere questo effetto, la protagonista è stata filmata mentre fumava sigarette prima di un’altra attrice più anziana, che le assomigliava, seduta nella stessa posizione.

Metafore pesanti
Alcune pubblicità hanno cercato di comunicare la relazione tra fumo, morte e dipendenza in modo particolarmente creativo, utilizzando delle metafore. Eccone alcune.
Nel 2010, una campagna anti-fumo francese ha lanciato una forte provocazione, paragonando il fumo alla schiavitù sessuale. Le foto mostrano tre adolescenti con una sigaretta in bocca, inginocchiati di fronte a quello che sembra un adulto, che mette loro una mano sulla testa. Lo slogan recita: “Fumare vuol dire essere schiavi del tabacco”. La campagna ha attirato forti critiche da fumatori e non.
Un’altra metafora sulla dipendenza da fumo è stata proposta da una campagna commissionata dal governo inglese nel 2007. I protagonisti vengono letteralmente “presi all’amo” e trascinati. Lo spot fornisce rappresenta la dipendenza da fumo come una forza irrazionale, di cui i fumatori sono completamente succubi.
I figli dei fumatori
Il problema del fumo non riguarda solo i fumatori. Molte pubblicità cercano di attuare il loro intento anti-fumo mostrando ai fumatori l’impatto che hanno su chi sta loro a cuore, figli in primis.
Su questo filone, l’agenzia Ogilvy ha realizzato nel 2013 una campagna per sensibilizzare circa l’impatto del fumo di sigaretta sui neonati. Il fumo esce dalle bocche degli adulti, ma dentro ad esse si celano le bocche più piccole dei bambini.
L’incidenza del fumo sull’allattamento è invece oggetto della campagna realizzata dall’agenzia indiana Bhadra Communication, in cui un mozzicone di sigaretta si sostituisce al tradizionale capezzolo.

Pubblicità che fanno ridere
Alcune pubblicità contro il fumo hanno adottato una strategia persuasiva basata su humor ed ironia, fregiandosi in alcuni casi di grande creatività.
Questa pubblicità anti-fumo realizzata dall’agenzia King nel 2009 è significativamente chiamata “Cenere alla cenere“.

Una pubblicità piuttosto divertente è quella di Nicotinell, un prodotto per aiutare i fumatori a smettere, realizzata in Australia nel 2008, che ironizza sull’invecchiamento precoce causato dal fumo.

Altrettanto spassosa è una pubblicità del Team Young & Rubicam (oggi VMLY&R) del 2006 che affronta invece il tema dei danni alla vista in relazione al fumo.

È curiosa la trovata dell’agenzia Iris nel 2011, che ha inserito un piccolo inserto all’interno di libri e Kindle per evidenziare come il fumo sia causa di morte precoce. Il nome della campagna è “Premature ending”.

Pubblicità artistiche
Alcune pubblicità si sono servite dell’arte per veicolare il proprio messaggio anti-fumo. Tra queste, occupa un posto di merito la campagna dell’agenzia canadese Bleublancrouge del 2009, “Le sigarette fumano le persone”.
Un’altra pubblicità artistica contro il fumo è quella del gruppo Saatchi & Saatchi in Romania del 2007.

I limiti delle pubblicità contro il fumo
Benché le strategie utilizzate dalle pubblicità anti-fumo siano diversificate, la maggioranza rientra nella prima delle categorie che abbiamo esaminato, ovvero quelle che stimolano paura o disgusto. Queste pubblicità intendono comunicare in modo diretto, trasmettendo un messaggio forte e chiaro, e dunque spronando la conseguente risposta. Questo intento, come evidenziato da alcuni studi sul tema, si scontra tuttavia, con diverse problematiche
In primo luogo, questo approccio presuppone che chi riceve il messaggio sia un soggetto passivo, ma il consumatore contemporaneo non lo è. Il consumatore di oggi si ritiene capace di pensare e decidere autonomamente, e non si presta ad un tipo di comunicazione che palesi l’intenzione di spaventarlo o disgustarlo per imporgli qualcosa.
Un altro problema delle pubblicità shock è che fanno leva su un processo decisionale lineare. In altre parole, producendo stimoli negativi (paura e disgusto) associati a qualcosa (il fumo), queste pubblicità mirano a sollecitarne il logico rifiuto. Il problema è che il fumo è una dipendenza e la decisione di fumare non avviene in modo lineare. Infatti, il comportamento dell’individuo rispetto al fumo (così come rispetto alle droghe o al sesso), è regolato dal cosiddetto “sistema di ricompensa” del cervello, che è difficilmente controllabile.
A questo proposito, altri studi hanno cercato di dimostrare che, se le pubblicità shock non funzionano sui fumatori, potrebbero però funzionare su chi non fuma, come i giovani, e fare prevenzione. Il problema è che i giovani massimizzano le caratteristiche del consumatore contemporaneo, che rifiuta un messaggio imposto. Inoltre, dato che la maggior parte delle pubblicità anti-fumo adotta questo tipo di approccio, la ripetizione continua del messaggio ne diminuisce l’efficacia.
Funzionano invece le pubblicità che adottano strategie alternative, come l’ironia o l’arte, per trasmettere il loro messaggio anti-fumo? Gli studi in merito non presentano risultati univoci.
Il principale limite nel valutare le pubblicità contro il fumo deriva dal fatto che anche i migliori studi scientifici sul tema possono solo riportare ciò che affermano i fruitori di queste pubblicità. Tuttavia, quello che questi ultimi sentono e provano rispetto ad esse non è certo un indice della loro efficacia. L’efficacia reale potrebbe essere valutata solo studiando l’evoluzione dei comportamenti degli individui in relazione al fumo dopo l’esposizione ad una certa campagna pubblicitaria.
Del resto, da pubblicitari, non possiamo valutare le pubblicità contro il fumo solo in base al loro effetto sulle abitudini dei fumatori o dei fumatori potenziali. Indipendentemente da ciò, infatti, alcune di esse sono certamente da premiare per la loro creatività, e per ciò che le rende talvolta affini a vere e proprie opere d’arte. Infine, per quanto creative o artistiche possano essere le pubblicità anti-fumo, speriamo, al più presto, di non vederne più.