La radio è da sempre una galassia pubblicitaria fondamentale. Siamo andati a sondare la situazione per capire quanto costa la produzione di uno spot, la messa in onda e quali sono le stazioni che incassano di più (oltre a quelle più ascoltate).
“La radio è l’unico mezzo che non puoi togliere di mezzo”. È questo il claim che sta accompagnando da diverse settimane la campagna ideata dal progetto “La Radio Rende” finalizzato a promuovere la pubblicità attraverso il canale più tradizionale che ci sia. Uno slogan accattivante che rispecchia una realtà pratica ma forse un po’ semplificata. Abbiamo provato a capire meglio quale siano presente e futuro di un media che è particolarmente amato (e sfruttato).
Web kills the radio star?
Da anni andiamo dicendo che i Baggles hanno preso un granchio non indifferente nel profetizzare la morte della radio con l’avvento della televisione (facile ipotizzare come la band abbia trovato dorato conforto nelle royalties del brano) ma non è nemmeno così vero che la radio sia in grado di resistere senza colpo ferire agli altri mezzi di comunicazione.
Il web, per esempio, si è rivelato erma bifronte per il settore radiofonico: dipende quale faccia intendiamo guardare. Da una parte, infatti, il più facile accesso a qualsiasi stazione ha reso meno fondamentale la complicata (e molto costosa) infrastruttura delle frequenze Fm. Dall’altra, però, siti ed aggregatori hanno fatto sì che oggi la concorrenza sia esponenziale.
Chiunque oggi può aprire una sua web radio a costi abbastanza limitati (poco superiori ai 2-3.000 euro annuali) e sperare di farsi ascoltare al pari dei grandi player. Discorso diverso se si intende fare della radio anche uno strumento di guadagno dove le spese fisse crescono (a spanne 8-9.000 euro annuali di base per, semplificando, una licenza commerciale). Il risultato, comunque, è che a una torta che è sempre la stessa si stanno aggiungendo molte fette.
Il dilemma dei podcast
Cosa fare, poi, del nuovo mostro dei podcast? La televisione era davvero troppo diversa per insidiare la radio (banalmente, per esempio, non puoi guidare guardando la tv) ma i podcast sono molto più minacciosi seppur complementari. I podcast puoi ascoltarli lavorando, camminando, correndo, lavando i piatti o coltivando gerani: la fruizione è come la radio. E funzionano. Per molto tempo hanno incontrato i favori del pubblico le radio più prettamente musicali ma ora arrivano prodotti legati a doppio filo alla sola parola. Quanto eroderanno?
In una ipotetica via di mezzo possiamo trovare anche emittenti fortemente specializzate che eliminano la musica per dedicarsi totalmente a un tema. Prendiamo Radio Sportiva: un mix di proposta web e frequenze fm sul territorio nazionale senza alcun brano musicale e interamente dedicata, tutto il giorno, a temi sportivi. Lo share medio nel 2019 (a nove anni dal lancio) è di un milione di ascoltatori giornalieri. Banalmente tutto pubblico che prima ascoltava altro.
Quanto costa realizzare uno spot radio?
Inquadrata sommariamente la cornice moderna entro la quale si muove la radio bisogna anzitutto comprendere quanto può costare farsi pubblicità alla radio. Ovviamente la prima voce (spesso sottovalutata) è la produzione dello spot. Moltissime radio offrono il servizio di realizzazione in-house (calcolata poi assieme alla messa in onda) ma è bene anche orientarsi su un eventuale produzione autonoma.
Come sempre è molto complicato dare dei riferimenti precisi e matematici sui costi perché le variabili che possono incidere sulla creazione di uno spot radiofonico sono davvero tante. Proviamo, però, a fare prima di tutto un elenco delle variabili: diffusione, complessità della sceneggiatura, numero di voci, durata, presenza di musiche originali o coperte da copyright, quantità e tipo di produzione.
Abbiamo contattato diverse case di produzione e radio ricavandone alcune forchette che possiamo considerare affidabili anche se ampie. Per una campagna locale ci si muove tra i 100 e 200 euro per qualcosa di buona qualità mentre le rassegne nazionali possono arrivare anche oltre i 2.000 euro con voci riconoscibili e musiche di proprietà. Difficile fare un listino più dettagliato perché le caratteristiche combinabili sono davvero molte. Solitamente per ogni campagna si realizzano 3-4 spot per una durata di 30 secondi (mentre quelle di 20 secondi hanno mediamente uno sconto del 20%). È molto importante, però, avere le idee chiare sulla diffusione che vogliamo dare e sul target da raggiungere.
Quanto costa la messa in onda?
Proviamo ora a ipotizzare i costi per la messa in onda dei vari spot nelle radio. Anche qui, come immaginabile, entriamo in un campo molto variegato viste le variabili in gioco (posizionamento, rotazioni, fidelizzazione del cliente, diffusione solo per dirne alcune). Seguendo le nostre richieste elaboriamo delle forchette di prezzo che siano veritiere.
Per una radio provinciale ogni singolo passaggio di spot può costare tra i 4 e i 10 euro. Salendo a livello regionale ecco che siamo tra i 25 e i 50 euro a spot mentre nelle emittenti di portata nazionale assumono maggior peso le rotazioni e il posizionamento nei programmi. La forchetta, dunque, si amplia oscillando tra i 200 e gli 800 euro a passaggio di spot. Ovviamente per un cliente che compra 50 spot l’anno il prezzo totale scende mentre per quello che acquista lo spazio singolo torna a essere più vicino a quello unitario di listino. In generale, infine, possiamo dire che le campagne vanno da un minimo di 6 ad un massimo di 15 passaggi nell’arco di una o due settimane.
Quanto costa l’intera campagna?
Ottenuti gli elementi essenziali ricaviamo una prima e intuibile considerazione: non esiste un prezzo standard per una campagna radiofonica (ed è il motivo per cui cercando sul web difficilmente ottenete delle cifre definite).
Detto questo possiamo provare a creare tre fasce di costo pescando i valori medi, minimi e massimi delle griglie che siamo riusciti ad elaborare. Partiamo dal più interessante: il costo medio secondo la scala di diffusione. A livello provinciale/locale si può costruire una piccola campagna con 220 euro, salendo a livello regionale è meglio prevedere un budget che sia di almeno 575 euro a campagna a salire e su scala nazionale approdiamo ad almeno 5.000 euro.
Volendo giocare con le cifre, infine, possiamo dire che la campagna al costo più basso può costare 124 euro mentre una ipotetica top di gamma va ampiamente oltre i 15.000 euro. Numeri che, lo ripetiamo vanno presi con le dovute pinze della generalizzazione. All’interno di queste classificazioni, per esempio, andrebbe considerata la pubblicità nazionale areale che consiste in spot con passaggi solo su scala locale (multi regionale o provinciale) gestite, però, da player nazionali. Per intenderci le offerte di un franchising solo in una singola area del Paese.
La “formula magica” per capire quale radio scegliere
Capiti i costi un altro dilemma che si apre è come scegliere la radio su cui fare la campagna. Posto che le grandi campagne nazionali sono quasi interamente gestite da Carat (aggregatori di agenzie pubblicitarie con centinaia di clienti) di livello mondiale che analizzano veri e propri centri media è forse più probabile che i piccoli professionisti si interroghino su scelte da fare nelle radio locali.
Ciò non toglie che anche la radio faccia pubblicità. Su altri mezzi.
In quest’ottica può essere utile calcolare velocemente la capacità di prenotazione di una radio sul territorio di riferimento. Un calcolo rapido può partire dalla popolazione totale del territorio stesso derivandone l’80% e ottenendo così la base media delle persone che ascoltano la radio su tutti gli abitanti. Se gli ascolti medi della radio raggiungono il 10% di questa base abbiamo una penetrazione molto soddisfacente (in Italia esistono anche punte straordinarie del 25%).
I dati del settore
Come sta veramente il settore della radio? I dati Nielsen che abbiamo elencato in questo approfondimento globale sulla raccolta vedono il comparto in crescita del 16% tra i primi sei mesi del 2020 e quelli del 2021. L’investimento globale è di 199 milioni di euro rispetto ai 170 milioni dell’anno passato. Nel 2020 il calo complessivo calcolato è stato del 25% ma il dramma reale legato alla pandemia la radio l’ha vissuto a marzo 2020 quando gli indicatori economici di alcune stazioni indicavano addirittura un -90%.
A essere aumentati sono i costi infrastrutturali e anche quelli collegati alle norme radioelettriche. È cambiato, inoltre, anche l’assetto del mercato nazionale e globale.
Al di là della pandemia va detto che la transizione tecnologica (e una perizia normativa più capillare) hanno abbassato il margine operativo lordo di un’attività radiofonico di parecchio. Mediamente si è passati da un 30% al 10% che tuttavia permette chiaramente di fare business. Dal punto di vista puramente matematico degli ascoltatori va detto che una radio che stia sotto i 100.000 utenti difficilmente può aspirare a fare un mercato con volumi importanti.
Radiografia del mercato
Premessa: per cercare di dare un quadro che sia il più aderente possibile ad un periodo medio utilizziamo lo studio di Confindustria Radio Tv del 2019 realizzato su dati definitivi del 2017. La chiave di volta da cui partiremo è che i ricavi pubblicitari rappresentano tra il 94 e il 100% dei ricavi totali delle società che gestiscono stazioni radiofoniche. Sono la base, fatta eccezione per la Rai dove, per ovvi motivi di contribuzione pubblica, questa percentuale crolla al 22%.
Per rinchiudere la quasi totalità del mercato nazionale elenchiamo le società che gestiscono le maggiori radio italiane che sono quasi tutte consorziate in grandi broadcast. Nello specifico abbiamo Rai (Radio Rai 1, Radio Rai 2, Radio Rai 3, Isoradio, Gr Parlamento), Radio Studio 105 del gruppo Mediaset (Radio 105), Virgin Radio Italy del gruppo Mediaset (Virgin), Rmc Italia del gruppo Nettuno Fiduciaria (Radio Montecarlo), Elemedia del gruppo Gedi (Radio Deejay, Radio Capital, M20), Monradio del gruppo Mediaset (R101), Sole 24 Ore (Radio 24), Radio Kiss Kiss (Radio Kiss Kiss), Rtl 102.5 Hit (Rtl), Radio Italia (Radio Italia) e Radio Dimensione Suono (Radio Dimensione Suono).
Chi incassa di più di pubblicità?
Andiamo ora a capire quale sia la spartizione della raccolta pubblicitaria partendo da Elemedia che fa la parte del leone con 55,6 milioni di euro introitati. A seguire ecco Radio Dimensione Suono con 41,2 milioni di euro e Rtl 102.5 con 40 milioni di euro tondi. La Rai (per cui vale sempre la pena fare considerazioni a parte) si ferma a 27,9 milioni di euro davanti a Radio Studio 105 con 25 milioni di euro.
L’elenco continua poi con Radio Italia (24,5 milioni), Sole 24 Ore (17,3 milioni), Monradio (13,3 milioni), Rmc Italia (10,4 milioni), Virgin (7,6 milioni) e Kiss Kiss (7,1 milioni). Sommando le voci del gruppo Mediaset si arriva a 40,9 milioni di euro facendone il terzo player dietro a Gedi e Radio Dimensione Suono che mantiene una posizione intermedia tra i due colossi dell’informazione italiana.
Gli ascolti
Qualsiasi analisi che sia completa sul mondo delle radio non può esimersi dagli ascolti. Lo teniamo come ultimo capitolo pur sapendo che, dal punto di vista artistico, sarebbe assolutamente il primo. Utilizziamo sempre i dati di Confindustria Radio Tv ma corriamo molto più sull’attuale analizzando i dati dei primi sei mesi del 2021. In questo caso per stazione radiofonica e non per società editoriale (perchè gli utenti, alla fine, scelgono quella).
A livello generale nel giorno medio gli ascoltatori della radio sono 33 milioni in Italia con una durata media di permanenza di 3 ore e 19 minuti (davvero consistente). La radio più ascoltata da gennaio a giugno 2021 è stata Rtl 102.5 (che tra l’altro ha puntato con grande forza sulla radio in tv con tanto di spot replicati paro paro) con 6,3 milioni di ascoltatori. Al secondo posto c’è Rds con 4,9 milioni e Radio Deejay con 4,6 milioni.
Appena fuori dal podio Radio Italia con 4,5 milioni di ascoltatori nel giorno medio, Radio 105 con 4,1 milioni e Radio 1 Rai con 3,6 milioni. L’elenco si completa poi con Radio Kiss Kiss (2,9 milioni), Radio 2 Rai (2,8 milioni), Radio Virgin (2,4 milioni), Radio 24 (2,2 milioni), R101 (1,8 milioni), Rmc (1,5 milioni), M20 (1,4 milioni), Radio Capital (1,3 milioni), Radio 3 Rai (1,2 milioni), Radiofreccia (1,1 milioni), Isoradio (616.000).
E’ quindi vero che la radio è un mezzo che non intende affatto togliersi di mezzo e, anzi, si scopre capace di mantenere il suo equilibrio adattandosi alle nuove esigenze di fruibilità. Ogni media, si dice, ha il suo tempo. A parte la radio che sembra appartenere ad ogni tempo.
Ci leggiamo presto!