La guerra dello streaming: ci siamo già stufati di Netflix?

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16 Dicembre 2021
Tocca mettersi comodi

Le piattaforme di servizi streaming si moltiplicano, i contenuti aumentano e i consumatori frastornati si dividono tra le moltitudini di alternative offerte, ma ora che le opzioni diventano troppe si fa strada il disappunto degli utenti.

Diciamoci la verità, è impossibile ormai pensare a un intrattenimento video che non sia “on demand”. Il concetto del “quanto e quando voglio io” è entrato nelle nostre vite, si è consolidato in tutte le fasce della popolazione grazie ai lockdown degli ultimi due anni ed è diventato totalmente parte della forma di svago a cui è legato.

In Italia, in base all’indagine Ctv: Anticipare il futuro realizzata da Harris Interactive per Magnite, il 72% degli spettatori preferisce consumare contenuti in streaming rispetto alla tv tradizionale, l’83% degli spettatori usa i servizi di streaming almeno una volta alla settimana, mentre uno spettatore su due guarda contenuti sulla Connected Tv ogni giorno. Secondo gli utenti infatti i servizi in streaming offrono contenuti di maggiore qualità.

Ma in questo panorama idilliaco per le aziende fornitrici si delineano grigie nubi all’orizzonte. Secondo un’indagine di Deloitte, azienda di consulenza britannica, nel 2022 almeno 150 milioni di utenti dei servizi di streaming video on demand (SVOD) rinunceranno al proprio abbonamento, con tassi di abbandono fino al 30%.

Image credits: Deloitte

In principio fu Netflix

Se c’è un settore che nel 2020 non ha conosciuto crisi è stato quello dello streaming tv. Milioni di persone chiuse in casa si sono presto trasformate in milioni di abbonati che, a loro volta, si sono tradotti in miliardi di ricavi per le piattaforme di streaming più popolari. 

Una corsa all’ultima serie TV che ha spinto molte aziende a entrare nel mercato e a partecipare a quella che ormai viene definita “la guerra dello streaming”.

Lo scorso anno tutte le principali piattaforme streaming attive a livello mondiale, senza eccezioni, hanno registrato una crescita esponenziale del numero di abbonati. Leader incontrastato del mercato è Netflix che a fine 2020 contava su 203,7 milioni di abbonati sparsi per il mondo (+34% rispetto al 2019).

Image credits: Techprincess

Quando Netflix ha debuttato con House of Cards nel 2013, c’erano solo una manciata di programmi originali in streaming. Da allora sono stati lanciati centinaia di nuovi prodotti, superando facilmente la quantità e soprattutto la qualità, di contenuti originali trovati sulla tv tradizionale.Il più grande rivale di Netflix oggi è Disney+, con il suo numero di abbonati raddoppiati rispetto al 2020, ma sono sempre più numerosi i fornitori di servizi in streaming presenti sul mercato, in Italia siamo arrivati a una quindicina e negli Stati Uniti hanno ormai superato i trecento, con il ritmo costante di nuovi servizi in entrata.

Esco a fare due passi

I dati di Deloitte delineano un quadro controverso, segno di un mercato saturo e altamente competitivo. Sembra infatti che nel complesso il numero di abbonamenti totali alle piattaforme di intrattenimento on demand continuerà a crescere nonostante l’alto tasso di abbandono. Aumenterà il numero medio di abbonamenti per persona e molti di coloro che disdicono potrebbero abbonarsi nuovamente a un servizio che avevano precedentemente lasciato.

Image credits: Deloitte

Quest’ultimo fenomeno è stato battezzato dalla stessa Deloitte “churns and returns”, abbandono e ritorno. La tendenza è particolarmente comune tra i giovani e giovanissimi, quasi la metà dei millennials, 47%, e il 34% della Generazione Z negli Stati Uniti hanno cancellato e poi si sono nuovamente abbonati allo stesso servizio di video in streaming entro i dodici mesi successivi.

I motivi di questa forma di sottoscrizione a singhiozzi sono principalmente due collegati fra loro: il costo elevato dell’abbonamento e la dispersione dei contenuti su un numero sempre crescente di piattaforme, che di conseguenza rende il costo totale di sottoscrizione a questo genere di servizi sempre più elevato. L’iscrizione (e la cancellazione) è semplice e gratuita, meglio quindi disiscriversi quando terminato di consumare il contenuto desiderato per poi tornare, eventualmente, più avanti.

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Troppa scelta

La moltitudine di proposte esistenti genera anche un altro problema, definito “choice overload”.

È il paradosso della scelta: quando lo scaffale del supermercato è troppo pieno il consumatore entra in confusione, e quella piacevole sensazione di avere il controllo sulle proprie scelte si dissipa man mano che aumentano le alternative. Non solo una difficoltà economica nel sottoscrivere più abbonamenti quindi, ma un vero e proprio disagio legato all’incapacità di individuare la proposta migliore.

Image credits: Game radar

Già da un paio d’anni si avverte la frustrazione del pubblico di fronte al gran numero di opzioni presenti, nessuna delle quali completa. È sempre Deloitte a tracciare l’andamento con il suo Digital Media Trend del 2019 dal nome evocativo di “Piecing it together”, mettere insieme, riferito proprio al desiderio di accorpare tutte le varie fonti di intrattenimento frammentate su più piattaforme.

La ricerca ha coinvolto circa 2000 spettatori statunitensi di cui il 47% ha affermato di soffrire la frustrazione della scelta. “Ci sono oltre 300 servizi di streaming negli Stati Uniti in questo momento e la famiglia media si abbona solo a tre o quattro di questi.”, ha dichiarato Kevin Westcott, uno degli autori del sondaggio, “Potrebbero esserci troppe scelte. I consumatori sono frustrati, non credo che vedremo il lancio continuo di più servizi di streaming negli anni a venire”.

L’imprevedibilità del fattore pandemia ha reso meno predittive le affermazioni di Westcott, ma nonostante l’entrata sul mercato di ulteriori piattaforme e il numero di abbonati crescente, la frustrazione del pubblico rimane, e a confermarlo è anche il Digital Media Trend del 2021 sempre a cura di Deloitte: Con più servizi di video in streaming, le persone trovano sempre più difficile gestire gli abbonamenti. Il 53% degli utenti è scontento di doversi abbonare a più servizi per accedere ai contenuti desiderati, il 66% lamenta il ricambio di contenuti costante che forza a interrompere la fruizione di un prodotto e molti hanno difficoltà nella ricerca stessa del contenuto, perdendosi nella vastità dell’offerta.

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Quali sono dunque le armi più efficaci per la fidelizzazione del pubblico in questa guerra dello streaming?


Contenuti. I fornitori che cercano di fidelizzare i clienti attraverso la forza dei loro prodotti stanno spendendo miliardi di dollari all’anno per sviluppare e acquisire una programmazione di alto livello con contenuti originali, programmi esclusivi e sport in diretta. Secondo Wells Fargo quest’anno le prime cinque società di streaming negli Stati Uniti investiranno 97,6 miliardi di dollari in contenuti e una previsione di Statista stima che nel 2025 le stesse cinque aziende sfioreranno i 110 miliardi di dollari di investimento, vedendo in testa Disney+ con oltre 30 miliardi investiti per la creazione di materiale competitivo.

Image credits: Statista

Più livelli di prezzo e pubblicità. Sempre secondo l’indagine di Deloitte il 40% degli intervistati preferirebbe pagare 12 dollari in più al mese per un servizio senza pubblicità rispetto al 39% che preferisce un servizio gratuito con 12 minuti di pubblicità all’ora.

Questo suggerisce che non esiste una formula di abbonamento adatta a tutti ma le aziende devono tenere conto delle variegate necessità degli utenti e pensare di introdurre pacchetti diversificati.

Mentre gli abbonamenti a pagamento hanno funzionato bene nelle economie avanzate, il pubblico nelle economie in via di sviluppo preferisce le opzioni gratuite supportate dalla pubblicità. In America Latina e Asia predominano i servizi di streaming gratuiti supportati da pubblicità (AVOD, Ad Supported Video On Demand) e lo stesso avviene nelle fasce di popolazione più giovane. Lo scopo è sempre l’upselling dell’utente al servizio a pagamento, ma scaldare e fidelizzare il pubblico rende più probabile una futura sottoscrizione completa.

Intrattenimento integrato. Un altro dato che emerge dal report di Deloitte riguarda il confronto tra le forme di intrattenimento predilette per fasce di età. Può sorprendere scoprire che per la nuova generazione la visione di video, film o serie tv non è affatto la forma di intrattenimento preferita, come invece rimane per tutte le altre fasce di età.

Circa il 26% di appartenenti alla Generazione Z ha affermato che i videogiochi sono la loro principale attività di intrattenimento e l’87% ha affermato di giocare quotidianamente o settimanalmente. Solo il 10% degli intervistati ha votato la TV come svago preferito, un chiaro suggerimento per le aziende fornitrici di servizi streaming sulla direzione da prendere.

L’integrazione di nuove proposte che comprendano il gaming è una strada che in diversi hanno già intrapreso, lo stesso Netflix non si è fatto trovare impreparato e con la recente acquisizione di Night School Studio ha svelato la volontà di entrare nel mercato dei videogiochi.

Image credits: Deloitte

La preferenza riguardo i videogiochi non può non suscitare una piccola riflessione, soprattutto osservando la motivazione addotta a sostegno questa scelta, ovvero la sensazione di minore solitudine provocata dal gioco online durante il periodo di quarantena. 

I giovanissimi, ma anche le generazioni X e Millennials, hanno cercato una forma di intrattenimento per rimanere in contatto con i coetanei e in generale con il mondo esterno, seppur paradossalmente all’interno di una realtà virtuale, rimarcando la socialità come fonte primaria di svago.

Forse questo desiderio di interazione e socialità è da tenere in considerazione nell’offerta di un servizio mirato all’intrattenimento di qualità.

Ci leggiamo presto!

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