Covid-19, affezione al remote working e bisogno d’autonomia sono tendenze che coinvolgono un numero di professionisti sempre maggiore. L’Associazione Italiana Copywriter ha lanciato una survey per monitorare un comparto in cui il lavoro ibrido e autonomo è sempre più diffuso. Ve ne parliamo in questo articolo!
DI SANTI, NAVIGATORI E PARTITE IVA
Italiani, popolo d’aziendalisti, sempre pronti a sedimentarsi su una poltrona e a schiodarsene solo una volta raggiunti gli anni di contributi previsti per il pensionamento. Ma siamo così sicuri che questa “patria del posto fisso” corrisponda alla fotografia reale di un paese che, nel 2022, i dati ci restituiscono molto differente?
Si è già parlato in più sedi del Big Quit, il fenomeno di dimissioni di massa che avrebbe portato quattro milioni e mezzo di americani a lasciare il posto di lavoro. E in Italia? Il vento che soffia da oltreoceano sembra lambire anche il Bel Paese: AIDSP (L’Associazione Italiana Direzione del Personale) ha rilevato come sia in corso un’epidemia di dimissioni volontarie, soprattutto prendendo in analisi il target di Millennial e Gen-Z. Tra le aziende prese a campione, addirittura 6 su 10 lamentavano abbandoni del posto di lavoro da parte soprattutto di professionisti junior. I settori più coinvolti, ça va sans dire, sono quelli che meglio si plasmano a una realtà operativa ibrida, autonoma, irregolare e lontana dai paradigmi aziendalistici: digitale e marketing, che da soli registrano il 52% dei giovanissimi dimissionari.
Il “biennio pandemico” ha cambiato tutto, spingendo al “rifiuto del cartellino” operatori ad alto tenore di valore aggiunto, che hanno rinunciato a ferie, TFR e benefit per costruire un percorso in autonomia, sperando di coronare un sogno: diventare il CEO di sé stessi.

La traccia nei dati, anche sullo scacchiere nazionale, è un solco netto. Il 2021 è stato l’anno del lavoro autonomo per centinaia di migliaia d’italiani: l’osservatorio del MEF ha svelato come nel corso del 2021 siano state aperte circa 549.500 nuove partite Iva, con un incremento del monstre sul 2020 (+18,2%). Dati, per amore del vero, di sicuro influenzati dal rimbalzo sull’anno precedente, tra i più duri della storia economica del paese, ma che tradiscono un quadro chiaro: c’è sete di imprenditorialità e di autodeterminazione professionale. Una sete che, nel nostro settore, sembra asciugare la bocca a una categoria di professionisti in particolare: i copywriter.
ESTERNALIZZARE CENTRI DI COSTO
Premessa generale: questo boom di lavoratori autonomi ha le sue ragioni tanto nell’offerta quanto nella domanda.
Le agenzie di comunicazione si stanno rendendo conto che la crescente idiosincrasia dei creativi per il posto fisso apre un’opportunità dorata: esternalizzare progettualità che vengono prese in carico da figure autonome, ma che collaborano come membri a pieno titolo dello staff. Il biennio ’20-’21 ha oltretutto minato il modello di business di tante agenzie che, pur di non licenziare, si sono trovate costrette a convertire forme contrattuali più stabili in collaborazioni con freelance. È forte il sospetto che in tanti siano stati costretti a rinunciare alla stabilità di un regolare contratto a tempo indeterminato, loro malgrado, in favore dell’apertura di una partita IVA imposta da ridimensionamenti e tagli al budget.

LA SURVEY DI A.I. COPY E IL BISOGNO DI FARE CHIAREZZA
L’Associazione Italiana Copywriter – a cui di qui in avanti ci riferiremo come A.I.Copy, naming abbreviato dell’ente – ha chiaramente il polso della situazione, annoverando tra i suoi iscritti un gran numero di professionisti qualificati.
Se sta cambiando il paradigma a cui siamo abituati, c’è del resto necessità di trovare delle metriche che fotografino il fenomeno nella sua entità. Per questo, sul sito ufficiale di A.I.Copy è apparsa la prima survey dedicata al comparto: un sondaggio, aperto a tutti, che si prefigge di rispondere con precisione a varie domande: quanto guadagna un copywriter freelance? Viene da un passato da dipendente o è sempre stato autonomo? Lavora direttamente con realtà produttive e aziende o in sinergia con agenzie creative? Su quali formati lavora più usualmente?
L’obiettivo dell’indagine è restituire una fotografia quanto più possibile accurata dello stato attuale di chi lavora come freelance. Nel questionario non viene toccato solo il lato economico, ma anche la percezione dell’importanza della figura del copy non solo da parte dei clienti, ma anche dei colleghi. Si chiede, inoltre, quali siano le altre figure professionali con cui chi lavora come freelance si interfaccia più frequentemente, su quali logiche vengano presentati i preventivi, come siano utilizzati i freelance durante le gare e, in generale, si prova ad analizzare lo stile di vita.

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Eh già, perché quella del copy è oggi una professione il cui campo operativo si è esteso sempre più: se ai tempi di Sterling & Cooper il copywriter inondava taccuini d’inchiostro e intuizione nella luce sospesa di Madison Avenue, il copy odierno è un lontano pronipote di quel tipo di professionista. Oggi, più che ieri, la trasversalità delle competenze richieste a un copywriter spazia tra la SEO editoriale, il content e web writing, la user experience, per canali che variano dalla carta di una campagna out of home al copy di un post sui social.
Non si discosta da questa visione Marco Faccio, presidente dell’A.I.Copy, che osserva: “Oggi la figura del copywriter è importante in molti ambiti e su tantissimi mezzi, non esistono più solo ATL e BTL, e la confusione sull’importanza del ruolo e sulle remunerazioni tra gli stessi addetti ai lavori è talvolta disarmante. Con questo sondaggio non vogliamo limitarci a fare un’analisi dei costi, ma soprattutto aprire una riflessione sul ruolo e sul valore dei colleghi freelance”.
Insomma, se anche voi riempite il vuoto di parole per professione, il contributo a quest’operazione di monitoraggio potrebbe essere preziosissima. Nessuno tra i copywriter freelance della redazione si è tirato indietro: avanti tutta anche voi, quindi!