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Meno editori e più piattaforme: così i CPM calano del 30%

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29 Agosto 2023
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Le nuove disposizioni sulla privacy stanno mettendo in difficoltà gli editori indipendenti. I risultati dai primi report 2023: la spesa pubblicitaria non cala ma si orienta maggiormente verso i giganti tecnologici. Così i CPM (Costi per mille visualizzazioni) calano vistosamente

Il mondo della pubblicità guarda con ottimismo a dati globali sulla spesa complessiva nel settore in costante crescita ma altri indicatori qualche campanello d’allarme lo stanno facendo tintinnare. Lo sottolinea anche il blog del portale specializzato Clickio (intermediario tra editoria e partner) e che riporta uno scenario 2023 dove diversi editori stanno lamentando una progressiva svalutazione dei CPM (Costi per mille visualizzazioni di un annuncio). Chiaro che il quadro economico planetario non aiuta ma ci sono anche dinamiche strettamente di settore che stanno probabilmente incidendo più del previsto.

Il dato che preoccupa: -33% di CPM

Diciamo anzitutto che le previsioni di crescita del settore pubblicitario non sono tutte compatte. Si va dal +5% di Magna al più cauto +3,8% di Dentsu. Comunque piuttosto lontani dal monstre +19,6% del 2021 (occhio, però, all’incidenza della pandemia). Contemporaneamente, tuttavia, il rapporto “State of Digital Marketing” di Adroll rivela un -33% dei tassi CPM nel primo trimestre 2023 rispetto al 2022 nonostante un aumento complessivo del traffico sul web del +13%. Quindi aumenta l’audience ma cala il prezzo: quasi una dinamica innaturale. Non solo, la stessa Clickio ci mette il carico spiegando che i suoi indicatori confermano una contrazione tra il -20 e il -35% dei CPM anche in estate.

Le difficoltà degli editori indipendenti  

Che cosa sta innescando, però, una dinamica che vista così pare illogica? Probabilmente le difficoltà che gli editori stanno avendo nel gestire le regole della privacy con le loro evoluzioni sul sistema dei cookies sono le prime indiziate. Soprattutto quelli più piccoli ed indipendenti. Il risultato è stato, quello sì, una parabola naturale con uno spostamento degli inserzionisti verso i giganti tecnologici e le loro piattaforme. Più sicuri e più pronti. L’universo Alphabet, in questo, è esemplificativo: mentre calano del -5% i ricavi dalla rete di editori ecco che salgono rispettivamente del +4,7% e del +4,4% quelli dalle ricerche Google e YouTube. Leggere il dato è fin troppo semplice: meglio un posizionamento in un video o tra le righe della SERP che in un sito di notizie senza particolari meccanismi di profilazione. Quasi un ritorno al passato dello sparare nel mucchio se non si può prendere troppo la mira. In quest’ottica stupisce meno l’impressionante +155% di TikTok che arriva ad un volume di affari 9,9 miliardi di dollari con una previsione di ulteriore crescita del +23%. Una bolla? Di sicuro una crescita molto spinta da fattori che potrebbero anche, in parte, rientrare. Per ora, però, la pubblicità fa esattamente quello che predilige ogni mercato: scegliere la strada meno incerta.

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