La generazione più inseguita da tutte le strategie di marketing non ne vuole sapere del marketing, perlomeno di quello tradizionale e per i brand il corteggiamento è durissimo.
Uno slogan è un piccolo gruppo di parole che comunica la personalità, la vocazione, l’identità dei brand in modo semplice, diretto e coerente.
Quando Nike ha detto “Just Do It”, l’abbiamo fatto davvero, correndo più lontano e sognando in grande mentre vestivamo il marchio da capo a piedi. Quando Apple ha coniato “Think Different”, abbiamo subito capito che stavano parlando con noi i creativi e questo ci ha fatto sentire speciali. Provate a non continuare la frase dopo “Have a Break…”, “Dove c’è Barilla…”, “Che mondo sarebbe senza…”.

Il vantaggio di uno slogan è proprio questo: è un messaggio memorabile, che rimane impresse nella mente delle persone e diventa quasi parte del linguaggio comune. Lo stesso messaggio memorabile può essere utilizzato per molti scopi in molti media diversi. Uno slogan breve e accattivante può essere inserito in pubblicità out of home, campagne social, poster sul posto di lavoro, biglietti da visita e persino su divise e cancelleria aziendale, fornendo un promemoria uniforme e costante di ciò che rende speciale l’azienda.
La perfezione incrinata
Quella dello slogan è una piccola forma d’arte, probabilmente iniziata a Madison Avenue, forse intorno agli anni ’50. Sicuramente in America.

Lo slogan così come lo conosciamo, piccolo e brillante, tondo e levigato, pungente e immediato, sembra appartenere a un altro tempo, un tempo di scelta infinita ed eterno ottimismo. Il mondo di oggi richiede qualcosa di nuovo.
L’ultima generazione (non chiamateli consumatori, anche questa lingua appartiene al passato) non si abbandona al fascino semplicistico dello slogan.
Dobbiamo ripensare a come comunicare con un pubblico di creatori, pensatori e attivisti del nuovo millennio che sono molto più interessati a facilitare il cambiamento che a passare all’ultima TV a schermo piatto.
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Non chiamateli consumatori
Secondo l’ultimo Report di Havas Group i ventenni di oggi stanno rifiutando gli approcci tradizionali al marketing, ma anche alle carriere e alla politica: basta guardare il fenomeno delle grandi dimissioni che nel 2021 ha coinvolto la fascia di età tra i 25 e i 45 anni.
Il 72% dei giovani non crede che una laurea sia essenziale per avere successo nella vita e due terzi sarebbero disposti a guadagnare uno stipendio più basso in cambio di maggiore flessibilità. Le differenze con la generazione precedente dei Millennials, come abbiamo analizzato di recente, sono sfumate ma evidenti.

Per quanto riguarda la politica, il 73% di questa fascia di età rifiuta l’appartenenza a un partito politico a favore del coinvolgimento in cause a cui tiene. Mentre i marchi pensano a come promuovere le relazioni con la Generazione Z, devono anche iniziare ad adottare approcci di coinvolgimento non tradizionali.
Il report di Information Resources esprime già tutto nel nome: Understand me, don’t define me. “Gli zoomer vogliono acquistare da marchi che ne comprendono i valori e le preferenze. Puoi entrare in contatto con loro abbracciando i canali su cui vivono ed evidenziando le loro passioni individuali attraverso la personalizzazione.”
Secondo un’altra ricerca di McKinsey, i membri della Gen Z usano i prodotti per aiutarli a esprimere la loro identità unica e amano distinguersi. Quel che viene richiesto ai brand è spiegare perché il loro prodotto può aiutarli a lasciare il segno.
Un ricercatore di Pinterest, Alvin Li, ha scritto in un post sul blog: “La Gen Z è la generazione più individualista ed espressiva che abbiamo mai visto. Sono costantemente alla ricerca di nuove esperienze per coltivare la propria individualità. E per questi motivi, sono più motivati ad acquistare e consumare nuovi prodotti, a scoprire ed esprimere chi sono e come vogliono presentarsi nella società”.
Influencer sinceri
Una cosa che sappiamo per certo della Generazione Z è che detestano che gli venga venduto qualcosa nel modo più classico.
Il fenomeno stesso degli influencer, che ha spopolato per circa un decennio, sta rapidamente colando a picco. Sì, gli influencer online hanno accumulato un seguito enorme, tanto che il confine tra editoriale e pubblicità è sfumato all’insaputa della maggior parte dei consumatori. Ma i ventenni attuali sono stufi di vedere feed social tutti uguali pieni di prodotti brandizzati.
Ne è un simbolo l’emergente figura del Genuinfluencer, creatori di contenuti che si rivolgono a una community ma non si identificano con la definizione comune di influencer.
I genuinfluencer sono più interessati a condividere consigli, discutere le loro passioni e diffondere informazioni imparziali piuttosto che promuovere un nuovo prodotto o collezione. Tendono a farsi notare per i loro contenuti di alta qualità piuttosto che per il numero di follower.

Questo ha portato a un cambiamento nel modo in cui i marchi valutano i loro partner e intendono, in generale, il loro approccio comunicativo: la pertinenza con lo stile di vita proposto dal brand e l’autenticità ora stanno diventando i tratti più redditizi.
Come mai? Perché la Generazione Z ha cose più importanti da fare, come riparare il pianeta distrutto che abbiamo lasciato loro, ribellarsi alle guerre ingiuste che infuriano e riprendersi da una pandemia che ha messo a rischio la loro salute mentale.
La responsabilità dei brand
Questi giovani impegnati non vogliono sentirsi ammaliati da uno slogan, ma chiedono ai brand di essere più sostenibili, di creare prodotti che durino più a lungo e di ricordare a tutti noi di acquistare di meno.
Chi si distingue da sempre per forza e coerenza in tema di sostenibilità è Patagonia che, non a caso, non ha uno slogan ma una missione aziendale molto chiara. Patagonia ha fatto dell’impegno climatico una bandiera. Le label “Vote the Assholes Out”, indirizzate ai politici di qualsiasi partito che negano o ignorano la crisi climatica e la scienza, hanno avuto una grandissima risonanza sui social network e sono state amate per il coraggio e la schiettezza comunicativa.

C’è una diffusa aspettativa che chiede ad aziende e marchi di vendere qualità e rinnovamento, non solo con prodotti migliori e più sostenibili, ma guidando i movimenti di cambiamento.
Ci si aspetta che le grandi aziende contribuiscano positivamente al mondo di domani.
È certamente una croce pesante da sopportare, ma deve essere considerata nel panorama del marketing in evoluzione.
La Gen Z è un pubblico importante da capire e sono diversi i marchi che stanno cominciando ad ascoltarli. I giovanissimi stanno spingendo affinché tutti noi siamo più responsabili, trasparenti e umani.
Lo slogan di domani deve fare di più che vendere, deve offrire qualcosa di più sostanzioso, più sostenibile, più vero. Come disse una volta un poeta aziendale: “Un diamante è per sempre”. Chissà se è vero anche per lo slogan.
Ci leggiamo presto!