L’Instagram Engagement Report di Hubspot e Mention analizza lo stato di salute della piattaforma e offre tanti preziosi suggerimenti ai brand che vogliono rendere la propria social media strategy davvero efficace, tra contenuti più performanti, lunghezza della caption e categorie di hashtag.
Il 65% degli account Instagram ha più di 1000 follower, e di questi il 34,7% ne conta tra i 1.000 e 10.000. I post di video e caroselli sono molto più coinvolgenti di quelli con immagini singole. Le didascalie oltre i 2.000 caratteri funzionano esattamente quanto quelle brevi.
Questi sono solo alcuni degli highlights dell’edizione 2022 delI’Instagram Engagement Report, risultato della consolidata partnership tra Hubspot e la piattaforma di social listening e monitoraggio dei media Mention. Un vero e proprio health check sul social del contenuto visivo per eccellenza, che si conferma un prezioso strumento di monitoraggio di tendenze ed evoluzioni per tutti quei brand intenzionati a capire come raggiungere e coinvolgere al meglio il proprio pubblico di riferimento.
Dopo aver analizzato 110 milioni di post pubblici di 1 milione di utenti in tutto il mondo (anche se la maggior parte dei contenuti proviene dai Paesi anglofoni: 85 milioni di post dal Nord America e 1,6 milioni dal Regno Unito e dall’Irlanda), il report conclude che il 2021 è stato un anno di enorme crescita per Instagram. Nonostante il ritorno di quella che potremmo definire una vita “quasi normale”, infatti, le persone continuano ad abitare massivamente l’online, anche se non è più l’unico luogo dove l’interazione sociale è possibile.
Ecco le informazioni che chi si occupa di adv e branding deve necessariamente avere.
IG in numeri: utenti attivi, profili più seguiti, brand più popolari
Con 1,3 miliardi di utenti attivi, Instagram è il quarto social network più utilizzato al mondo. Prima di lui, in ordine, Facebook (2,8 miliardi), YouTube (2,2 miliardi) e WhatsApp (2 miliardi).
Gli account più seguiti, dopo il profilo ufficiale della piattaforma, sono quelli di Cristiano Ronaldo, Lionel Messi, Kylie Jenner e Dwayne Johnson. Per vedere una bandiera italiana dobbiamo attendere la 49° posizione, dove troviamo Khaby Lame, la star italo-senegalese di TikTok che evidentemente non se la cava male neanche con Instagram. Per altro, oltre la metà dei 50 account più seguiti hanno più di 100 milioni di follower e tutti ne hanno almeno 60 milioni: un salto enorme rispetto all’anno scorso, quando si entrava nella top 50 anche con appena 14 milioni di follower.
Ma parliamo di brand: il primo in classifica — Instagram escluso, ovviamente — è quello di National Geographic che, con 207 milioni di follower, occupa la 12° posizione. Seguono Nike (al 15° posto con 186 milioni di follower), il Real Madrid (al 26° con 107,3 milioni), il Barça (al 28° con 103,5 milioni), la UEFA Champions League (con 85 milioni di follower, al 32° posto), la NASA (al 35° posto con 71,8 milioni di follower) e l’NBA (con 61,8 milioni di follower, al 59° posto).
Vale la pena precisare che, al momento della stesura di questo articolo, i follower di questi profili risultano ancora maggiori: probabilmente, quindi, anche le posizioni in classifica potrebbero essere leggermente diverse rispetto a quelle stabilite durante l’elaborazione del report. Non cambia, tuttavia, la considerazione conclusiva: la top 50 è composta per lo più da celebrità: tra attori e attrici, atleti e atlete, influencer e performer, la spuntano solo 8 brand (e solo uno di essi è un brand di prodotto). Insomma, non è facile competere con Vin Diesel o Zendaya. Eppure, il primo di quegli 8 brand dimostra che le persone nell’ultimo anno hanno cercato soprattutto contenuti inerenti viaggi e natura: un modo per “vedere il mondo” oltre le mura di casa, insomma.

Quanto detto finora vale per l’indagine su scala mondiale, ma il report, come accennato all’inizio, usa una lente di ingrandimento sui Paesi anglofoni. Ebbene: nella Top 50 degli Stati Uniti troviamo 10 brand, di cui ben 4 di prodotto (oltre a Instagram troviamo infatti National Geographic, NASA, NBA, Marvel Entertainment, 9gag, Huda Beauty, Chanel, Louis Vuitton e Gucci; Regno Unito e Irlanda, invece, hanno una Top 50 con 12 brand e nessuno di questi è in comune con la classifica globale o con quella a stelle e strisce (Adidas Football, BBC news, FTBL, The Economist, Voyaged, END., Girls Building Empires, Sports Direct Football, Marks & Spencer, Harper’s Bazaar UK, BBC Radio 1 e Aston Villa FC).
Le dimensioni che contano
Il report 2022 conferma quanto si sostiene da tempo: per ottenere risultati con l’influencer marketing non conta tanto quanto sia alto il numero dei follower, ma piuttosto quanto sia forte il legame che un influencer ha con la propria community. Secondo Hubspot e Mention, quindi, i brand dovrebbero puntare su micro-influencer (da 10k a 50k follower) e nano-influencer (sotto i 10k) perché questi utenti risultano più autentici agli occhi delle loro piccole comunità e per questo hanno il potere di influenzarle davvero. Insomma, sembra finita l’era dell’influencer marketing che punta sulla visibilità e sulla brand awareness: è il momento di puntare su prestazioni e conversioni.
Le categorie più amate
Parlando delle categorie di prodotto più apprezzate e seguite su Instagram, il report suggerisce di considerare la mediana del numero di follower: la media, infatti, è poco rappresentativa perché viene influenzata troppo dai valori “anomali”. Per capire meglio il discorso, vi basterà sapere che la categoria che a livello globale vanta la media più elevata di follower è Home & Auto, la quale però include brand come Bugatti (15,2 milioni di follower) e Rolls Royce (7,2 milioni di follower) che, semplicemente, falsano il dato.
Il grafico delle mediane, invece, ridimensiona un po’ la questione: le categorie più seguite a livello globale sono Geography (ricordate, prima, National Geographic e NASA?), Home & Auto e Government Agencies. Anche in questo caso i Paesi anglofoni la pensano diversamente: l’apprezzamento maggiore è registrato da Publishers e Content & Apps.

I contenuti più performanti
Eccoci all’altra preziosissima informazione che davvero interessa a chi fa adv su Instagram: quali sono i contenuti che il pubblico apprezza di più e con i quali interagisce più volentieri.
A livello globale, il video si conferma la tipologia di contenuto più coinvolgente, registrando una media di 24,25 commenti e 1097,9 “mi piace” per post. Seguono i carousel post, con 23,2 commenti medi e 933,7 like.
Se calcoliamo, invece, la mediana, il risultato si ribalta: i caroselli hanno una mediana di 70 commenti rispetto ai 46 registrati dai video, registrando una performance quasi doppia rispetto ai secondi.
Ma il report non vuole dire che i video non siano performanti. Anzi. Semplicemente, considera che Instagram prevede strumenti specifici per i video — vale a dire IGTV, Stories e Reels — e, dato che gli utenti apprezzano molto questi tipi di contenuto, sarebbe opportuno includere nella propria social media strategy questi strumenti, piuttosto che limitarsi a pubblicare video sul feed.
Ciò che non funziona affatto, invece, sono i post con immagine singola.
E vale la pena ricordare che ora i carousel possono contenere anche video. Ma a prescindere da cosa contengano, è possibile che siano un mezzo intrinsecamente coinvolgente, dato che lo swipe è molto più interattivo del guardare passivamente qualsiasi video o immagine.
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Parole, parole… parole?
Instagram è indubbiamente il regno del visual, ma le persone cercano anche narrazioni e connessioni. Per questo motivo, la caption è fondamentale: Hubspot e Mention stimano un incremento dell’engagement da poco meno del 4% per i post non parlanti a oltre il 6% per i post con copy annesso.
Parlando di lunghezza, pare che le didascalie brevissime (meno di 20 caratteri) funzionino ancora bene, ma pare che funzionano ugualmente bene quelle con più di 2000 battute. Insomma, per una volta, in medio non stat virtus.

Secondo il report anche le emoji contribuiscono ad aumentare l’engagement di un contenuto, ma a quanto pare nel Nord America è meglio non esagerare: secondo i dati, infatti, includerne 11 o più può avere un netto impatto negativo sul coinvolgimento, mentre includerne tra 6 e 10 non dà e non toglie nulla. Per fare la differenza, insomma, sembra che sia opportuno inserirne al massimo 5.
Per quanto riguarda gli hashtag, invece, a quanto pare è meglio abbondare: il report precisa che sono utili per aumentare le prestazioni e raggiungere gli obiettivi di engagement previsti, ma è importante farne un uso strategico. Quelli super-generalisti con centinaia di migliaia di occorrenze sono ancora molto utilizzati ma, con milioni di post al giorno al giorno sotto questi tag, il rischio di disperdere i propri contenuti nel rumore generale è molto elevato. Gli hashtag che registrano il maggior tasso di coinvolgimento invece sono quelli di nicchia, che mirano a interessi e community specifiche. Interessante lo special tip: secondo Hubspot e Mention esistono 5 categorie principali di hashtag — di località (#London, #Turin…), di marca (#AbsolutVodka, #GotMilk, #NikeByYou…), di settore (#MakeupLovers, #cars), di community (#arianators, #lakersnation) e descrittive (#eyeshadow, #homedecor…) — e una strategia che intenda raggiungere molteplici gruppi di persone dovrebbe includerle tutte e cinque.
Anche menzionare altri account è utile, banalmente perché il tag di un altro utente nel copy o nel visual amplia il numero di persone che vedranno il contenuto. Anzi: più account si taggano, migliore sarà il risultato in termini di engagement rate. Attenzione alla differenza strategica tra mention e tag: la mention avviene nel copy o nei commenti, e lascia il contenuto esclusivamente sul profilo che l’ha prodotto; il tag invece riguarda il contenuto completo, che viene duplicato sul profilo del destinatario del tag in una specifica tab. Nel secondo caso, quindi, il contenuto potrà potenzialmente raggiungere una audience aggiuntiva, fino a quando l’utente taggato non rimuoverà il tag.

Di tempistiche, qualità e quantità
Per quanto possa sembrare ovvio, meglio ribadirlo: i dati confermano che, al netto del fuso orario, i contenuti pubblicati tra le 6 e le 9 di sera registrano tassi di coinvolgimento più alti. In generale, Hubspot e Mention hanno registrato un calo drammatico delle interazioni tra le 5 e le 8 del mattino, seguito da un aumento costante dalle 10 alle 4 di pomeriggio. Insomma: le persone apprezzano Instagram di sera, quando si rilassano dopo il lavoro o addirittura si preparano per andare a letto. Considerando che la maggior parte degli individui durante il giorno lavora, questi risultati sembrano piuttosto intuitivi.
Per lo stesso motivo, non c’è un giorno della settimana che sia ufficialmente sfavorevole per postare su Instagram, ma i fine settimana risultano leggermente migliori.
La domenica è la chiara eccezione, con un tasso medio di coinvolgimento del 6,47%. Sabato e lunedì sono simili, rispettivamente con un 6,05% e un 5,95%. Dal martedì al venerdì, invece, il tasso medio si aggira intorno al 5,6%.
Nonostante queste considerazioni sul quando, però, il report si preoccupa di precisare che la qualità deve essere sempre prioritaria rispetto alla quantità. Quindi, se i propri follower sono più attivi in altri giorni o orari, o se il contenuto da inserire ha più senso in un particolare momento della giornata, è opportuno fare finta di non aver letto nulla del paragrafo precedente.
E che in ogni caso nessun report varrà mai quanto tanti test specifici sulla propria community di riferimento.