L’edizione di quest’anno racconta i trend di comportamento delle persone online e sui social, con lo scopo di far comprendere ai brand come adattare la propria comunicazione in un contesto che appare sempre più frammentato.
Anche quest’anno We Are Social racconta i trend che influenzeranno la comunicazione dei brand con l’edizione 2023 di Think Forward. Si tratta di una ricerca sui trend di comportamento delle persone, fondamentali da comprendere perché sono proprio questi ad influenzare ed orientare la comunicazione dei brand online e offline.
Un contesto frammentato
Dal titolo “Fragmented Futures“, la ricerca esplora il cambiamento nel modo in cui le persone si connettono e utilizzano i canali social e le piattaforme online, in un contesto che appare sempre più frammentato.
Think Forward 2022 analizzava il modo in cui emergevamo dalla pandemia per affacciarci ad un panorama digitale trasformato. Durante quel periodo i social si stavano guadagnando il ruolo di nuovo strumento educativo. Questi cambiamenti hanno frammentato ancora di più il mondo social in tante realtà diverse.
Se oggi pensiamo al futuro, più che immaginarlo attraverso un telescopio, dobbiamo immaginarlo attraverso un caleidoscopio. I brand si trovano di fronte a una sfida complessa, ovvero quella di riuscire a catturare l’attenzione di persone che si muovono attraverso diversi interessi e realtà.
Un aiuto per i brand
Lo scopo del report Think Forward di quest’anno, quindi, è quello di avvicinarci a questi universi frammentati ed a comprenderne le dinamiche per aiutare i brand a capire come reagire, adattarsi ed inserirsi in questi nuovi scenari in costante trasformazione.
Il team Cultural Insight del network We Are Social ha analizzato e approfondito le tendenze più rilevanti per l’anno a venire per dare ai brand alcuni spunti su come inserirsi in questi scenari e come catturare l’attenzione degli utenti, fornendo esempi concreti di alcuni brand che sono riusciti in questo intento.
I trend emersi dalla ricerca sono cinque:
1. Textured Discovery

È in atto una vera e propria rivoluzione nel modo in cui le persone esplorano la rete. I metodi tradizionali di ricerca online, come Google Search, sono ora integrati e in alcuni casi sostituiti da approcci visivi, collaborativi e casuali propri dei social media. Gli utenti sono alla ricerca di qualcosa di inaspettato e imprevedibile, scrutando oltre i propri feed. Invece di una ricerca partendo da keyword specifiche, le persone scoprono nuovi contenuti sulla base di sensazioni, estetiche e mood.
Un esempio è il Subreddit r/BooksThatFeelLikeThis dove si possono trovare consigli di lettura basati sulla “sensazione” di una determinata fotografia.
In questo contesto, i brand possono permettere alle persone di oltrepassare il limite degli algoritmi che determinano i loro feed, trasformando la scoperta in un processo collaborativo. Spotify, ad esempio, ha lanciato lo strumento “Friends Mix” che consente a più utenti (amici, partner e familiari) di scoprire dove i loro gusti musicali si incontrano e suggerisce artisti e generi in base alle loro preferenze, consentendo agli orizzonti musicali delle persone di espandersi.

2. Collapsing Narratives

Cambia anche il modo in cui vengono raccontate le storie online. Se un tempo lo storytelling era caratterizzato dal racconto di un inizio, uno sviluppo ed una conclusione, oggi le storie stanno mutando e abbandonando la linearità. Non seguono più un arco narrativo regolare, tantomeno hanno un inizio ed una fine nello stesso “luogo”.
Ad esempio, la collezione Dolce & Gabbana x Jujutsu Kaisen ha unito due diverse forme d’arte, moda e anime. Strizzando l’occhio al fandom giapponese, D&G ha creato un universo narrativo transmediale su diversi canali, sia online che offline.
Anche immagini e suoni possono muoversi tra diverse piattaforme. Basti pensare a quanto sia diventato comune cercare su Spotify i suoni virali utilizzati su TikTok. Brevi parti di canzoni che fanno da colonna sonora ai contenuti TikTok acquistano nuovi significati quando vengono ascoltate per intero su Spotify.
3. Margin-chasers

Mostrare la versione reale di sé stessi sui social sta diventando più difficile a causa di un cinismo e di una diffidenza crescenti. Le persone credono, quindi, che per essere percepite come “vere” sia necessario comportarsi in modo insolito. Essere estremi significa essere credibili, diretti ed efficaci
Così, trend come il “Cashstuffing” che consiste nel rompere bottiglie di vetro contenenti i propri risparmi mostrano come pratiche banali come il risparmiare assumono significato solo se vengono drammatizzate ed eseguite in modi estremi.
Anche i brand quindi, per risultare autentici, possono reinterpretare i loro valori in chiave “drammatica”. Un esempio è la collaborazione tra Gucci e Balenciaga. Con The Hacker Project, i brand hanno fintamente vandalizzato le proprie vetrine. Uno statement estremo, estensione della fascinazione di lunga data di Gucci per l’autenticità, l’appropriazione e la cultura della contraffazione.

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4. New Cooperatives

La parte “social” dei “social media” sta cambiando. Il connettersi con i propri contatti e il consumare contenuti erano strettamente interconnessi, mentre ora si stanno allontanando tra loro sempre di più. Sono nate, però, forme di connessione più aperte e meno focalizzate sul singolo individuo, lasciando spazio alla costruzione di community sulla base di interessi e valori condivisi.
Lego, con “Lego Ideas”, ha invitato i propri consumatori a inviare nuove proposte che includono un modello Lego e un articolo che descrive un potenziale nuovo set. Ogni progetto deve essere supportato da 10.000 utenti diversi per essere idoneo alla revisione. Superata quest’ultima fase, i vincitori hanno la possibilità di portare a casa l’1% delle vendite del prodotto che hanno progettato. In questo modo i fan del brand hanno la possibilità di vedere il proprio nome su un prodotto e, allo stesso tempo, Lego beneficia di migliaia di nuove idee, assicurandosi di continuare a nutrire la sua community.
5. Expanding Identities

Realtà virtuale e realtà aumentata si stanno facendo sempre più largo all’interno del mondo social, aprendo nuove strade all’espressione dell’identità. Nel mondo virtuale possiamo infatti raccontare e rappresentare noi stessi con estrema precisione, anche in maniera sarcastica e con caratteristiche inedite. È anche per questo motivo che il business di “digital goods” utilizzati per personalizzare i propri avatar virtuali vale ben 54 miliardi di dollari.
Anche i brand reputano questo aspetto importante. Pringles, ad esempio, ha lanciato un’attivazione in cui le persone possono avere la possibilità di essere pagate per lavorare in un videogioco come non-playable characters, chiedendo agli utenti di creare video di sé stessi spiegando perché sarebbero stati i migliori in questo lavoro, con la possibilità di sviluppare la narrativa del proprio personaggio virtuale per aggiudicarsi il posto.
È inoltre esemplificativo il caso di Bakeup, un marchio di bellezza “metaverse-first”, che progetta prodotti che funzionano su più mondi: i suoi veli di strass possono essere indossati nella vita reale, e sono forniti con un filtro AR abbinato per i social, oltre a una versione NFT che può essere indossata, raccolta, scambiata e venduta nel metaverso. Il brand, quindi, consolida la sensazione che i nostri sé digitali siano non solo reali e validi, ma anche intimamente intrecciati con ciò che siamo offline.

Si riveleranno centrate queste previsioni? Non ci resta che tuffarci nel 2023 per scoprirlo!
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