Non solo il duello Hamilton-Verstappen. Il campionato di Formula Uno ha un motivo in più di essere seguito con interesse: la sua maniera di promuoversi utilizzando partnership con altre realtà sportive. Vi spieghiamo come e perché la NBA, la FIFA e i campioni azzurri sono finiti, a loro modo, a passeggiare tra i box.
Nella rincorsa al proprio rinnovamento, il campionato di Formula Uno sembra aver tagliato un traguardo che pochi altri sport avevano preso in considerazione: quello di una nuova forma di auto-promozione, che “sfrutta” l’immagine potente di altre realtà di successo dello sport mondiale. Se in queste settimane la battaglia all’ultimo punto tra Hamilton e Verstappen sta risvegliando interessi di altri tempi, una certa attenzione mediatica (e social) è stata dedicata a episodi divertenti, come l’immagine di Shaquille O’Neal (mastodontico ex centro dei Los Angeles Lakers) che, alto quasi come Max Verstappen sul gradino più alto del podio, premia i vincitori del Grand Prix of the United States, in un ruolo che solitamente è appannaggio di presidenti di nazioni.

Inoltre, hanno colpito le foto potenti di Marcell Jacobs – fresco di Oro Olimpico sui 100m a Tokyo 2020 – in posa sulla linea di partenza del circuito di Monza, tra le monoposto in attesa del via.

Cosa ci fanno un ex campione della NBA e un oro olimpico in un circuito di Formula Uno? È uno dei risultati degli accordi che la Formula Uno ha siglato, rispettivamente, con CONI e NBA. Nel caso del basket è stato un omaggio reciproco: da una parte l’automobilismo ha “salutato” l’inizio della 75esima stagione NBA con rendering social realizzati ad hoc.

Dall’altra la NBA ha dato il “benvenuto” alla carovana dei migliori piloti al mondo, con le stelle del circus a prendere lezioni di tiri liberi dai campioni del basket, come potete vedere nel video a seguire.
.Al Gran Premio di Monza, invece, Marcell Jacobs e gli altri medagliati olimpici italiani hanno sfilato prima della partenza. Nel caso del Qatar invece, la FIFA ha invitato vecchie glorie (come Desailly, Materazzi, Touré e tanti altri) a mostrare la Coppa del Mondo e a fare qualche tiro in porta in buona compagnia di Sainz, Tsunoda e Gasly.

Il lato divertente di questo genere di collaborazioni è che tutto questo può sembrare un capovolgimento – in chiave più istituzionale – di una situazione che in realtà si è sempre vista: se durante le pause del campionato di Formula Uno è facile vedere i piloti ospitati negli stadi o nelle arene di basket, difficilmente si vedono atleti di altri sport ad un Gran Premio, specialmente se lontani dall’essere considerati delle star mondiali. E chissà, magari queste partnership sono ideate alla luce di strategie molto semplici.
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Che piaccia o no ai puristi dei motori, la Formula Uno è diventata “lo sport che si promuove con gli altri sport“. Succede per un motivo molto semplice: aumentare la propria fanbase, a livello locale, andando ad attingere alle ben più solide fanbase di qualcun altro. E per un movimento che da lungo tempo è bersagliato dai pregiudizi (“è uno sport tra figli di papà“, “durante le gare non succede mai niente“), tutto questo è vitale. Sia per tornare a un’immagine di tendenza, sia per un discorso di legittimazione di un Gran Premio come il più grande dei grandi eventi sportivi: una corsa diventa un momento da “omaggiare” dovunque si svolga, attraverso il saluto delle altre grandi eccellenze sportive locali. Si tratta di un gioco che in realtà conviene a tutti: grazie anche a iniziative di questo tipo la NBA ha aperto la nicchia dei cestisti, il Qatar ha potuto mostrare l’organizzazione dei suoi Mondiali 2022 e gli azzurri medagliati a Tokyo2020 hanno approfittato di platee che difficilmente, al di fuori un contesto olimpico, incrocerebbero nuovamente.
Naturalmente, per la Formula Uno e la FIA, questa è solo una componente di una strategia globale enorme, che punta a demolire l’attempata autoreferenzialità del ristretto circo della Formula Uno, che le ha dato un’immagine di sport per ricchi, vecchi e ingegneri. L’obbiettivo è quello di far tornare la popolarità degli anni ’80-’90: i risultati si stanno vedendo, con l’audience della stagione 2021 che si è confermato il migliore da 4 anni a questa parte. L’altra buona notizia è che, di fronte ad anni difficili caratterizzati da capienze ridotte ed eventi annullati, i grandi campionati sportivi mondiali sembrano finalmente abbandonare la lotta all’ultimo fan, in favore del vero senso dello sport: giocare di squadra.