Meta, per le sue abitudini, non sta attraversando uno dei migliori momenti di una storia che, per quanto giovane anagraficamente, ha avuto un impatto enorme sulla vita del mondo intero. I numeri di utenti in calo per la prima volta da quando Facebook è dilagato tra le mani, e le tastiere, di miliardi di persone e uno scoop del Washington Post rivelano come le preoccupazioni di Zuckerberg e dintorni nei confronti di TikTok non siano solo le paranoie di qualche analista troppo scrupoloso, ma una questione strategica all’interno dell’azienda. Di qui, contromisure estreme. Ve ne parliamo nell’articolo di oggi.
Meta potrebbe presto aggiungersi alla lunga schiera di giganti mondiali a non avere particolare simpatia per il lavoro giornalistico portato avanti dal Washington Post (quelli dei documenti dello scandalo Watergate da cui è stato tratto il film “Tutti gli uomini del presidente”). In un articolo pubblicato lo scorso 30 marzo dal quotidiano americano si legge infatti: “La società madre di Facebook Meta sta pagando una delle più grandi società di consulenza repubblicane del paese per orchestrare una campagna nazionale che cerca di rivoltare il pubblico contro TikTok“. Righe tali da mandare completamente per aria le giornate degli uffici legali e di comunicazione che fanno capo a Zuckerberg.

PER META TIKTOK È UN “PERICOLO PER I BAMBINI”
La notizia naturalmente ha avuto un’eco immediato e mondiale: il più grande e popolare, almeno fino a oggi, social network della storia dell’uomo sborsa grandi quantità di denaro per far apparire un rivale (agli occhi di suoi potenziali utenti e non solo) come uno strumento nocivo soprattutto nelle fasce d’età dei giovanissimi. Insomma, una sorta di male totale a tinte digitali da cui stare alla larga.
Il racconto del Washington Post non è basato su illazioni, gole profonde, spifferi o sussurri. Nell’articolo si citano mail interne condivise dai team di Meta e dell’agenzia al lavoro su questo dossier, con l’obiettivo di “ritrarre l’app in rapida crescita, di proprietà della società con sede a Pechino ByteDance, come un pericolo per i bambini e la società americani“
“SIAMO ORGOGLIOSI DEL LAVORO CHE ABBIAMO SVOLTO”
In Italia, tra gli altri, il Corriere della Sera ha ripreso questa notizia e in un articolo a firma di Martina Pennisi ha anche riportato la posizione ufficiale di TikTok, che in una nota inviata alla redazione ha detto: “Ci preoccupa profondamente che la sollecitazione di media locali attorno all’esistenza di presunti trend, che non trovano riscontro in piattaforma, possa causare danni concreti nel mondo reale”
Di ben altro avviso invece i commenti che sul proprio profilo Twitter ha postato Zac Moffat, amministratore delegato dell’agenzia coinvolta in questo affare di pressioni, campagne di discredito e trappole mediatiche non casuali: “La storia del Washington Post non solo caratterizza erroneamente il lavoro che svolgiamo, ma i punti chiave sono semplicemente falsi (…) Siamo orgogliosi del lavoro che abbiamo svolto per evidenziare i pericoli di TikTok“

Tra preoccupazioni e orgogli, la questione che emerge da questa singola vicenda ha naturalmente più angolazioni e più possibilità di lettura e interpretazione. Tra queste c’è sicuramente quella che vuole cercare di far notare come l’inquietudine che aleggia dalle parti di Meta per la perdita del monopolio assoluto sul mercato dei social media sia molto più concreta di quanto non si potesse sospettare dall’esterno. Investire somme importanti per cercare di mettere in cattiva luce uno dei nuovi e più aggressivi protagonisti della scena social mondiale, TikTok, è segnale di una situazione che dalle parti di Menlo Park hanno la sensazione stia sfuggendo di mano.

Non si tratta più, o non solo, di capire che cosa provare a fare per mantenere una posizione dominante che a un certo punto sembrava inscalfibile, o al massimo gestibile con acquisizioni mirate di chi aveva mostrato capacità interessanti e potenzialmente pericolose (Instagram su tutti). Si tratta di una preoccupazione strategica che si concretizza in una campagna altrettanto tangibile che deve portare a effetti risultati che non siano soltanto teorici
Fino a quando si tratta di discorsi tra analisti, considerazioni accademiche, o riflessioni saggistiche, si resta in un piano di riflessione e approfondimento teorico in un dibattito come quello sui social media che ha caratterizzato e continuerà ad essere riferimento per tutto l’eco sistema digitale. Se invece si finisce in mezzo a investimenti perlomeno ambigui, piani opachi e mail dai toni poco concilianti ,ecco che lo scenario si arricchisce improvvisamente di ombre e sospetti diffusi.
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