L’azienda scozzese produttrice di birra lancia, a poche settimane dal Mondiale in Qatar, la sua denuncia alla Fifa, all’emirato e al mondo della pubblicità.
BrewDog si schiera apertamente contro il Mondiale in Qatar e inaugura la stagione degli anti-sponsor, cavalcando un momento mediatico importantissimo e portando l’attenzione sulla propria responsabilità sociale. La campagna è stata curata dall’agenzia Saatchi & Saatchi e prevede una serie di OOH in giro per la capitale inglese. L’azienda ha dichiarato che tutto il ricavato della sua birra Lost durante il torneo calcistico verrà devoluto in favore dei diritti umani.

La responsabilità sociale di BrewDog
Dentro il gesto della birra inglese c’è la questione della responsabilità sociale dei brand. Si tratta infatti di un caso di brand activism, ovvero quella pratica che rende un brand non solo un venditore, ma una vera e propria entità in grado di guardare ai fatti, farsi un idea e giudicarli, proprio come una persona. In questo caso l’azienda critica tutto il sistema: la corrotta Fifa, che ha “venduto” il Mondiale in cambio di tangenti, il governo qatariota, non primo per diritti umani e civili e infine gli altri sponsor, quindi in generale tutto il mondo dell’advertising, accusati di spendere fiumi di parole e milioni in campagne in favore dell’inclusività e dei diritti umani salvo poi cedere in cambio di una visibilità che solo un evento del genere può garantire.
L’accusa arriva direttamente attraverso quello che si può considerare un manifesto dell’azienda. Il brand di birra – si legge nel messaggio – è orgoglioso di essere anti-sponsor, di non sostenere una competizione che si svolgerà in un paese dove l’omosessualità è illegale e dove la fustigazione è una forma di punizione socialmente accettata. Inoltre è noto a tutti che per completare in tempo la costruzione degli stadi e delle strutture necessarie sono stati calpestati i diritti e le vite dei lavoratori, addirittura conducendo alla morte 6500 persone. La condizione delle donne infine non è proprio la più avanzata, per usare un eufemismo. L’iniziativa non è passata in sordina e ha comunque fatto parlare di sè, generando posizioni favorevoli e di appoggio alla campagna da un lato e critiche dall’altro.
Andrew Cahill, vicepresidente dell’area Sport and Enterntainment dell’agenzia MKTG, ha pubblicato su LinkedIn un post facendo notare le contraddizioni, a suo dire, dell’iniziativa, in sintesi accusando l’azienda di voler cavalcare l’onda di un evento mediatico enorme come il Mondiale e di voler ripulire la sua immagine. Infatti risalgono solo all’anno scorso le critiche “sul clima di paura” che si respirerebbe dentro l’azienda accusata di voler perseguire una crescita a tutti i costi, a discapito dei lavoratori e dei loro diritti.
Quello che è certo è che, nell’arco della sua recente storia iniziata nel 2007, l’azienda ha sempre creato campagne non convenzionali accusando ad esempio il Cremlino e Vladimir Putin di essere contro i diritti LGBTQ+, reagendo alle dimissioni di Boris Johnson e schierandosi apertamente a favore dell’Ucraina. Che piacciano o no, che siano gesti convinti oppure pure operazioni marketing, l’azienda scozzese ha dimostrato comunque di saper far parlare di sè in maniera sfacciata e diretta.
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Image credits cover: cityam.com