Seascape è l’esperienza realmente immersiva proposta da Findus con BCube di Publicis Groupe. In piazza XXV Aprile tre container che hanno permesso di immergersi negli Oceani tra plastiche e rifiuti. Abbiamo approfondito genesi e obiettivi dell’installazione creativa con la direttrice creativa Paola Morabito
Siamo assediati da esperienze che promettono di essere immersive poi, sul calare di gennaio, ecco che a Milano Publicis con BCube e Findus ne propone una dal significato letterale. Una vera e propria immersione in tre container da trasporto marittimo allestiti in piazza XXV Aprile che trascinano i visitatori nelle profondità dei mari e degli oceani per poi risalire con una nuova consapevolezza. Talvolta amara perché il focus è sull’inquinamento delle plastiche che fa impressione. Lo sappiamo tutti eppure tentiamo di eliminarlo dalla testa (come una rimozione psicologica). Questa installazione, invece, prende i dati di Ogyre (piattaforma globale per il recupero dei rifiuti in mare) e li restituisce nella sua fisicità: si sbatte letteralmente contro le plastiche, le bottiglie, i rifiuti. In 12 mesi Findus con Ogyre raccoglierà 6.000 chili rifiuti equivalenti a 600.000 bottiglie di plastica. L’installazione “Seascape – Come un pesce dentro l’acqua”, dal canto suo, ha conquistato più di 1.000 visitatori in 4 giorni (dal 25 al 29 gennaio). Abbiamo raggiunto Paola Morabito, direttore creativo di BCube, per approfondire (anche noi) l’esperienza.
“Abbiamo voluto portare i dati direttamente alla gente con un’esperienza totale ed affidabile. In una città come Milano, frenetica ma sempre molto curiosa. L’idea iniziale era proprio come la vedete eseguita e questo è molto bello: non sempre accade”
Quanta ambizione educativa c’è?
“È abbastanza ovvio che l’educazione ambientale sia il focus. Per renderlo il più preciso possibile siamo stati davvero puntigliosi nella scelta e nella proposizione dei dati. Tutti, infatti, sono stati corredati dai riferimenti alle fonti. Volevamo certamente essere impattanti scenograficamente ma anche affidabili concettualmente”
Ci immergiamo?
“Volentieri, io sono anche appassionata di subacquea quindi vi accompagno volentieri”
La sensazione è che uno dei target sia, in qualche misura, deludere il visitatore. Entrare con l’entusiasmo di tuffarsi nell’Oceano e uscirne con l’amarezza della constatazione di quanto stiamo rovinando questi ambienti.
“Sì, è anche questo. Vero che queste cose le sappiamo tutti poi le mettiamo in un angolo della mente fino a quando non ce le troviamo davanti. Io vedo in immersione le plastiche e i rifiuti. Mi colpiscono. Anche a Seascape gli ospiti hanno visto con i loro occhi. Abbiamo voluto porre grande attenzione anche all’audio e ai suoni. Chi si immerge sa che proprio i rumori creano un’atmosfera unica. L’abbiamo voluta ricreare. Nel cuore di Milano”
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C’era un percorso ideale strutturato tra i container?
“Sì l’idea era quella di una progressiva immersione sempre più profonda per poi tornare verso la superficie con alcuni aspetti più incoraggianti di quello che possiamo fare. Non solo, ogni stanza era organizzata da una situazione macro ad una micro: partendo dagli Oceani fino al nostro Mediterraneo. Perché le isole di rifiuti ci sono anche nei nostri mari. Non sono mica qualcosa di esotico o lontano. Ci riguarda eccome”
La sua stanza preferita?
“La seconda. La profondità delle acque e della sporcizia che siamo riusciti a creare è quasi claustrofobica. Gli stessi container possono essere elementi inquinanti. Pensiamo a quando accadono incidenti dove vengono persi in mare. È successo”
Come mai tre container?
“Ci sono ragioni scenografiche prima di tutto. Avevamo, inoltre, la necessità di realizzare l’installazione a gennaio quindi dovevamo scegliere una soluzione che garantisse più indoor possibile. Si è rivelato assolutamente azzeccato per i molteplici significati ma anche per il buio che creano”
Sembra quasi si cerchi un sentimento di angoscia…
“Non esageriamo. Di decomfort, però, sì. Seascape richiama l’esperienza delle Escape Rooms. Un luogo, dunque, da cui si cerca di uscire o di allontanarsi pur essendone affascinati. Ecco, come sentiamo quella voglia di andare verso l’uscita dobbiamo nutrire lo stesso sentimento per porre un freno all’inquinamento dei nostri mari. Ecco perché il finale è un angolo di speranza verso il futuro”
Milano come ha risposto?
“Dal punto di vista della pianificazione possiamo dire che si tratta di una città che chiede molto ma è anche rapida ed efficace nel dirti sì oppure no. Piazza XXV Aprile, invece, è stata una scelta precisa per i tanti cambiamenti che ha vissuto quella zona della città meneghina. Per dirla con un linguaggio tecnico: i tanti cambiamenti di destinazione d’uso la rendono oggi molto affascinante. Oltre che riqualificata. I milanesi, infine, ci hanno stupito per la loro curiosità. Ci aspettavamo un buon afflusso nel weekend e meno negli altri giorni. Abbiamo sempre avuto una discreta folla. Mille visitatori era un traguardo che speravamo senza, in realtà, aspettarcelo”
Molti hanno voluto essere come pesci dentro l’acqua.
“Ecco, quello è un messaggio importante. Da una parte è una parodia del notissimo modo di dire “come un pesce fuor d’acqua” e dall’altra parte un invito a toccare con mano cosa sta accadendo. Anzi, con pinna. A vedere cosa sta accadendo verrebbe da dire che i pesci adesso starebbero meglio fuor d’acqua”
Quanto è difficile sottrarsi dall’ombra del greenwashing in certe situazioni? In questo caso bluewashing?
“Prima di tutto con la serietà. Se Findus non si impegnasse davvero su queste tematiche non avremmo nulla da raccontare. Non solo, il cliente lo ha fatto per anni in silenzio senza particolari proclami. E’ da sempre un impegno serio che punta sui dati, sui fatti e sulla presa di coscienza. L’installazione, inoltre, è stata totalmente sottratta dalla promozione di mercato. Nessun prodotto e praticamente nessun riferimento a cosa acquistare. L’unica eccezione è stata l’intramontabile figura di Capitan Findus. D’altronde ci sono anche delle considerazioni logiche: più il mare è pulito più è alta la qualità del pesce che viene venduto e mangiato. Conviene a tutti. C’è, infine, un altro aspetto importante…”
Prego.
“Il team che si è occupato di Seascape è davvero molto giovane e con spiccate attitudini artistiche. E’ stato anche affiancato da alcuni professionisti che hanno lavorato nella scenografia del mondo dello spettacolo. L’attenzione era tutta rivolta all’esperienza dello spettatore e alla sua narrazione digitale per chi non fosse a Milano. Un focus molto chiaro: come i raggi del sole sotto acqua”.
Ci leggiamo presto!