Si è rivelato un sogno di una notte di mezza primavera (perdonateci Shakespeare), durato circa 48 ore, il progetto Superlega che ha visto coinvolti 12 dei club più ricchi e indebitati del calcio europeo.
6 inglesi, 3 italiane, 3 spagnole. Ahinoi, non si tratta di una barzelletta ma di un vero e proprio tentativo mal riuscito di creare la competizione più elitaria, spettacolare ma soprattutto remunerativa dell’universo calcistico.
A distanza di una settimana dalla nascita e dalla morte di questo super-discusso torneo, noi della Gazzetta del Pubblicitario ne abbiamo analizzato i pro e i contro, in particolare dal punto di vista della pubblicità e delle sponsorizzazioni.
SUPERLEGA: PERCHÉ SÌ
Prima di iniziare a trattare gli aspetti positivi di questo ormai tramontato progetto, un avviso ai naviganti: nella nostra analisi non saremo buonisti e non troverete luoghi comuni come “il calcio è della gente”, “il denaro non conta”, “l’importante è la salute” e via dicendo.
In primo luogo, bisogna tenere bene a mente una verità incontrovertibile: il tempo non si ferma, avanza inesorabilmente e rende necessari cambiamenti anche drastici.
Ciò che sembra avanguardistico oggi, domani può essere obsoleto.
Invochiamo l’Europa e l’internazionalità a ogni pie’ sospinto, come dimensione ideale per la sopravvivenza delle istituzioni e non solo, ma quando ci viene proposto qualcosa di nuovo, qualcosa di sovranazionale, storciamo il naso.
Il tifoso è l’individuo conservatore per eccellenza, sempre terrorizzato da cambiamenti spesso inevitabili per la sopravvivenza e il miglioramento dello sport più seguito al mondo.
Per questo i club devono guardare oltre e prendere talvolta delle decisioni impopolari, come i medici quando prescrivono una medicina tanto amara quanto indispensabile per la guarigione.
Quale malattia affligge il calcio?
L’indebitamento.
Sembra assurdo visti i fatturati e il quantitativo di denaro che circola in questo sport ma è così.
Le squadre più ricche, con i giocatori migliori, gli allenatori più visionari e gli stadi più moderni sono anche le più indebitate.
Oltre 600 milioni di buone ragioni hanno indotto Barcellona, Juventus, Manchester United e compagnia ad aderire a una competizione meno storica ma molto più remunerativa dell’attuale Champions League.
Proprio la UEFA, federazione a cui appartiene l’attuale coppa dalle grandi orecchie, insieme alla FIFA e alle varie leghe nazionali si sono rese protagoniste di un teatrino sgradevole, a tratti imbarazzante, con minacce di esclusione dai rispettivi campionati nazionali dei 12 club secessionisti e dei tesserati degli stessi dagli Europei e dal Mondiale.
Anziché sedersi a un tavolo con i club in difficoltà e rivedere i canoni di distribuzione delle risorse derivanti da diritti tv e sponsor vari, per evitare un default imminente e che inevitabilmente avrebbe coinvolto anche le varie cenerentole del calcio tanto amate dall’opinione pubblica, hanno preferito mantenere rigide e avide posizioni inducendo le big a prendere una decisione drastica.
Così non si può continuare, questo è assodato.
SUPERLEGA: PERCHÉ NO
Veniamo ora ai motivi che in circa 48 ore hanno portato alla chiusura della Superlega.
In primis, l’assenza di meritocrazia. La presenza di diritto di 15 squadre su 20, a prescindere dai risultati ottenuti, viaggia in direzione opposta a quei valori su cui poggia lo sport in generale.
Se ci concentriamo sul calcio, è opportuno sottolineare che si tratti di uno sport che fa di chiarezza e ordine due principi cardine.
Per determinare “chi vince cosa” ci sono degli specifici tornei riconosciuti da una federazione mondiale, la FIFA, e dalle federazioni continentali come l’UEFA.
La Superlega avrebbe portato una gran confusione da questo punto di vista. Riuscite a immaginarvi due campioni d’Europa? Noi no.
Dopotutto il calcio non è la boxe e non può assolutamente permettersi di diventarlo.
In secondo luogo, nonostante sia fondamentale aumentare il flusso dei ricavi per evitare il default, è un peccato sacrificare sull’altare del profitto l’eterna favola di “Davide contro Golia”.
Non capita spesso, è vero, ma di tanto in tanto il calcio ci ha offerto vittorie tanto epiche quanto unexpected, eventi che rendono magico questo sport.
Inoltre, se andiamo ad analizzare le storie dei 12 club fondatori della Superlega, ci troviamo in netta difficoltà ad individuare caratteristiche comuni oltre ai fatturati e ai debiti sopracitati.
Non siamo sicuramente di fronte ai club più vincenti delle rispettive nazioni perché troviamo il Tottenham, con solo due Premier League in bacheca, e non il Bayern Monaco, vincitore di ben 30 (quasi 31) Meisterschale.
Il denaro è un collante assai fragile per una competizione con zero storia alle spalle.
In definitiva, non c’è nessun dubbio sul fatto che serva una Champions League più moderna e attenta alle esigenze dei club.
Ancor più dopo che il coronavirus ha inferto un colpo senza precedenti sui bilanci dell’industria calcio.
Ma la modernità si interpreta, non si inventa: immolare la storia sull’altare del fatturato può rivelarsi una scelta miope.
Sacrificare il bello del calcio per aumentare il valore dei diritti tv è ciò che ha indotto migliaia di tifosi a protestare, soprattutto in Inghilterra.
Chiedete a un tifoso del Liverpool cosa pensi della Superlega…
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SUPERLEGA E PUBBLICITÀ: SAREBBE POTUTO ESSERE UN BINOMIO VINCENTE?
Una domanda a cui è impossibile dare una risposta univoca.
Che la rivoluzione che avrebbe risposto al nome di Superlega ne avrebbe causata una parallela e di eguale portata anche nel mondo delle sponsorizzazioni sportive, è un dato evidente.
A riprova di ciò, lo scrupolo dei tanti alti dirigenti coinvolti nell’operazione Superlega per tranquillizzare i brand partner, considerati azionisti di particolare rilievo nella questione.
Secondo Davide Ciliberti, spin doctor del gruppo Purple & Noise, la pubblicità non avrebbe mai sostenuto un progetto del genere, che, passata la novità dei primi due anni, sarebbe stato da tutti considerato un torneo di “serie B”, con introiti da “serie B”.
Considerazioni, queste, sicuramente confermate da Tribus, storico sponsor del Liverpool, che ha abbandonato i Reds all’indomani del loro ingresso in Superlega.
Certamente storia e valori giocano un ruolo considerevole nel rilievo che l’opinione pubblica conferisce a una nuova competizione, ma è anche vero che sono le squadre a scendere in campo, sono i calciatori a rendere spettacolare una partita e di conseguenza ad attrarre audience.
La Superlega sarebbe sì nata senza l’appeal, la passione e il coinvolgimento che contraddistinguono le competizioni UEFA, ma con il tempo avrebbe avuto modo di guadagnarsele, con buona pace dei tifosi e dei marchi più conservatori.
A beneficiarne non sarebbero stati solo i club e i loro addetti ai lavori, ma anche i vari brand che avrebbero ottenuto un ulteriore palcoscenico per diffondere i loro prodotti.
Siamo sicuri che Heineken, storico partner della Uefa Champions League, non si sarebbe spinta all’interno di questi nuovi, affascinanti ed inesplorati confini?
SUPERLEGA E INSTANT MARKETING: NON CI RESTA CHE RIDERE
Come ben sappiamo, ogni spunto è buono per creare del sano instant marketing e anche questa volta diversi brand hanno saputo cavalcare il rapido tramonto della Superlega con dei post social molto divertenti.
Taffo, storica impresa funebre italiana, che deve la sua fama all’uso dell’instant marketing, non si è fatta pregare e ha posto una bella pietra tombale sull’ambizioso progetto Superlega, rivelandosi in questo settore sempre e comunque da Champions League.
Heineken è una delle regine dell’unconventional marketing e di questa sua propensione al pensiero creativo e laterale vi abbiamo già parlato in varie occasioni. La birra più famosa sui campi da calcio ha visto nella querelle legata alla Superlega una ghiotta occasione per creare engagement sui social media. Per farlo, ha esplicitamente invitato i suoi consumatori a non bere troppo prima di avviare una nuova competizione internazionale. Proud Sponsor of Uefa Champions League since 1994. Ruffiani.
Anche Bavaria, birra olandese, ha sottolineato il proprio mancato supporto alla Superlega, con una certa onestà intellettuale. Since yesterday, e ci crediamo, all’indomani del fallimento del progetto.
Non solo onoranze funebri e birre, tra i più attivi sui social anche Girella che con grande ironia ha cavalcato l’onda di un fallimento consumato in meno di 48 ore. Un po’ come una Girella quando si è affamati.
Nel mondo della tecnologia si sono espresse UniEuro e Iliad.
La prima con un instant piuttosto debole a nostro modo di vedere.
La seconda con un già visto screenshot raffigurante la fuoriuscita dei vari membri dal gruppo whatsapp della Superlega. È proprio il caso di dirlo: chi ride è fuori…di testa.
IL POST-SUPERLEGA: CHE COSA CI ATTENDE?
Domanda più che mai lecita, dopo aver assistito a tutto questo.
Club secessionisti, federazioni che minacciano sanzioni, capi di governo che si intromettono esprimendo pareri assolutamente non richiesti, Superlega sfaldata in 48 ore.
Ma dove siamo finiti?
Un progetto miliardario, supportato da JP Morgan, può tramontare in così poco tempo?
Secondo noi è solo questione di tempo prima che società, Uefa e Fifa si siedano a un tavolo per accontentare tutti. La guerra, nella vita e nello sport, non ha mai arricchito nessuno.
Attendiamoci quindi, anche da un punto di vista pubblicitario, succose novità nei mesi a venire.
Ci leggiamo presto!