Tra i tanti primati del colosso del beverage newyorkese ce n’è uno dimenticato e senza pari in tutta la storia del marketing: Pepsi ha posseduto una flotta militare, comprensiva addirittura di diciassette sottomarini. E no, non fu il Pentagono a siglare uno stravagante cambio merci: ad armare Pepsi fu nientemeno che l’arcinemica Unione Sovietica. Ripercorriamo questo surreale intreccio di vicende nell’approfondimento di oggi.
E vada così, immergiamoci in questa assurda pagina di storia senza preamboli e contesto, direttamente con un’immagine in tutta la sua potenza – perché di un’immagine potente si tratta.

Image credits: Foreign Policy
Una fotografia risalente al 1959 e scattata a Mosca che, per chiunque non sia totalmente digiuno di storia del Novecento, ha qualcosa di incredibilmente out of place, come si direbbe in inglese: stridente, fuori posto, totalmente errato. Eppure non si tratta di un falso, ma di un autentico documento che attesta un particolarissimo momento della storia economica e della geopolitica globale.
Partiamo dal centro della fotografia: il Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica Nikita Kruscev sorseggia compiaciuto qualcosa da un bicchiere di carta colorato. Alle sue spalle, quasi ignorato dal leader sovietico, l’inconfondibile profilo di Richard Nixon. Lo ricordiamo tutti come il trentasettesimo presidente degli Stati Uniti d’America, travolto dal Watergate e costretto alle dimissioni nel 1974, ma qui è visibilmente di quindici anni più giovane rispetto all’uomo già maturo impresso nelle nostre menti. Nixon, ai tempi, era vicepresidente di Dwight Eisenhower, l’ex Commander in Chief dell’esercito americano in Europa durante la seconda guerra mondiale, poi eletto alla Casa Bianca nel 1952.
Il giovane Nixon, noto e fervente anticomunista, sembra scrutare con attenzione il Segretario Kruscev, come a voler stabilire con lui un contatto oculare che questi gli nega, distrattamente intento nel sorseggiare la sua bibita. Senza lasciare che le vostre attenzioni ricadano sul goffo individuo il cui capo è sormontato da un borsalino bianco, soffermatevi sul bicchiere di carta retto dal Segretario Generale e aguzzate la vista. Noterete con un po’ d’attenzione l’antenato dell’odierno logo della Pepsi.
Facciamo un respiro e ricapitoliamo.
1959. Il mondo tragicamente diviso in due blocchi e il timore dell’Olocausto nucleare a fare da sfondo. Il Maccartismo e la caccia alle streghe negli States, la Guerra Fredda che sta per toccare uno dei suoi apici, pochi anni dopo, con la Crisi di Cuba. Eppure, a pochi isolati dalla Piazza Rossa, il compagno Kruscev sorseggiava un bicchiere di Pepsi, anziché autarchica vodka Stolichnaya.
Questo surreale incipit è il degno inizio di una storia ancor più inverosimile, che porterà al più imprevedibile degli esiti: Pepsi, per un brevissimo lasso di tempo, finirà per essere l’unico brand al mondo a possedere una flotta militare. E per capire come questo sia avvenuto, dobbiamo fare un salto indietro di almeno sessantacinque anni.
BOLLICINE PER AGGIRARE LA CORTINA DI FERRO
Quando pensiamo alle economie pianificate di matrice sovietica, le prime cose che ci vengono in mente sono grigi casermoni, civili in fila per ricevere un tozzo di pane e totale continuità tra Partito, Stato e produzione industriale. Quest’iconografia viene dallo sfascio del blocco comunista e trova terreno fertile negli anni ‘80, e in quella congiuntura che vide il tramonto del socialismo anche a causa delle contromisure intraprese per aprire al mondo economie nazionali sempre più stagnanti. Dimentichiamo però che a metà anni ‘50 il braccio di ferro economico tra le due superpotenze era teso e a spingere più forte era proprio l’Unione Sovietica. Un impero che, applicando rigidamente le dottrine di Marx e Lenin, arrivò a primeggiare nella corsa allo spazio e a toccare ritmi di crescita ben più sostenuti di quella del nemico americano, al punto che anche molti analisti occidentali davano per scontato il sorpasso.

La recessione, un budget militare sempre meno sostenibile, l’Europa occidentale da ricostruire e le tensioni razziali gravavano l’America degli anni ‘50 mettendo a dura prova la sua crescita economica. Era necessario un colpo di mano, ed erano necessari uomini come Donald Kendall.
Nella foto che vi abbiamo mostrato nel paragrafo in apertura Kendall ha l’aspetto impeccabile del businessman di una volta ed è il signore canuto che riempie di Pepsi bicchieri di carta a sinistra di Kruscev. Kendall, dopo una lunga e paziente scalata interna all’azienda, rivestiva in quegli anni il ruolo di International Executive di Pepsi.
Immaginiamo le relazioni internazionali come un sistema che si snoda silenzioso tra comunicazioni in codice, ambasciate e palazzi del potere, ma scordiamo che nella gran parte dei casi queste vengono mosse dai Donald Kendall di turno. Uomini d’affari o manager alla ricerca di nuove opportunità, capaci di fare lobbying sulla politica e di aggiudicarsi enormi mercati vergini da colonizzare. Oltre all’Europa alleata, alle soglie di un miracolo economico che toccherà paesi come Francia, Germania e Italia, perché non guardare oltre? Perché non spingersi al di là – addirittura – di quella cortina di filo spinato che divideva il pianeta in due?
Fu così che l’amministrazione Eisenhower ebbe l’ardire di organizzare a Mosca una grande Esposizione Nazionale Americana proprio nella tana dell’orso socialista. Non è dato sapere quale burocrate del PCUS lo permise, né perché, ma quello che è certo è che la delegazione americana portò con sé i migliori ritrovati dell’economia di mercato statunitense: Kodak, General Electric e, appunto, Pepsi. Lo scopo dell’evento era chiaramente più politico che operativo: di possibilità per internazionalizzare il business di casa, nell’URSS di allora ce n’erano ben poche. Eppure, le company coinvolte potevano rivelarsi non solo ambasciatrici dell’appannata immagine del brand America, ma anche dello stesso capitalismo, in grado di soddisfare la domanda di beni e servizi con i suoi gingilli, impossibili da reperire in Unione Sovietica. Una “spallata morbida” al sistema economico comunista, che avrebbe dovuto stuzzicare gli appetiti dei moscoviti ma che si tradusse, con buona pace di Eisenhower, in un niente di fatto.
UN TORBIDO ACCORDO TRA GALANTUOMINI
L’intera iniziativa se da un lato si rivelò un’infruttuosa messinscena – il comunismo non si scompose né davanti a un bicchiere di soda né a una macchina fotografica – dall’altro fu però una ghiotta occasione di pubbliche relazioni per i partecipanti coinvolti.
Il duo Randall-Nixon nasce proprio a pochi isolati dalla Piazza Rossa, e si tradurrà presto in una proficuo comitato d’interessi. Il tutto ha origine nel malcontento della dirigenza di Pepsi, che pare reputasse la trasferta moscovita un immane spreco di denaro. L’abile Nixon, che dalla comparsata all’esposizione stava ricavando un’immensa visibilità politica, accorse subito in aiuto di Kendall. Secondo quanto lui stesso raccontò nel 1999, Nixon trascinò il Segretario Kruscev allo stand di Pepsi, mentre Kendall e sodali disposero una fila di fotografi pronti a immortalare lo storico sorso.
Mr. Kruschev, drink down this glass, verrebbe da dire a voler fare facile ironia. E fu così che il Segretario Generale assaggiò la bibita e venne immortalato in quel preciso istante. Il colpaccio pubblicitario era riuscito in piena regola, e venne rivenduto in patria come tale. La scalata di Kendall, di lì innanzi, fu irresistibile. Nel 1963 divenne CEO e presidente di Pepsi e si ritrovò nelle condizioni di far quel che un galantuomo della sua caratura è chiamato a fare in simili circostanze: restituire il favore a Richard Nixon, che all’epoca oltretutto ne aveva disperatamente bisogno. Dopo la rovinosa sconfitta contro John Fitzgerald Kennedy alle presidenziali del 1960 fu umiliato anche in California, suo stato natio, dove concorse per il mandato di governatore due anni più tardi. Il futuro presidente nel 1963 aveva infatti accantonato la politica per tornare alla sua ordinaria professione di avvocato: ecco che Kendall trovò terreno fertile per far valere il suo ascendente. Quell’anno Pepsi decise che qualunque studio legale avesse assunto Richard Nixon avrebbe automaticamente assistito anche l’azienda. Inutile dire che entro pochi mesi l’affermato studio newyorkese Mudge, Stern, Baldwin & Todd si fece avanti, ben lieto di avvalersi dei servigi dell’avvocato Nixon e di trattare la giurisprudenza di Pepsi. Proprio da qui parte la rinascita dalle proprie ceneri del Nixon politico, che in breve tempo accumulerà profitti enormi con cui pianificare la ridiscesa in campo.
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BACK IN THE U.S.S.R, YEAH!
Ma si sa, la connivenza tra politica e impresa crea quei circoli viziosi per cui favore chiama favore, do chiama des che richiama do, in un’intricata tessitura tra capitale e potere.
E Nixon, finalmente eletto alle presidenziali del 1968, non dimenticò il cruciale appoggio di Kendall nei momenti più bui e lo fece tornando – almeno figuratamente – sul luogo del delitto: quell’Unione Sovietica con cui egli stesso e il Segretario di Stato Kissinger stavano inaugurando una nuova stagione di distensione. E la distensione non si fa solo limitando il numero di missili balistici intercontinentali, ma anche con proficui accordi economici. Kendall, che evidentemente aveva allacciato fruttuose relazioni oltrecortina, ci mise poco a fiutare l’affare, e fece leva sull’amico Nixon per trasformare la distensione in un’occasione in cui fare profitti a palate.
Nel 1972, puntuale e inevitabile, l’accordo viene messo nero su bianco: Pepsi diventa il primo produttore americano distribuito in massa in Unione Sovietica con l’esclusiva per la categoria merceologica delle cole, tagliando di fatto Coca-Cola fuori da un mercato di 200 milioni di consumatori.

Un po’ come il Segretario Kruscev, i sovietici si innamorarono molto rapidamente dell’effervescenza tutta occidentale della bibita americana, che divenne in breve popolarissima. Restava solo un ostacolo e non da poco: il Rublo, durante la Guerra Fredda, non era riconosciuto come valuta corrente per gli scambi internazionali. Ed ecco che Kendall e sodali escogitarono la più primordiale ma al contempo brillante delle strategie di problem solving, che potremmo riassumere così: non potete pagarci la Pepsi in Dollari Americani? Dateci la Vodka. In un sol colpo Pepsi divenne distributore unico di Stolichnaya and Sovetskaya, le due varietà di vodka più pregiate prodotte dalle distillerie sovietiche.

Chiamatelo pure cambio merci se venite dal mondo del business o disperato baratto se vedete la questione con un po’ più di sense of humor, ma per Pepsi fu un affare enorme. Se i consumatori sovietici erano assetati di bollicine, quelli americani non lo erano da meno del distillato russo per antonomasia, ormai praticamente irreperibile dato lo stato di embargo permanente in cui giaceva l’URSS e quindi considerato e venduto come bene di lusso. Dal 1972 in poi Pepsi fu lo squarcio economico e culturale più vistoso nella Cortina di Ferro: sopravvisse a ere di distensione e di deterioramento dei rapporti tra le due superpotenze, guerre per procura e incidenti diplomatici, a disastri nucleari come quello di Chernobyl. Vide alternarsi alla Casa Bianca e al Cremlino Nixon, Brežnev, Carter, Andropov, Reagan e Gorbačëv: un bug inspiegabile della storia, una lattina a fare da testa di ponte per il mondo capitalista in un territorio ostile e dove alcun capitale occidentale era mai giunto. Di più: in piena era Gorbačëv, Pepsi aveva addirittura dato vita a una produzione interna all’URSS e si stima che nel 1985 operassero in Unione Sovietica addirittura quindici impianti d’imbottigliamento. Fu proprio quando il segretario Gorbačëv dette il via alle sue imponenti riforme aprendo l’URSS al mondo che Pepsi colse l’occasione per intestarsi la perestrojika e accreditarsi al pubblico americano come la bibita che stava sgretolando dal di dentro il blocco comunista. Basti dare un’occhiata a questo spot per rendersene conto.
LA FINE DI UN’ERA E LA SINGOLARE PROPOSTA DELLA MARINA SOVIETICA
Il wind of change del 1989, tuttavia, travolse come una tempesta gli affari del colosso americano in URSS, per il semplice fatto che l‘ordine internazionale su cui si era retto il mondo dal 1945 ad allora venne a sgretolarsi. Le prime libere elezioni nella storia dell’Unione Sovietica fecero da contraltare a un clima di totale instabilità economica nel paese. Inoltre, il valore della vodka in America si era sensibilmente ribassato rispetto al 1972 e per Pepsi il mercato sovietico cominciò a somigliare sempre più a una barca in procinto di colare a picco. Con il Rublo ancora bandito dal sistema delle transazioni internazionali, Kendall dovette trovare rapidamente un modo per garantire sufficiente revenew stream, che i suoi consulenti identificarono in una serie di asset militari.

Per la precisione in diciassette sottomarini, un incrociatore, una fregata e un destroyer. A questi vennero aggiunte anche due enormi petroliere sovietiche acquisite in congiunto con una compagnia di navigazione norvegese gestita da un amico di Kendall. Il web ha costruito su questa vicenda un mito, arrivando ad affermare che in quei mesi del 1989 Pepsi disponesse della sesta marina militare al mondo, il che è in termini meramente numerici veritiero. Bisogna però tenere conto che si trattasse sostanzialmente di ferri vecchi inutilizzabili e risalenti al ventennio precedente, il cui unico valore risiedeva nello smaltimento delle materie prime che non avrebbe neppure coperto le perdite dovute alla svalutazione della vodka.
Il vero affare risiedeva nella proposta che Kendall fece alle autorità locali: fiutando probabilmente la dissoluzione dell’URSS e l’apertura a una completa economia di mercato (che poi avverrà nel 1991) stipulò un accordo per raddoppiare le vendite di bibite gassate all’interno dell’Unione Sovietica entro il 2000 e consentire l’apertura di Pizza Hut nel paese. Resta comunque il fatto che, proprio quell’anno, decine di sottomarini brandizzati avrebbero potuto attraversare minacciosi l’Atlantico, risalire il fiume Chattahoochee e cannoneggiare dalla periferia di Atlanta l’headquarter di Coca-Cola, dando all’espressione war of brands una dimensione tragicamente letterale.
E per concludere, se ve lo state chiedendo, sì: Pepsi ha attualmente interrotto le vendite in Russia. Quel che nemmeno la Guerra Fredda è riuscita a fare ha potuto l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022. La storia si ripeterà? In fondo, credo in cuor nostro ce lo auguriamo tutti.
Ci leggiamo presto!
Image credits cover: Foreign Policy