Come una campagna di comunicazione ha convinto gli abitanti del Kansas repubblicano a votare per l’aborto

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6 Settembre 2022
Tocca mettersi comodi

La giusta comunicazione politica può davvero cambiare le intenzioni di voto? È quello che è successo in Kansas, uno degli stati più conservatori degli Stati Uniti, quando ad agosto il risultato del referendum ha rivelato la vittoria dei democratici.

Un passo indietro

Prima di entrare nei dettagli della campagna che ha portato al risultato tanto sorprendente quanto inatteso, occorre contestualizzare.

Lo scorso giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva annullato la storica sentenza Roe v. Wade del 1973 che garantiva il diritto di aborto a livello nazionale. L’annullamento è arrivato in seguito alla richiesta dello stato del Mississippi di applicare la propria legge federale che vieta l’interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane.

L’abolizione del diritto a livello statale è una grande vittoria per i Repubblicani, favorita dalla elezione a vita secondo indicazione di Trump e dall’approvazione del Senato di numerosi giudici anti abortisti all’interno della Corte Suprema.

Non essendo più una materia di competenza nazionale, i singoli stati possono decidere quanto restringere il campo di questo diritto, con una partecipazione diretta dei cittadini in caso di referendum oppure indiretta tramite l’elezione di legislatori.

La prima votazione si è tenuta in Kansas: uno stato del Midwest notoriamente repubblicano, nonostante sia attualmente retto da un governo democratico, in cui nelle ultime elezioni del 2020 il 56% dei cittadini aveva sostenuto Trump. Il quesito riguardava la possibilità di modificare la legge federale che garantisce il diritto all’aborto fino alla ventiduesima settimana; gli emendamenti avrebbero con tutta probabilità aperto alla possibilità di limitare o negare il diritto. Il referendum, voluto e proposto dai Repubblicani che contavano sulla certezza di una vittoria, si è rivelata la prova di come una corretta campagna di comunicazione possa cambiare la storia.

Vote No

Il risultato sorprendente di queste elezioni che hanno visto trionfare, con quasi il 60% delle preferenze, i sostenitori della libertà di scelta in uno stato conservatore non è frutto del caso.

La campagna del “Vote No” ha potuto contare su un budget molto importante di quasi 11 milioni e mezzo di dollari ed è stata curata dal Kansans for Constitutional Freedom, un gruppo di attivisti nato circa un anno fa, supportato dall’agenzia pubblicitaria GMMB, con cui sono stati realizzati gli spot televisivi.

Come è stato possibile far cambiare idea ad 1 repubblicano su 5 con una campagna elettorale? 

Grazie all’adozione di un linguaggio che potesse funzionare a prescindere dal partito di appartenenza e che andasse a parlare direttamente alle persone, facendone una questione personale e non politica.

Come spiegano Ashley All, Direttrice della Comunicazione per KCF, e Jae Gray, organizzatore di KCF, il linguaggio utilizzato non è definibile come “conservatore”  ma permea la cultura e la tradizione dei cittadini del Kansas.

Raggiungere quanti più elettori possibili e convincere anche chi pensa di appartenere allo schieramento opposto dovrebbero sempre essere gli obiettivi principali delle campagne elettorali. Analizzando gli adv si scopre il lato brillante che ha reso possibile la vittoria: dimenticate i toni sofisticati o gli intellettualismi perché si tratta di progressismo supportato da cause care al conservatorismo. Sembra paradossale ma è un artificio molto acuto che mira a capovolgere la prospettiva per mettere tutti d’accordo.

Guardare per credere.

Gli spot che hanno plasmato il voto

I contenuti prodotti per la campagna si distinguono per una presenza curata sui social, con un account un po’ boomer-fashioned ma efficace, e per le attività offline, con attività porta-a-porta dei volontari tra cui spicca l’originalissimo “Vote Neigh”: il gruppo giovanile di attivisti in pieno stile Wild West in cui il cui nome è un geniale gioco di parole.

A fare da protagonista però sono gli spot televisivi, realizzati dalla agenzia GMMB, in grado di arrivare alla fascia demografica più vicina alle idee conservatrici.

Le réclame girati a regola d’arte, pur supportando la tesi pro-choice, hanno come protagonisti personaggi lontani dall’immaginario collettivo progressista: una dolce nonnina, un medico, una donna a cui l’aborto ha salvato la vita e un pastore cristiano.

Anche la strategia di pubblicazione televisiva degli spot ha avuto grande rilievo:

Il primo non menziona mai direttamente il diritto all’aborto: abbiamo una voce narrante maschile, il che esclude anche la suggestione di un tema femminile, in cui si critica il quesito referendario.

“Lo chiamano emendamento alla costituzione. La verità? È un’imposizione statale”: scimmiottando i grandi toni da teoria del complotto, lo spot fa leva sulla libertà personale, in cui lo Stato non può avere alcuna ingerenza. Negli ultimi secondi, quando la voce narrante dichiara che il Kansas non vuole altre interferenze statali, sullo sfondo compaiono i cartelli esposti durante la pandemia che annullavano le messe e obbligavano all’uso delle mascherine: un colpo basso ma che strizza l’occhio nella direzione giusta.

Grazie a un approccio unico sul tema, secondo Ashley All è stato l’elemento pubblicitario più politicamente di successo.

Un altro esempio di spot ben ragionato è quello che ha come protagonista un pastore cristiano: riuscire ad utilizzare il motivo religioso per promuovere la causa a favore del diritto all’aborto è particolarmente rischioso.

L’uomo anziano spiega come negli anni di attività abbia aiutato la sua comunità a compiere scelte personali difficili, tra cui quella dell’aborto. Quindi invita, come cristiani, a fare fede alla volontà di amare il prossimo ovvero fidandosi delle donne come Dio si fida di loro. 

Infine, facendo riferimento direttamente al referendum pone l’argomento finale e più efficace: un’imposizione statale non può sostituirsi alla fede religiosa. Anche gli altri spot sono molto importanti per la leva che viene fatta soprattutto sulla possibilità che sia lo stato a decidere – e non scegliere, le parole utilizzate sono fondamentali – in materia di salute personale e per la critica alla composizione del quesito, giudicato di difficile comprensione e fuorviante, tanto da comparire in una gag di Seth Meyers.

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Il potere della comunicazione

Nonostante nessun membro della KCF abbia ammesso che il linguaggio utilizzato fosse “repubblicano” è chiaro come il successo della campagna derivi per grande parte proprio da questo. In materia di diritti, potendo contare sull’assenso ben consolidato da parte dei progressisti, l’interesse si è spostato sul convertire gli indecisi o coloro che si collocavano nel centro, lontani dalle opinioni più estremiste.

Quindi ecco che con le modalità, il lessico e l’immaginario comune del target, è stata plasmata una campagna che potesse arrivare ai destinatari in modo famigliare e non aggressivo. Un lavoro organizzato diversamente, come spesso accade, con argomentazioni ideologiche e grandi intellettualismi, avrebbe lasciato fuori una grande platea di possibili elettori. Questo, va detto, è un grande difetto di una precisa area politica in cui la nobiltà d’animo e di pensiero finisce per elevarsi fino a scordare le proprie origini.

In particolare, il fronte del Vote No, si è speso parecchio per spiegare il significato del quesito, formulato in maniera così astrusa: in questo modo lo schieramento opposto è sembrato, agli occhi degli elettori, disonesto e con intenzioni diverse da quanto dichiarato.

Pochi giorni dalla votazione infine, i volontari si sono dovuti occupare dell’ultimo disperato tentativo dei conservatori che, con un’operazione di spam via SMS, cercava di confondere le idee agli elettori invertendo le motivazioni del Vote No con quelle del Vote Yes.

A quel punto però era troppo tardi: la campagna  aveva già attecchito là dove poteva e nelle menti dei cittadini del Kansas le intenzioni di voto erano chiare.

Se un lavoro di ADV campaign è in grado di fare questo, cos’altro può fare?

Ci leggiamo presto!

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Gazzetta PRO