Il marketing “maleducato” di Burgez: a lezione con Simone Ciaruffoli

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2 Aprile 2021
Tocca mettersi comodi

La catena di hamburgerie stupisce, provoca e straccia tutti i manuali di teoria della comunicazione aziendale. In questo pezzo andremo a esplorare l’ecosistema Burgez con Simone Ciaruffoli, founder e CEO aziendale, cercando di dare senso a scelte così divisive da generare tanti detrattori quanti seguaci.

UN MARKETING “PUNK” PER UN BRAND RIBELLE

Ma che cosa diavolo avevano per la testa quando l’hanno pensata?


È questa la reazione più naturale di chi mette per prima volta gli occhi su una campagna targata Burgez. Pubblicità comparativa, riferimenti erotici, toni sopra le righe, vaffa serenamente rivolti alla clientela, annunci di lavoro al veleno, meme dissacranti: la catena di hamburgerie attinge a piene mani dal libro nero del marketing proibito e riversa (principalmente, ma non solo) sui social il frutto di tale stregoneria.
Burgez, scandalo per scandalo, ha costruito una notorietà ormai trasversale, culminata nell’apertura di undici punti vendita nelle principali città italiane. Per vederci chiaro, anziché lanciarci nella redazione di un longform da centomila battute (tante ne sarebbero servite), abbiamo scelto di andare direttamente alla fonte. Una fonte che ha, invero, un nome e un cognome: Simone Ciaruffoli.
Marchigiano d’origine, ex critico cinematografico, ex sceneggiatore di Camera Cafè ed ex art director, l’eclettico CEO di Burgez è il fautore della brand identity del marchio milanese. Simone, oltre al ruolo manageriale in Burgez, riveste anche quello di founder di Upper Beast Side, l’agenzia di comunicazione e marketing che si occupa in esclusiva del brand. Contattato a metà marzo dalla redazione di Gazzetta, ci ha gentilmente concesso quest’intervista. Lunga, a tratti esilarante e di certo imprevedibile: avrebbe potuto essere altrimenti?

PARTIAMO DALL’UOMO SIMONE CIARUFFOLI. SCENEGGIATORE, ART DIRECTOR E CRITICO CINEMATOGRAFICO: NON PROPRIO IL BACKGROUND STANDARD DI UN IMPRENDITORE. NELL’AVVIARE UN BUSINESS, UNA FORMAZIONE DA CREATIVO È UN VANTAGGIO O PUÒ CREARE DEFORMAZIONI?

Può determinare delle deformazioni, sì. Solitamente, se ci fate caso, coloro che vengono dal mondo della creatività vogliono portarsi dietro quella stessa creatività che li ha caratterizzati in passato. In ambito ristorativo, a Milano, si vedono più format e concept che veri e propri ristoranti e io, questa cosa, non l’ho mai sopportata. Se si vuole aprire un ristorante bisogna saper fare da mangiare. Poi, bisogna conoscere quelle regole che normalmente un cuoco o un imprenditore della ristorazione conoscono da sempre, per trascorsi personali o studi. Chi arriva dal mondo della creatività lo fa con la pretesa di avere un portafoglio e delle idee, che – anche se nuove – sono pur sempre idee teoriche. Io invece ho cercato di imparare un mestiere abbandonando tutto ciò che avevo fatto prima. Sono stato un anno e mezzo dentro la cucina di Burgez e ho imparato a cucinare. Anzi, già prima, quando ero direttore creativo, facevo anche il cuoco. Cucinavo per tutta l’agenzia, preparando il pranzo ogni giorno per settanta persone. Dopo quattro anni di cucina e vi assicuro che cucinare con due fornelli a induzione per settanta persone non è una cosa semplice ho deciso di entrare nel mondo della ristorazione, ma non da cuoco. Mi sono detto: “So cucinare, ma rimaniamo umili: facciamo panini che è meglio.”
Anche perché ovviamente mi interessava più fare imprenditoria che diventare chef. Quindi sì, solitamente si fanno degli errori, entrando nel mondo della ristorazione più da creativi che da persone che si vogliono sporcare le mani.

Simone Ciaruffoli, CEO e founder di Burgez e Upper Beast Side

LA SCELTA DI QUESTO CAMBIO DI VITA È STATA DETTATA DALLA PASSIONE O DA UNA VISIONE DI BUSINESS?

Passione, no. Devo dire che non ho mai passione per quello che faccio. Ho interesse verso me stesso. È l’unica passione che ho. Quindi quando faccio una cosa cerco di farla in maniera obiettiva. Burgez era ciò che allora mi serviva per avere un po’ di libertà finanziaria. In quel momento volevo cambiare vita, come ho fatto più volte, e fare imprenditoria. Stavo imparando a cucinare e non avevo più voglia di fare quello che facevo, almeno non da dipendente. Poi sono stato a New York. Credo conosciate la storia… Anche in quel caso, ad attrarmi è stata la creatività: mi ero spostato per dei colloqui con importanti imprese che si occupavano di comunicazione. Lì ho avuto un colpo di fortuna e ho capito che dovevo dedicarmi alla ristorazione. A dettare questa scelta, quindi, più che la passione è stata la voglia di cambiare. Sono tornato povero, perché ricominciare da zero comporta investire tutto quello che si ha in un nuovo corso. E in Burgez ho fatto un grande investimento.

(NDR: Vi siete persi la storia della nascita di Burgez? Potete approfondire a questo link tratto dal sito ufficiale!)

BURGEZ È FAMOSO PER UNA LINEA DI COMUNICAZIONE SPESSO MOLTO BRUSCA E CHE HA GENERATO ANCHE UN GRAN NUMERO DI DETRATTORI. C’È UNA QUALCHE FILOSOFIA SU CUI SI FONDA IL VOSTRO APPROCCIO?

Sì, prodursi in una comunicazione come quella di Burgez, che non liscia il pelo al cliente, non è cosa ancora accettata, soprattutto nel mondo della ristorazione. Abbiamo ricevuto boicottaggi, minacce e sono stato seguito da una guardia del corpo per una settimana. Per Burgez, il cliente non ha sempre ragione. Soprattutto perché Burgez, nella persona di chi vi sta parlando, crede che dacché esiste il web il cliente si divida in due soggetti: il cliente e l’utente. E il marketing non se ne è accorto. Il cliente è tale finché è all’interno del limitare del locale. Dal momento in cui esce, diventa un utente. Si nasconde dietro a uno schermo: parla, sparla, scrive e recensisce. Burgez non è disattento nei confronti del cliente. Per Burgez il cliente ha (quasi) sempre ragione. L’utente no. Uno è il dottor Jekyll e l’altro è mister Hyde. Sono due soggetti distinti ma riassunti in uno solo. La comunicazione non può più lavorare su un solo soggetto, perché sono due. Burgez si è accorto di questo e se, da una parte, all’interno dei negozi siamo una catena normale con collaboratori normali, dall’altra parte, a quell’utente, Burgez risponde a tono. Dietro Burgez c’è un ventenne brufoloso, nerd, incurante, che risponde come preferisce, usa memi e fa pubblicità comparativa. È come se non ci fosse dietro una srl, ma questo ragazzino senza responsabilità. Non è vero: le responsabilità sono grandi e importanti, ma diciamo che dall’altra parte dello schermo, c’è lo stesso mr. Hyde che c’è nell’utente. E quindi, non ci sono freni.

EPPURE LA COMUNICAZIONE DI BURGEZ È UN SUCCESSO SU TUTTI I FRONTI. PERCHÉ, SECONDO TE, IL CONSUMATORE APPREZZA TONI ANCHE BRUSCHI PURCHÉ DIVERSI?

C’è interesse perché siamo in pochi, o forse addirittura gli unici. Finché sei tra i pochi, sei come il cinema d’essai: lo vedono pochi eletti e fa figo. Ma se domani tutti si mettessero a fare Burgez, allora forse verrebbe l’ora di cambiare. C’è questo bisogno di essere trattati bruscamente, forse, per il semplice fatto che nessun’azienda lo fa. Perché esiste un customer care, esistono regole e teorie e pianificazioni. E tutto ciò è la morte della creatività. Capisco che ci sia bisogno di teorizzare per fermare un concetto, fare del business, scrivere testi didattici e farli entrare nell’università. Su quei testi si formeranno certe menti, che ragioneranno tutte allo stesso modo. E quando quelle menti entreranno in agenzia, tutte le agenzie di comunicazione faranno lo stesso marketing. Quando lavoravo come art director, mi occupavo di grandissimi brand e mi rendevo conto di non poter essere davvero creativo. Perché avevo dei vincoli.
Per questo credo che oggi un vero creativo debba essere anche imprenditore e avere coraggio. Oggigiorno l’unica idea figa è il coraggio. Tutti abbiamo idee, ma non tutti hanno coraggio. Il “non si può”  è la rovina della creatività. “Try not to come back if you can” non dovrebbe essere il nostro pay-off”, guardando alla teoria del marketing. Tutte le scuole concordano sul fatto che si debba essere sempre propositivi. Eppure, abbiamo avuto il coraggio di non esserlo. Per lavorare nella comunicazione non servono le idee, non bisogna inventare nulla: bisogna avere il coraggio di guardare nel cestino delle idee scartate.

MARKETING O KETCHUP? QUALE DI QUESTI DUE INGREDIENTI VA PER LA MAGGIORE IN UN PANINO DI BURGEZ?

Gli interni del ristorante Burgez di Monza

È la stessa domanda che potresti fare a Tom Cruise chiedendogli: “Quanto c’è Ethan Hunt di Mission Impossible 2 dentro Tom Cruise?” Risponderebbe probabilmente che ogni volta che lo interpreta c’è quel personaggio, che lascia il posto ad altri personaggi in altre occasioni.
La comunicazione di Burgez non ha a che fare con Burgez. Ne è il personaggio, la recita. E’ un srl che deve comunicare, fare marketing e per farlo indossa dei panni: come un attore. Upper Beast Side, la mia agenzia di comunicazione, non è Burgez. Quindi, per riassumere direi: nei locali, c’è più ketchup. Fuori, davanti ai computer c’è più marketing, non potendo mangiare hamburger online.
Concludo: il futuro dei profili di Burgez sarà non comunicare più i panini, il prodotto. Diventeremo altro e per questo spesso cambiamo anche logo. Un giorno è quello di Burghy, quello dopo McDonalds. Non ci interessa neanche più questo stretto legame con l’estetica visuale. Anche il “Try not to come back if you can” un giorno assume un colore e quello dopo di un altro.

LA VOSTRA COMUNICAZIONE È COSÌ FUORI DAGLI SCHEMI DA LASCIARE SBALORDITI. TI ABBIAMO PREPARATO UN BEST OF DI CAMPAGNE, POST E AZIONI DI COMUNICAZIONE SUI CUI VORREMMO UN BREVE COMMENTO DA PARTE TUA.

Se devi realizzare un post del genere, normalmente ne si approfitta per ringraziare tutti. Chiaramente, un’azienda come Burgez non può fare il solito post e la solita comunicazione. A cosa serve fare una creatività altrimenti? A cosa serve Upper Beast Side, la nostra agenzia di comunicazione? A scrivere ringraziamenti?

Intanto questa è la mia grafia. Potranno fare una perizia per verificare che non si tratti della scrittura di un dipendente non retribuito.

Ride.

Siccome facciamo molto delivery ma c’è una grande fetta di utenza che non ci segue sui social, abbiamo deciso di raggiungerla inserendo nelle shopper dei volantini.
Noi lo facciamo per simpatia, non pensiamo che chi riceva il volantino pensa che sia la verità. Siamo stati tempestati di telefonate ed e-mail in cui ci veniva intimato di pagare la cassiera! Non c’era alcuna allusione al periodo, alle difficoltà che tanti lavoratori della ristorazione stanno vivendo: è il post fatto da un bambino innocente, che oltretutto non ha problemi a scriverlo perché paga regolarmente i propri dipendenti. Spesso siamo talmente innocenti che ignoriamo le conseguenze di quello che facciamo. E se mi avessero detto che, in questo momento storico, una cosa del genere non si poteva scrivere, avrei risposto che non lo avrebbe potuto fare chi non pagava. 

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Parlando coi collaboratori capita spesso che si noti la classica cliente maleducata, che non replica se ringraziata. Non c’è malizia, non c’è sessismo: c’è solo il desiderio di mettere per iscritto quello che nella realtà quotidiana accade. Noto inoltre rispetto: “legno” ha la L maiuscola, quasi a intendere un’allocuzione famosa. È ovvio che non lo può fare Barilla: noi possiamo permettercelo perché per ora siamo liberi a livello societario.

È lo stesso principio creativo del post precedente. I ragazzi di Upper Beast Side mi mandarono questa foto della shopper, chiedendomi che copy inserire. Io, essendo del mondo della comunicazione, so cosa sia il Lorem Ipsum. Dopo averci pensato dieci minuti ho detto: “Bene, lasciamo questa, è carina!” Come accaduto con la Figa di Legno: una cassiera viene a trovarti in ufficio, ti parla della giornata e ti dice: “Ogni tanto viene una cliente antipatica, una figa di legno. La conosci?” e dopo dieci minuti esce quel post. Così, in questo caso: un grafico ti invia un mockup e tu esci lasciando il testo placeholder. Noi non facciamo piani editoriali. Un piano editoriale è qualcosa da ragionieri, da impiegati delle poste. Noi abbiamo una linea editoriale, che risente della contingenza. Ognuno di questi post non esisteva, fino a pochi momenti prima della loro pubblicazione.

PER UN APPROCCIO COMUNICATIVO CHE SI SPINGE SEMPRE AL LIMITE, QUAL È IL LIMITE? FIN DOVE VI VEDREMO ARRIVARE?

È una domanda a cui mi fa piacere rispondere. Il limite non lo decidiamo noi, ma il cliente (o l’utente). Per quanto mi riguarda, un limite c’è e non sta nell’estremo, ma nel doversi contenere a ogni costo. Per me è un limite vedere un ristoratore scusarsi in ginocchio in seguito a una recensione critica. Rispondere con la paura di perdere quel tipo di cliente, che è un cliente già perso: questo è un limite che non supereremo mai. Perché questo sottaciuto ricatto del cliente nei confronti del ristoratore aveva un senso quando il novantanove per cento dei ristoranti era a conduzione familiare e un cliente in meno significava non stare in piedi. Non è più così: oggi gran parte dei ristoranti ha alle spalle fondi, catene o imprenditori. Deve cambiare qualcosa. Del ricatto del cliente e del passaparola negativo a noi non importa nulla. Bisogna iniziare a trattare il cliente come merita. Ecco: se avessi un fondo d’investimento alle spalle non potrei rispondere così, probabilmente.

LA COMUNICAZIONE DI BURGEZ È GESTITA DALL’AGENZIA PUBBLICITARIA DEL FONDATORE DI BURGEZ. COM’È ESSERE L’AGENZIA DI SÉ STESSI? I BRAINSTORMING CREATIVI SONO PIÙ CORTI E SNELLI OPPURE È COME NEL NORMALE RAPPORTO CLIENTE-AGENZIA?

Non ci sono le stesse dinamiche. Non essendoci un piano editoriale le cose sono completamente diverse. Da una parte è molto positivo. Si può fare, virgolettando, quello che si vuole. Dall’altra parte, il rovescio della medaglia è questo: io semplifico dicendo che il ragazzino brufoloso non ha freni, ma in realtà dietro ci sono un srl, un bilancio annuale, più di cento dipendenti e tutte le responsabilità del caso. Posso sembrare spavaldo, ma lo sono fino a un certo punto. Come ho raccontato più volte, ce la siamo fatta sotto in più di un’occasione. Quindi: da una parte è molto bello perché c’è totale libertà, dall’altra un po’ di censura va fatta. Alle volte, poi, è un lavoro complesso come lo sarebbe con qualunque cliente: magari i post che generano più hype sono quelli ideati in pochi istanti, mentre quelli più ideati, strutturati e fighetti… non li nota nessuno.

CHIUDIAMO CON QUESTA SIMONE: BURGEZ PUÒ ESSERE IL NUOVO BURGHY. CI MANDI A QUEL PAESE COME CON I FOLLOWER OPPURE CONVIENI?

Guardate, nel 2015 ho partecipato ai tavoli tematici di EXPO come startup. Cercavamo fondi e partecipammo col nome Hamburghy, che era una citazione voluta a Burghy, per qualche anno in Italia una vera istituzione. Da una parte ci fa piacere. Siamo un’azienda italiana come lo furono loro. Burghy, quando si è fatta assorbire da McDonald’s, aveva circa settanta punti. Noi siamo a undici. Dall’altra parte, a livello di comunicazione siamo completamente diversi: Burghy guardava molto alle famiglie, e noi, come ovvio, siamo molto meno Zecchino d’Oro e Barilla.

Grazie Simone!

Ci leggiamo presto!

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